Migranti, la Geo Barents in navigazione verso Napoli
CronacaDurante la navigazione verso Napoli, sulla Geo Barents vanno avanti le attività dedicate alle persone salvate nella notte tra giovedì e venerdì: la distribuzione del cibo e dei beni di prima necessità, ma anche le spiegazioni sul quadro legale e legislativo in Europa e in Italia e sulla possibilità di avanzare la richiesta d’asilo
Durante la navigazione verso Napoli, sulla Geo Barents vanno avanti le attività dedicate alle persone salvate nella notte tra giovedì e venerdi: la distribuzione del cibo, degli abiti e dei beni di prima necessità. Ma anche la spiegazione del quadro legale e legislativo in Europa e in Italia, la possibilità di avanzare la richiesta d’asilo. Al lavoro ci sono i mediatori culturali, la responsabile degli affari umanitari, i medici, la psicologa e i membri della crew. Sono anche le ore in cui si raccolgono le confidenze, i racconti delle torture e dei traumi subiti dopo aver stabilito un rapporto di fiducia e fatto capire loro che, a bordo, non c’è nulla da temere.
I racconti dei migranti
“Possiamo parlare o ci accade qualcosa?” chiedono ad Ahmad, mediatore culturale. “Hanno paura perché in Libia se facevano domande o semplicemente parlavano venivano picchiati e torturati – spiega – per loro anche solo poter chiedere, parlare, raccontare vuol dire moltissimo”. Le persone provenienti dal Bangladesh raccontano di novantotto persone rinchiuse in una stanza di pochi metri, per due mesi, l’impossibilità di dormire e mangiare e il timore di morire in quelle condizioni, la maggior parte era arrivata in Libia per cercare lavoro. Nelle parole delle persone salvate in mare ci sono le torture subite in Libia, per molti sotto forma di rapimento, il ricatto alle loro famiglie costrette a pagare – anche se poverissime – il viaggio su quelli che loro stesso definiscono i “barconi della morte”. Dal Bangladesh, dalla Siria le persone salvate in mare dalla nave di MSF Geo Barents raccontano i terribili momenti vissuti nei mesi passati ai mediatori culturali e alla responsabile degli affari umanitari Clarissa Podbielski. “Molti di loro erano andati in Libia per lavorare – spiega Clarissa Podbielski – ma una volta arrivati lì sono stati rapiti e rinchiusi in delle stanzette trasformate in prigioni. Per loro era impossibile mangiare e dormire, considerato che erano fino a 98 persone, la condensa e l’umidità rendeva impossibile anche quasi respirare”. “in Libia – aggiunge ancora la responsabile degli affari umanitari di MSF – le persone che arrivano sono considerate merce di scambio, sono considerate denaro. E possono andare via da queste prigioni solo se la famiglia di origine paga. Per far sì che i soldi, anche pochi, arrivino i trafficanti, i loro carcerieri chiamano le famiglie al telefono e fanno sentire loro le grida di dolore del loro parente, mentre li torturano”. Storie e racconti che si ripetono non solo tra le persone provenienti dal Bangladesh, fuggite per la situazione politica del Paese e per la povertà, anche tra i siriani scappati dalla guerra che una volta arrivati in Libia sono costretti in queste prigioni. Tra i ragazzi siriani, salvati nelle acque del mediterraneo, ci sono anche due fratelli e un cugino, sono partiti dopo aver terminato gli studi, l’università, hanno tra i 23 e i 25 anni, il volto pulito, lo sguardo fiero e speranzoso. Sono andati via non prestare il servizio militare e, di fatto, combattere. Hanno preferito piuttosto rischiare la vita. Uno di loro fa il commercialista, l’altro è laureato in economia e business e il terzo ha studiato per diventare chef. Sogni che hanno portato con loro in un viaggio che sapevano poteva portarli alla morte. “Abbiamo avuto molta paura di morire la scorsa notte – raccontano – sappiamo e sapevamo che li chiamano i barconi della morte ma non avevamo altra scelta. Per partire, dopo essere stati rinchiusi in una prigione per diversi giorni, abbiamo pagato 7.500 dollari a testa. Vogliamo andare a Monaco, in Germania, abbiamo degli amici lì” dicono ancora, con il