Il 3 ottobre 2013 un peschereccio si ribaltò a meno di mezzo miglio dalle coste di Cala Croce: i sopravvissuti furono 155, fra cui 41 minori. È una delle peggiori stragi nel Mediterraneo dall’inizio del ventunesimo secolo. Le ricerche dei corpi delle vittime durarono più di una settimana e non mancarono polemiche e contestazioni civili e politiche. Da allora, in questo giorno si celebra la Giornata della Memoria e dell'Accoglienza
Sono passati 10 anni da quello che rimane uno dei più gravi naufragi nel Mediterraneo dall’inizio del ventunesimo secolo. Era il 3 ottobre 2013: al largo di Lampedusa un peschereccio carico di migranti si rovesciò, causando 368 morti accertati - di cui 360 eritrei - oltre a circa 20 presunti dispersi. I superstiti furono 155, fra cui 41 minori. "Non sappiamo più dove mettere i morti e i vivi. È un orrore", disse quel giorno l’allora sindaco, Giusi Nicolini, tra le lacrime, mentre guardava arrivare e partire le motovedette cariche di cadaveri. "Provo vergogna e orrore", dichiarò il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Da allora, il 3 ottobre è diventato la Giornata della Memoria e dell'Accoglienza.
La dinamica del naufragio
Alle 5 del mattino il peschereccio lungo una ventina di metri, carico di migranti eritrei stipati anche nella sala macchine, si ferma a meno di mezzo miglio dalle coste di Cala Croce. È partito due giorni prima da Misurata, in Libia. Quando la costa dell'isola è già visibile dal mare, i motori del peschereccio si fermano e qualcuno di quelli che sono alla guida dell'imbarcazione decide di dar fuoco a delle coperte: le fiamme, pensano, serviranno a renderli visibili da chi è a terra e dalle altre navi. "Ci fu un guasto e il tizio che era al comando diede fuoco a un panno per cercare di segnalare l'imbarcazione - racconterà un anno dopo un sopravvissuto - ma il fuoco arrivò alla benzina che era lì vicino, e da quel momento è iniziato il dramma". Le fiamme si propagano subito sul ponte, dove ci sono almeno 300 persone. Molte di loro, proprio perché schiacciate una sull'altra, non vedono neanche l'origine dell'incendio ma solo un gran fumo. Mentre tutti quelli che si trovano nella stiva o nella sala macchine non solo non vedono niente, ma neanche si accorgono di nulla. I migranti presi dal panico cominciano a gettarsi in acqua ma, soprattutto, si spostano tutti insieme sul lato opposto della barca a quello dove ci sono le fiamme. Il barcone si piega fino a quando l'acqua comincia a entrare. In pochi istanti il peschereccio si immerge e tocca il fondale, 45 metri più in basso. Per quelli che sono nella stiva non c'è neanche possibilità di muoversi. Inoltre, centinaia di litri di carburante finiscono in mare e intossicano molti dei naufraghi che stanno cercando di salvarsi.
vedi anche
Migranti, a Milano installazione per ricordare la strage del 3 ottobre
Il racconto di un sub
Le operazioni di recupero delle vittime durano più di una settimana e coinvolgono sommozzatori e sub, anche volontari. Fra loro c’è Rocco, che ha un diving center sull’isola, e il giorno del naufragio è il primo a immergersi dopo che il sonar del peschereccio Graziella individua il relitto. "Vuoi saperlo davvero che c'è là sotto? C'è l'orrore. Ci sono decine di corpi, forse centinaia. Stanno uno sull'altro, ammassati e incastrati. I più fortunati sono quelli che sono morti per primi - dice Rocco il 4 ottobre del 2013 - Gli altri quando hanno capito che stavano morendo, hanno tentato di fuggire e si sono schiacciati uno con l'altro, rimanendo bloccati nella stiva. Si vedono corpi tutti incastrati, uno sull'altro. Sembrano dei massi, ce ne sono sulla coperta e all'ingresso della stiva. È come assistere a una scena di un film dell'orrore".
approfondimento
Migranti, nel 2023 meno di 4mila persone portate in Italia da nave Ong
Il lutto nazionale, i mancati funerali di Stato e le polemiche
Dopo la tragedia, in Italia viene proclamato il lutto nazionale e vengono annunciati funerali di Stato per le vittime che, però, non saranno mai celebrati. Non è però questa l’unica polemica che scoppia dopo il naufragio. Vengono criticate diverse leggi in materia di immigrazione come la Turco-Napolitano, il decreto Maroni e la legge Bossi-Fini, sulla base della quale i sopravvissuti vengono indagati per il reato di immigrazione clandestina. Il 9 ottobre il presidente del Consiglio Enrico Letta viene duramente contestato mentre visita Lampedusa insieme al presidente della Commissione europea José Manuel Barroso. La tensione sale anche a causa del racconto di alcuni superstiti secondo cui alcune imbarcazioni, pur avendo visto il peschereccio in difficoltà, non si sarebbero fermate a soccorrerlo. Poi due giorni dopo la tragedia un diportista che con alcuni amici ha salvato 47 migranti dal naufragio dice: "Noi eravamo in otto sulla mia barca e ci siamo sbracciati per cercare di salvare quante più persone potevamo. Ho visto su tutti i siti di Internet il video di uomini della Capitaneria di porto che riprendeva un salvataggio. Mi chiedo perché facevano riprese invece di salvare la gente? Se la prendevano alla leggera, non è così che si agisce mentre la gente bolle in mare. Hanno rifiutato di prendere a bordo qualche persona che avevamo già salvato perché il protocollo, hanno detto, lo vietava". A stretto giro il comando delle capitanerie di porto, per sgombrare il campo dalle polemiche, afferma che il primo allarme sul naufragio è arrivato alle 7 di mattina - tramite chiamata vhf -, che un quarto d'ora dopo le motovedette della Guardia Costiera erano già in mare e alle 7.20 sono arrivate nel punto della tragedia.
