Introduzione
Donato "Denis" Bergamini non si suicidò gettandosi sotto un camion in transito lungo la statale 106, come fu detto all'epoca: prima fu ucciso e poi il suo corpo fu disteso sulla strada, quando era già morto. Di quell'omicidio è responsabile l'ex fidanzata Isabella Interò, il cui movente è legato al fatto che Bergamini non avrebbe voluto sposarla, lasciandola quando lei era rimasta incinta. È questa la conclusione a cui sono giunti, a 35 anni dai fatti, i giudici della Corte d'assise di Cosenza che hanno condannato la donna - imputata per omicidio volontario premeditato in concorso con ignoti - a 16 anni di reclusione
Quello che devi sapere
Un caso giudiziario durato oltre 30 anni
Nell'emettere la sentenza i giudici hanno riconosciuto la premeditazione, ma hanno ritenuto le attenuanti prevalenti sulle aggravanti. Un processo, quello per la morte di Bergamini, durato tre anni, ma giunto al termine di una vicenda giudiziaria che ne ha richiesti 32, con due riaperture dell'inchiesta e la riesumazione della salma del calciatore di Argenta (Ferrara), morto lungo la statale 106 a Roseto Capo Spulico, il 18 novembre 1989
Le indagini concluse con la prima archiviazione
All’epoca si disse che Bergamini si era suicidato gettandosi sotto le ruote di un camion in corsa, che lo avrebbe trascinato per circa 60 metri. Le testimonianze delle persone presenti, quella della fidanzata e quella dell’autista del camion che avrebbe investito il calciatore, confermarono quell’ipotesi. Le indagini furono dunque archiviate e nel 1992 il camionista, accusato di omicidio colposo, fu assolto
I dubbi sul suicidio e le testimonianze ignorate
L’ipotesi di suicidio e la ricostruzione dei fatti non furono però ritenute credibili dai familiari, dai tifosi e dai compagni di squadra di Bergamini, le cui testimonianze non furono mai prese in considerazione. Alcuni raccontarono che, prima della morte, Bergamini era al cinema con loro, ma che se ne andò all’improvviso con due persone, altri che prima di andare al cinema ricevette una telefonata che lo turbò. Il corpo non presentava ferite compatibili con la versione del suicidio, non era sporco di fango, nonostante la pioggia e le pozzanghere presenti sul luogo dell’incidente, le scarpe erano pulite e l’orologio perfettamente funzionante
La sparizione dei vestiti e la perizia non considerata
I vestiti che il calciatore indossava al momento del decesso sparirono dall’ospedale e non furono mai analizzati. Inoltre, una perizia del 1990 del medico legale Francesco Maria Avato parlava di evirazione e tortura e sosteneva che Bergamini fosse già morto prima dell’impatto con il camion. Quella stessa perizia, tuttavia, non fu presa in considerazione dai magistrati dell'epoca
La mobilitazione e la riapertura dell'inchiesta
Dopo l’archiviazione a Cosenza prese il via una mobilitazione per chiedere giustizia sulla morte del calciatore. Il 14 giugno del 2011 venne formalmente richiesta la riapertura dell’inchiesta e pochi giorni dopo la procura di Castrovillari acconsentì. A far riaprire il caso furono soprattutto due nuove perizie, una del Ris di Messina e un’altra dei medici legali Roberto Testi e Giorgio Bolino, commissionata dal padre di Bergamini. Entrambe sostenevano che le ferite mortali sul cadavere non fossero compatibili con quelle di un impatto così violento contro un camion in corsa
La riesumazione e la conferma del suicidio inscenato
Nel 2017 il caso fu è stato ulteriormente riaperto con la riesumazione del cadavere di Bergamini per effettuare l’autopsia, il cui esito è stato depositato nel novembre dello stesso anno: i nuovi esami stabilirono che Bergamini fosse stato prima ucciso e poi gettato sotto il camion per inscenare un suicidio
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- Un caso giudiziario durato oltre 30 anni
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