Naufragio Crotone, educhiamo i nostri bambini a vedere quelle immagini
CronacaI piccoli naufraghi pensavano, parlavano e speravano come i nostri figli e i nostri nipoti, perché si appartengono. Cittadini di un mondo che non è mai stato così vicino, dove le immagini viaggiano e raccontano le intollerabili asimmetrie dei luoghi, solleticando il diritto di muoversi, di raggiungere l’altrove, nuovi diritti. Possiamo nascondere la marmellata ai bambini, ma non riusciremo mai più, meglio rassegnarsi, a convincerli che oltre le pareti di cristallo non vi sia nulla
“La situazione è peggio di quello che si sta dicendo in televisione. Il barcone potrebbe essere esploso per una fuga di gasolio. La cosa ancora più devastante sono i bambini in ospedale che chiedono dei loro genitori. La primaria del reparto che ho vista stamattina è disperata. Domani vediamo cosa possiamo fare, ma credimi non riesco neanche a piangere”. Così un amico calabrese. Mentre ripenso a quelle parole, a quei viaggiatori così audaci e sventurati, mi chiedo quanto è grande il mondo che ci ospita. La risposta è semplice, non esiste una misura oggettiva del Pianeta, dipende molto dalla nostra condizione economica.
Quelle creature non avevano deciso di fare quello specifico viaggio
Apparteniamo allo stesso segmento di tempo, eppure pochi possono dire che la circonferenza della Terra è di 40 mila chilometri circa, coloro che possiedono le risorse necessarie per coprirla tutte le volte che lo desiderano, mentre il resto si muove intorno al proprio quartiere, alla propria città, al proprio paese. Tra questi ultimi, crescono coloro che cercano di violare i vincoli spaziali, anche per sconfiggere la fame e i pericoli dei conflitti, raramente incontrando la simpatia o la solidarietà di chi, senza merito, è nato nei quadranti giusti, quelli dai quali si vede più mondo, e vorrebbe lasciare le cose come stanno. La pretesa peggiore, tuttavia, è volere educare i propri bambini, già privilegiati, come se esistessero solo loro, senza rendersi conto che oramai è impossibile e che così li si condanna a una prigione ancora più angusta di quella riservata ai paria, perché questa trascrizione del Pianeta è morta per sempre. Tale pretesa arriva dagli stessi educatori che crocefiggono gli insegnanti perché, a loro dire, non si comportano secondo gli interessi degli idoli di mamma e deludono le ipertrofiche attese dei genitori. Sono loro che sperano di vedere sparire presto le fastidiose immagini del naufragio e della ventina di bambini, in tutto simili ai loro, perduti per sempre, uno dei quali era appena nato. Certamente quelle creature non avevano deciso di fare quello specifico viaggio. Lo avevano scelto i genitori, in nome e per conto dei figli, ma solo una persona affetta da qualche forma di disturbo interiore, magari aggravato dalla desolazione di un pregiudizio ideologico, può pensare che quelle mamme e quei papà siano colpevoli, giacché chi è genitore spera sempre di fare il bene dei figli, ancora di più quando l’alternativa è tra una vita puramente biologica e un’esistenza che possa ambire a una prospettiva dignitosa, umana. I bambini si fidano dei loro genitori, non possono neppure prendere in considerazione l’idea che agiscano contro i loro interessi, al contempo i genitori sentono questi slanci vitali nella loro prole che, mai come oggi, percepisce di essere cittadina del mondo e chiede agibilità.
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Più effimeri del bronzo
Il naufragio vicino alle coste calabresi mi ricorda quello di venticinque secoli prima, nello stesso mare, quando la nave che trasportava i bronzi di Riace affondò, anche quella in prossimità della riva, ma per le statue sarebbe stata una fortuna, il preludio ad una celebrità perenne. Per quei bambini, invece, non è così, loro sono finiti, terminati, non ci sarà un domani e neppure un recupero fortunoso tra duemila anni, quando non saranno più disponibili neppure le loro ceneri. Siamo effimeri, assai più del bronzo, sarebbe meglio lo ricordassero anche coloro che decidono quanto debbono essere permeabili le frontiere, persino ora che l’infanzia esige che la propria innocenza diventi il motore dell’oggi e del domani. Il tempo di quelle povere creature è cessato con un angoscioso, terribile, ultimo respiro, quando i polmoni, sopraffatti dall’intrusione di un elemento innaturale, l’acqua, avevano dovuto cedere. Non si può negare tale tragedia ai nostri scolari, eppure sono convinto che se domani un insegnante decidesse di parlare alla classe della strage per annegamento, tanti genitori eccepirebbero, perché i piccoli “si impressionano” e perché noi educatori teniamo tutto sottochiave, come se ciò che riguarda i bambini fosse nostra proprietà. Parliamo di loro, decidiamo come sono fatti, ma li teniamo lontani da quei saperi che li riguardano.
Una prepotenza di cui urge rovesciare la logica, consegnando ai piccoli quanto gli appartiene di diritto. Lo dobbiamo anche a noi adulti, perché bambini inconsapevoli significa assenza del loro contributo, messaggero esclusivo di quelle novità che rendono il percorso educativo degno di questo nome. Significa educazione unidirezionale. Primitiva, sgradevole, atipica e ingiusta forma di colonizzazione delle nuove generazioni.
Meglio raccontare la realtà
L’obiettivo, necessario e vitale, è sottrarre i bambini all’umiliante condizione di fruitori, come tanti malati terminali, di informazioni filtrate, depurate, edulcorate, bambini appendici di adulti che spesso confondono il loro passato, la loro infanzia, le loro attese con la realtà incomparabile dei piccoli, di cui si illudono di conoscere sogni e idee. Adulti che decidono come deve accadere il mondo, salvo lamentarsi quando i bambini scoprono le bugie e si ribellano, diventando “ragazzi difficili”. I piccoli naufraghi pensavano, parlavano e speravano come i nostri figli e i nostri nipoti, perché si appartengono. Cittadini di un mondo che non è mai stato così vicino, dove le immagini viaggiano e raccontano le intollerabili asimmetrie dei luoghi, solleticando il diritto di muoversi, di raggiungere l’altrove, nuovi diritti. Possiamo nascondere la marmellata ai bambini, ma non riusciremo mai più, meglio rassegnarsi, a convincerli che oltre le pareti di cristallo non vi sia nulla. Prepariamoci a contare sempre più cadaveri di bambini, perché loro non si fermeranno, chi decide per essi dovrà prenderne atto, e se vogliamo evitare che i nostri figli arrivino a questo appuntamento con svantaggi incolmabili, sarà meglio smetterla di trattarli come una specie protetta e raccontargli la realtà, perché a quella dovranno rapportarsi, non a quelle caricature inventante dalle nostre speranze e dalle nostre ansie.
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Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).
È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/