"Da soli non si può far nulla". Crescere un figlio autistico in una società impreparata

Cronaca

Chiara Martinoli

In occasione della giornata mondiale sulla consapevolezza dell'autismo, abbiamo parlato con alcune mamme e papà di bambini e ragazzi autistici. Abbiamo chiesto loro di parlarci della propria esperienza, per capire come è cambiata nel tempo la consapevolezza e percezione dell'autismo e quali sono i passi avanti che la società deve ancora fare. 

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L’autismo, come qualsiasi altra condizione umana, ha una quantità infinita di sfaccettature. Tempo fa avevamo affrontato il tema chiedendo a delle persone autistiche adulte di spiegarci che cos’è l’autismo. Oggi invece abbiamo scelto di dare la parola a mamme e papà di bambini e ragazzi che non possono raccontare la propria esperienza in prima persona. Nei loro racconti, la testimonianza di un percorso di crescita reciproco genitore-figlio, le paure per il futuro e le speranze per una società più inclusiva e consapevole. 

Qual è stata la vostra prima reazione quando avete scoperto che vostro figlio è autistico? 

 

Teresa, mamma di Carlo (9 anni): Nel momento della diagnosi, anche per il modo un po’ traumatico con la quale ci è stata comunicata, penso di aver provato un immenso dolore. 

 

Roberto, papà di Victor (24 anni): La senzasione che abbiamo avuto è stata quella di paura. Paura per lui, per il suo futuro, ma paura anche per il nostro. 

 

Rossella, mamma di Davide (4 anni): Siamo stati spaventati, non lo nascondo. Quando ti danno la diagnosi comunque lo spavento arriva, ti dici “e adesso cosa devo fare?”. Poi ci siamo resi conto che in fin dei conti nulla era cambiato: Davide era lo stesso bambino di prima. Un bambino affettuoso, che comunica in modo diverso. Spesso la parola autismo fa paura, ma non dovrebbe, perché è semplicemente la definizione che ti permette di aprire la porta verso un mondo diverso. E diverso spesso è bello. 

 

Chiara, mamma di Vera (8 anni): Ci è crollato il mondo addosso, ci siamo sentiti persi, spaesati: ci è servito tempo per capire come affrontare un po’ il tutto.

 

Martina, mamma di Sofia (9 anni) e Alice (7 anni): La mia prima reazione in realtà è stata quasi di sollievo, perché finalmente avevo una risposta. Avevo notato improvvisi cambiamenti nella mia bambini e non sapere che cosa stava succedendo è stato molto angosciante. La diagnosi in sé è stata appunto un sollievo, mi sono detta "finalmente adesso ho una spiegazione, ho la chiave: da qui partiamo per capire e imparare". Oltretutto, subito dopo ho ricevuto anche io la diagnosi, scoprendo a mia volta di essere autistica. Per me è stata una cosa importante, perché anche lì è come se avessi avuto finalmente la chiave per capirmi davvero, per capire alcune situazioni della mia vita. 

 

 

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Eravate a conoscenza di che cos’è l’autismo prima della diagnosi di vostro figlio e come è cambiata la vostra percezione dell’autismo?  

Martina: In realtà non conoscevo veramente quasi niente dell’autismo, era anzi molto stereotipata l’idea che avevo. La mia percezione dell’autismo è poi pian piano cambiata nel momento in cui ho compreso il concetto di spettro autistico e man mano che leggevo e studiavo. 

 

Teresa: Quello che allora conoscevo dell’autismo erano le immagini stereotipate del bambino nella bolla o di Rain man. Da un lato, questo mi preoccupava molto. Dall’altro, facevo estrema fatica a collocare mio figlio all’interno di queste due categorie. Lui era diverso da quello che conoscevo come autismo, per cui per molto tempo l’ho esaminato molto attentamente nel tentativo di riconoscere tutti qui segnali che potessero aiutarmi a capire dove andarlo a inserire in quello che io conoscevo. Ma non era quello che avrei dovuto cercare di capire. Nel tempo ho smesso di considerare ed esplorare "Carlo il bambino autistico", cercando quindi di ricondurre all’autismo qualsiasi cosa che non comprendevo e qualsiasi comportamento che mi sembrava strano, e ho ricominciato a vedere effettivamente il bambino. Perché in fin dei conti mio figlio era lo stesso rispetto al giorno precedente la diagnosi. Ho iniziato a mettere in discussione me stessa come madre e come persona.  Ho lavorato su di me per imparare a capire lui.

