Messina Denaro, arrestato a Campobello il medico del boss Alfonso Tumbarello

Cronaca
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I reati contestati al professionista sono concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico. In manette anche Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato l'identità al boss e ha acquistato per suo conto la casa in cui il latitante ha trascorso gli ultimi mesi. 

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I carabinieri del Ros hanno arrestato Alfonso Tumbarello, il medico di Campobello di Mazara accusato di aver curato per anni Matteo Messina Denaro durante la latitanza. I reati contestati al professionista sono concorso esterno in associazione mafiosa e falso ideologico. In manette è finito anche Andrea Bonafede, cugino e omonimo del geometra che ha prestato l'identità al padrino e ha acquistato per suo conto la casa in cui il boss ha trascorso gli ultimi mesi. A lui i pm contestano il favoreggiamento e la procurata inosservanza di pena aggravati dall'aver favorito Cosa nostra.

Percorso terapeutico durato oltre due anni

Secondo i pm - l'indagine è coordinata dal procuratore di Palermo Maurizio de Lucia e dall'aggiunto Paolo Guido - Tumbarello, medico di base di Campobello, ha assicurato a Messina Denaro l'accesso alle cure del Servizio Sanitario Nazionale attraverso un percorso terapeutico durato oltre due anni, con più di un centinaio di prescrizioni sanitarie e di analisi (o richieste di ricovero) intestate falsamente ad Andrea Bonafede, mentre in realtà a beneficiarne era il capomafia, assistito personalmente e curato dal dottore.

Contributo a nascondere la reale identità del boss

Tumbarello ha così garantito al "padrino" non solo le prestazioni necessarie per le gravi patologie di cui soffriva, ma gli ha assicurato riservatezza sulla sua reale identità, e dunque gli ha consentito di continuare a sottrarsi alla cattura e di restare a Campobello di Mazara a capo dell'associazione mafiosa. Bonafede si è occupato invece di ritirare le prescrizioni di farmaci ed esami clinici fatte da Tumbarello a nome del cugino, di consegnare al medico la documentazione sanitaria che di volta in volta il boss riceveva durante le cure, contribuendo così anche lui a mantenere segreta la reale identità del "paziente" e consentendogli di proseguire la latitanza.

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