approfondimento
Unicef: "Il Mediterraneo è diventato un cimitero per bambini"
Le condanne
Pochi giorni dopo il naufragio un uomo tunisino, Khaled Bensalem, viene fermato e accusato di favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, naufragio e omicidio volontario plurimo. L’1 luglio 2015 viene condannato a 18 anni di reclusione: il giudice, come chiesto dal pm, riqualifica le accuse in naufragio colposo e "morte provocata come conseguenza di un altro reato", escludendo così il dolo che avrebbe portato a una condanna molto più severa. La pena, inoltre, è ridotta di un terzo per effetto del rito abbreviato. Il 6 settembre 2017 arriva poi la conferma della Cassazione della condanna a 30 anni di reclusione - già inflitta in primo grado e in appello - per Muhidin Elmi Mouhamud, trafficante somalo riconosciuto da alcuni dei migranti sopravvissuti al naufragio come membro dell'organizzazione armata che sequestrò 130 eritrei nel deserto tra Sudan e Libia, sottoponendoli a trattamenti inumani e facendoli imbarcare sulla nave poi affondata. A suo carico non solo l'accusa di tratta di esseri umani e il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina, ma anche la violenza sessuale nei confronti di venti donne eritree. I sopravvissuti hanno raccontato di essere stati sequestrati nel deserto e tenuti prigionieri in una casa fino a quando si sono fatti mandare dai familiari 3.000 dollari da pagare ai sequestratori. Poi sarebbero stati necessari altri 1.600 dollari per salire su motoscafi con i quali avrebbero raggiunto il barcone destinato a naufragare.
leggi anche
Migranti, Von der Leyen: "Serve accordo tra Stati dell'Unione europea"
Il processo al peschereccio Aristeus
Nel 2017 la Procura di Agrigento indaga sette persone per non aver prestato soccorso all’imbarcazione naufragata quattro anni prima vicino a Lampedusa e per non aver avvisato le autorità dopo averla individuata: si tratta del comandante e di sei membri dell’equipaggio di un peschereccio. L’anno successivo i sette vengono rinviati a giudizio per omissione di soccorso e nel 2020 arriva la condanna di primo grado dal Tribunale di Agrigento: sei anni di reclusione per il capitano, quattro anni per gli altri. Gli imputati, durante il processo, scelgono di non fare dichiarazioni. Secondo quanto riferito da L’Espresso, “i tracciati del loro Ais, il sistema di identificazione automatica a bordo del peschereccio, dimostrano che per cinquantasette minuti si sono fermati e hanno girato intorno all’imbarcazione stracarica di profughi che, con il motore fermo, prima di affondare gridavano e chiedevano loro aiuto”.
approfondimento
Migranti e sbarchi, il peso delle Ong sul totale dei salvataggi
La strage dei bambini
Nel 2013 quella del 3 ottobre non fu l’unica tragedia al largo di Lampedusa. Pochi giorni dopo, l’11 ottobre, un altro barcone naufraga in quello che venne definito "il naufragio dei bambini". Muoiono 268 persone, fra cui 60 bambini. La prima richiesta di soccorso arriva alle 12.26: il barcone imbarca acqua dopo essere stato colpito da raffiche di mitra sparate da una motovedetta libica, si trova più vicino a Lampedusa che a Malta, ma l’area di responsabilità per la ricerca e il soccorso è quella maltese. La Valletta assume il coordinamento, ma poi decide di non intervenire e chiede l’impiego della nave Libra della Marina Militare. Alle 17.07 il barcone si capovolge e si consuma la seconda tragedia in pochi giorni. Il 2 dicembre 2022 si è chiuso il processo nei confronti di Leopoldo Manna e Luca Licciardi, rispettivamente all'epoca dei fatti responsabile della sala operativa della Guardia Costiera e comandante della sala operativa della squadra navale della Marina: la seconda sezione penale del tribunale di Roma ha dichiarato estinti i reati per intervenuta prescrizione nei confronti dei due ufficiali, nei confronti dei quali la procura aveva comunque chiesto l'assoluzione perché "il fatto non sussiste". Le accuse nei confronti di Manna e Licciardi erano di omicidio colposo e rifiuto d'atti d'ufficio e l'indagine fu avviata in relazione a presunti ritardi nei soccorsi: nel 2017 la procura aveva chiesto la sua archiviazione ma il gip si era opposto. I due ufficiali erano accusati di aver ritardato l'intervento della nave militare italiana Libra, che si trovava a poca distanza dalla zona in cui si verificò il naufragio. Si parlò di un "buco" di 45 minuti nella decisione di intervento delle autorità italiane. I superstiti raccontarono di aver chiamato diverse volte la Guarda Costiera ma che "le autorità italiane erano convinte che la competenza fosse maltese". Secondo la ricostruzione dei magistrati di Piazzale Clodio, la segnalazione da parte delle autorità di Malta agli omologhi italiani era arrivata alle 16.22. E alle 17.07 l'imbarcazione si capovolse. Così la procura di Roma, lo scorso 4 ottobre, aveva chiesto l'assoluzione per Manna e Licciardi. Per i pm non c'era stata "la volontà degli imputati di volere la morte dei migranti". Da parte dei due ufficiali, hanno affermato i pm nella requisitoria, non c’è stato "alcun dolo. Le procedure, seppur farraginose dell'epoca, sono state rispettate" e "i due ufficiali non si sono disinteressati e hanno compiuto le procedure previste all'epoca".