 

 

Quanto conta la presenza, l’aiuto e la consapevolezza da parte della società nella crescita di una bambina o di un bambino autistico? 

Teresa: Direi che conta tantissimo. Crescere ed entrare in un bambino autistico che ha anche una disabilità è molto faticoso, perché la disabilità è sempre vista come un fatto personale che ricade sulla persona e su chi gli sta accanto. Essere genitori caregiver è una sfida quotidiana. La crescita e l’educazione di mio figlio ovviamente spettano a me in quando genitore, mentre credo che la fatica e la gestione di una complessità che deriva dalla disabilità dovrebbe essere condivisa. 

 

Marco, papà di Davide: La cosa non è proprio semplice: la asl ci ha seguito e ci ha supportato, però quando vuoi cercare di capire qualcosa di più, quando ti serve qualche informazione in più, cominciano i problemi e le complicazioni. Perché le informazioni non è così facile trovarle. Manca un po’ una rete, una rete comune che ti permetta di capire che cosa ti serve e che ti indirizzi verso il posto giusto.

 

Martina: Quando si va in qualsiasi situazione diversa da casa, anche solo al pronto soccorso, può essere una situazione veramente difficile da gestire, perché non è detto che si trovi veramente comprensione e supporto. Mi sembra che per ora tutto sia affidato all’individualità della persona che si incontra, invece sarebbe giusto che ci fosse una formazione reale del personale, in modo da poter assistere in modo più adeguato anche bambini non in grado di comunicare, non in grado di capire la situazione, che vanno in ansia. Il concetto di inclusione spesso e volentieri è molto teorico e molto poco reale. C’è sicuramente ancora tanto lavoro da fare all’interno della società.

 

Roberto: Anche alle istituzioni dobbiamo dire qualcosa: da soli non è possibile fare nulla. Abbiamo bisogno di aiuti, aiuti concreti, che ci aiutino a sviluppare al meglio la vita e il futuro dei nostri figli. 

 

 

Quali sono le vostre principali paure o speranze? 

Roberto: La paura principale che noi abbiamo è quella del futuro: che cosa succederà a nostro figlio quando noi non ci saremo? Quindi tutti gli sforzi che stiamo facendo sono concentrati per garantire a Victor un futuro, un futuro sereno, un futuro con persone che, dopo che noi non saremo più in grado di occuparcene, saranno in grado di fargli condurre una vita che lui ama e che in qualche modo lo rende felice.

 

Chiara: La paura più grande è il futuro, assolutamente. Quello che ci auguriamo è che Vera possa imparare a comunicare con i bimbi intorno e ad essere più autonoma possibile.

 

Teresa: La mia speranza è che mio figlio abbia la possibilità di trovare il suo posto in questa società. La mia paura è che questo non accada.  

 

Marco: Quello che mi spaventa di più è non sapere come Davide crescendo sarà accolto dalla società. La mancanza di informazioni, la paura che la parola "autismo" a volte suscita in chi non conosce bene l’argomento o lo conosce superficialmente, tutto questo ci spaventa un po’. Non sapere come sarà: se Davide potrà avere una famiglia, se potrà lavorare, come potrà essere inserito nella società.

 

 

Che cosa direste a un genitore che scopre a sua volta di avere un figlio autistico? 

Roberto: Quello che invito a fare a tutte le persone che si trovano in questa condizione è farsi aiutare. Perché l’idea che spesso si ha è di potercela fare da soli, quella di essere solo noi in grado di occuparci di nostro figlio.  

 

Rossella: Restare aperti alla possibilità di imparare, di imparare sempre più cose del proprio bimbo. Lo dico da mamma: a volte le mamme pensano di sapere tutto sui propri figli perché li abbiamo messi al mondo, in realtà non è così, per nessun bambino! E poi affidarsi, affidarsi a chi può dare dei consigli giusti, mirati, anche sulle piccole cose, su dettagli di come si gestisce la vita familiare, che fanno veramente la differenza. 

 

Teresa: Consiglierei di guardare al proprio figlio come un bambino. Un bambino che ha diritto di crescere ed essere educato nel modo per lui adeguato. 

 

Marco: Di non far finta di niente, di non aver paura... ma soprattutto di non far finta di niente.

 

Martina: Cercare prima di tutto la felicità del proprio figlio. Non è che cambi molto se tuo figlio è o non è autistico, l’obiettivo principale è sempre questo: che sia felice.

 

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