sorriso di chi sa di aver sfidato la sorte e di aver vinto, almeno per ora. Le onde alte, il buio, il freddo e il vento, la paura restano ancora impresse nelle loro menti e poter ora toccare terra e iniziare una nuova vita è il sogno che accomuna chi ha intrapreso questo viaggio. “Io vorrei restare in Italia, vorrei imparare a cucinare e diventare un cuoco” dice invece Mula, viene dal Bangladesh e mentre parla dei suoi sogni mostra le foto della sua famiglia, della nonna a cui è molto legato e che teme di non rivedere, della madre, del padre e delle due sorelle. “La mia famiglia è molto povera e io sono partito anche per loro. Un giorno avrò la possibilità economica, sarò tanto ricco da poter pagare loro il biglietto e venire in Italia da me, per tornare a vivere insieme”. Intanto, si aiutano e sostengono tra loro, anche se in molti si sono conosciuti sul barcone che li ha portati via dalla Libia, il legame è diventato forte, aver superato quella notte li ha uniti e per chi mastica un po' di inglese il compito – insieme ai mediatori culturali - è di tradurre e spiegare ciò che accade e accadrà. Tra loro, ci sono ragazzi minorenni, persone provenienti dalla Tunisia, anche chi è solo non si sente solo. Per tutti sono questi giorni di riposo e di sollievo in attesa di capire cosa sarà della loro vita una volta sbarcati in Italia.
Le attività
“Iniziare la giornata con lo stretching, urlando anche dei versi può sembrare un’attività di svago, divertente agli occhi di chi non conosce la situazione di queste persone. Non è così, sono esercizi che aiutano molto le persone che hanno subito dei traumi importanti” spiega la psicologa di MSF a bordo, Marie France Leblanc che di primo mattino scende sul ponte dove sono state alloggiate le 37 persone salvate per svolgere questa attività fisica con altri membri del gruppo. Un momento di svago per chi opera sulla nave di salvataggio ma di fondamentale importanza per le persone che hanno rischiato la vita, in Libia prima, in mare poi. Quando sono centinaia di persone cerchiamo di dividerle in gruppi e dare loro la possibilità di poter partecipare alle attività. Dopo aver pulito lo spazio dove dormono le 37 persone, i bagni e le docce, al lavoro ci sono le stesse persone salvate, arriva il momento di barba e capelli. Vengono messi a disposizione rasoi e forbici e a turno si tagliano capelli e barba tra loro “per arrivare ordinati in Italia, un modo per farli sentire meglio, sistemati e puliti” spiegano i mediatori culturali. Le lezioni di italiano per imparare le frasi comuni e i numeri anche attraverso disegni e giochi, la spiegazione di ciò che prevedono le leggi in Italia e in Europa con l’ausilio di un video nella loro lingua di origine sono tra le altre attività organizzate dalla crew mentre medici e infermiera hanno allestito un punto di incontro dove poter fare un consulto privato, poter controllare la pressione e fare un controllo medico prima di scendere a bordo. “Lunedì mattina presto arriveremo a Napoli – spiega al microfono Margot, la responsabile dell’accoglienza delle persone salvate – abbiamo a disposizione ancora diverse ore. Tempo che potete utilizzare per sciogliere ogni vostro dubbio in merito alla situazione legale in Italia e in Europa, ma non solo e per procedere ad un consulto medico”. Ore importanti per chi non sa cosa accadrà, cosa sarà della loro vita. Intanto, la Geo Barents continua la sua navigazione verso Napoli mentre le cronache raccontano di un barcone disperso nel Mediterraneo, con almeno 40 persone a bordo, segnalato alla stessa nave di MSF dalle autorità italiane dopo il salvataggio effettuato nella notte tra l’11 e il 12 gennaio. Alla Geo Barents, distante 10 ore di navigazione dal punto dove era stata indicata la presenza di un barcone in difficoltà, dalle autorità italiane è stato ordinato di cercare ma di non cambiare rotta come prevede la legge approvata a febbraio 2023. Le ricerche sono state vane e l’impossibilità di poter cambiare rotta ha impedito di cercare ancora, al momento di loro ancora nessuna notizia.