Messina Denaro, Bonafede non risponde alle domande. Avvocato: "Aspettiamo fine indagini"

Cronaca
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L’uomo di fiducia del capo di Cosa Nostra, accusato di associazione mafiosa e sospettato dagli inquirenti di essere un uomo d’onore vicino al boss, si è avvalso della facoltà di non rispondere durante l'interrogatorio di garanzia davanti al gip e al pm Piero Padova. Nel registro degli indagati sono iscritti anche Vincenzo e Antonio Luppino, figli di Giovanni, l’autista che ha accompagnato il latitante alla clinica Maddalena il giorno dell’arresto

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Nessuna parola da Andrea Bonafede: il geometra incensurato, arrestato con l'accusa di avere prestato la sua identità al boss Matteo Messina Denaro, si è avvalso della facoltà di non rispondere durante l'interrogatorio di garanzia. Ha quindi deciso di non rispondere alle domande del gip e del pm Piero Padova, che oggi lo hanno interrogato nell'aula bunker del carcere Pagliarelli di Palermo. L'accusa a suo carico è di associazione mafiosa. Secondo il gip, che ha accolto la richiesta di misura cautelare formulata dal procuratore Maurizio de Lucia, dall’aggiunto Paolo Guido e dal pm Piero Padova, Bonafede sarebbe un uomo d’onore riservato, estraneo al giro stretto del boss in modo da allontanare i sospetti degli investigatori. "L'ho trovato bene. Aspettiamo la conclusione delle indagini", ha dichiarato dopo l'interrogatorio di garanzia Aurelio Passante, legale di Bonafede.

L’ipotesi degli inquirenti

Secondo chi indaga, Bonafede avrebbe ceduto al capomafia il proprio documento di identità affinché potesse metterci la sua fotografia. In questo modo il documento sarebbe stato utilizzato da Messina Denaro per accedere alle cure del servizio sanitario nazionale con un falso nome almeno dal 13 novembre 2020, quando cioè venne operato all’ospedale di Mazara del Vallo. Un’ipotesi ulteriormente avvalorata anche dalle immagini catturate dalla telecamera di sorveglianza di un supermercato di Campobello di Mazara, dove si vede Matteo Messina Denaro girare tra le corsie col carrello. Per gli investigatori questo è un riscontro importante del fatto che il padrino di Castelvetrano vivesse stabilmente nell'appartamento di vicolo San Vito acquistato per lui dal vero Andrea Bonafede. Il geometra avrebbe inoltre consentito al boss di attivare una carta bancomat che Messina Denaro ha utilizzato per sostenere le spese necessarie per il sostentamento durante la latitanza e ha acquistato, per conto del padrino, un appartamento in vicolo San Vito con 20mila euro in contanti dati direttamente dal capo trapanese di Cosa Nostra. Inoltre, sempre grazie al suo uomo d'onore riservato, il capomafia ha potuto disporre di una Fiat 500 e poi di una Giulietta con cui muoversi indisturbato. Entrambe le auto - i documenti sono stati trovarti nel covo del boss – erano state formalmente intestate alla madre disabile ottantasettenne del geometra. 

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Gli iscritti nel registro degli indagati

E si allunga la lista dei fiancheggiatori del boss finiti sotto indagine. Nel registro degli indagati sono stati iscritti Vincenzo e Antonio Luppino, figli di Giovanni, l'incensurato che ha accompagnato il capomafia alla clinica Maddalena, dove entrambi, lunedì, sono stati arrestati. E proprio la responsabile legale della struttura sanitaria Alessia Randazzo, con un lungo post su Fb, oggi ha replicato a "volgarità, insinuazioni e illazioni" sulla clinica lanciando anche un appello al boss di parlare, visto che gli resta poco da vivere. Sul fronte investigativo continua la caccia degli inquirenti, che continuano a controllare le possibili case di favoreggiatori, l'immobile in cui il capomafia abitava, il vecchio covo di via San Giovanni e la stanza segreta scoperta la scorsa settimana nell'appartamento di una vecchia conoscenza del capomafia: Errico Risalvato, fratello di uno dei fedelissimi del capomafia, già condannato.

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Messina Denaro rinuncia a comparire

Intanto il boss Matteo Messina Denaro ha rinunciato a comparire all'udienza preliminare in un processo a Palermo dove sono coinvolti padrini, gregari della mafia agrigentina e l'avvocata Angela Porcello. La posizione del capomafia era stata stralciata perchè Messina Denaro era latitante: in queste circostanze la legge prevede la sospensione del procedimento. Questo processo nasce da una indagine della Dda coordinata da Paolo Guido che portò a decine di arresti. La tranche si era conclusa con condanne a pene, comprese tra 10 mesi e 20 anni, a mafiosi di boss e professionisti agrigentini accusati a vario titolo di associazione mafiosa. Tra i condannati presenti anche un poliziotto e un agente penitenziario che rispondevano, rispettivamente, di accesso abusivo al sistema informatico e rivelazione di segreto d'ufficio. Il processo, celebrato con il rito abbreviato, aveva visto anche la condanna dell'avvocata Porcello a 15 anni e 4 mesi per associazione mafiosa. Secondo quanto ricostruito dai pm per due anni, nell'ufficio della penalista si sarebbero tenuti summit tra i vertici delle cosche agrigentine. Rassicurati dall'avvocato, i capi dei mandamenti di Canicattì, della famiglia di Ravanusa, Favara e Licata, Simone Castello, ex fedelissimo del boss Bernardo Provenzano e il nuovo capo della Stidda, l'ergastolano Antonio Gallea, a cui i magistrati avevano concesso la semilibertà, si ritrovavano nello studio di Porcello per discutere di affari e vicende legate a Cosa nostra. Le centinaia di ore di intercettazione disposte nello studio penale dopo che, nel corso dell'inchiesta, i carabinieri hanno compreso la vera natura degli incontri, hanno consentito agli inquirenti di far luce sugli assetti dei clan, sulle dinamiche interne, di coglierne in diretta, dalla viva voce di mafiosi di tutta la Sicilia, storie ed evoluzioni.

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