Le parole che tradiscono la “Parola” e diseducano alla religione

Cronaca
Domenico Barrilà

Domenico Barrilà

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Concitazione, intorno ai celebri defunti, testimonianze le più disparate. Tutto nella norma, salvo inattese scompostezze, non nel calcio, che stavolta se la cava con onore, semmai dall’altra parte. Intemperanze di consacrati, forse inattese, forse. Pure di fronte a circostanze che avrebbero richiesto maturità e silenzio, considerato il ruolo e la concentrazione di interessi, anche spirituali, sulla morte del Papa emerito

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Funerali, sacri e profani, in questi giorni. Investono due mondi apparentemente distanti tra loro e molto esposti, quello della religione e quello del calcio, a suo modo una religione pure questa. Catturano l’interesse di miliardi di individui nel Pianeta, agenzie di formidabile impatto culturale e pedagogico, agendo su terreni delicatissimi: il senso dell’esistenza da una parte, il sogno dei ragazzini e il generale bisogno di elevazione dall’altra.

Concitazione, intorno ai celebri defunti, testimonianze le più disparate. Tutto nella norma, salvo inattese scompostezze, non nel calcio, che stavolta se la cava con onore, semmai dall’altra parte. Intemperanze di consacrati, forse inattese, forse. Pure di fronte a circostanze che avrebbero richiesto maturità e silenzio, considerato il ruolo e la concentrazione di interessi, anche spirituali, sulla morte del Papa emerito, ossia ricco di onori ma privo di ruoli. Stamattina, registravo la sfilata dei ragazzi di colore che chiedono l’elemosina e dispongono, come tutti noi, di una sola vita, che scorre via senza che nessuno la registri e se viene registrata è solo per predisporre delibere anti-accattonaggio oppure per lagnarsi della loro presenza. Mentre ne salutavo uno mi è venuta in mente la querelle sulla messa in Latino, tra le tante avviate sulla bara del defunto pontefice, nessuna delle quali toccava il cuore della religione, ossia la persona.

 

Tuttavia, sono tra i meno stupiti, non in forza di qualche confidenza riservata o posizione ideologica precostituita, semmai per consuetudine professione, in decenni di attività clinica e divulgativa, sono state parecchie le persone consacrate o in formazione, confuse tra pazienti laici, con le quali sono entrato in contatto, così come numerose sono le personalità e le istituzioni religiose che nel tempo sono state “clienti”. Il confronto è stato continuo, dall’interno e con generazioni diverse, così da avere la possibilità di percepire la progressione o, se si vuole, la regressione di uno spaccato sociologico capace di influenzare coscienze e sistemi sociali, ancora oggi, malgrado la pratica religiosa sia ridotta al minimo e per giunta confinata tra recinti di destinatari per lo più attempati. Diserzioni di massa non indipendenti da sistematiche contro testimonianze, sempre più frequenti, di religiosi impastati col potere, che piega il loro sguardo verso il basso, posseduti da avvilenti e inappropriati finalismi.

Racconto talvolta di un volume illustrato per bambini, “Il coraggio di pensare a Dio”, epilogo di una collana immaginata per trasferire domande sui grandi temi del vivere ai piccoli fruitori e sui loro educatori, a questi ultimi erano indirizzati alcuni minuscoli testi esplicativi, che mi pare utile riportare di seguito. Partivo da un’affermazione del grande filosofo Jean Guitton: “Si tace sempre sull’essenziale, perché non abbiamo il coraggio di sopportarlo”, e commentavo: “L’essenziale, nelle buone religioni, è che c’è un Dio creatore e quindi siamo tutti fratelli. Allora le religioni sono buone se avvicinano gli uomini e se aprono la mente alla conoscenza. Sono cattive se cercano di chiuderci, noi e il sapere, in un gomitolo di lana, per impossessarsi della nostra vita”. Esprimevo, quindi, l’auspicio che i bambini potessero guardare verso alto ma “senza distrarsi dai loro simili e senza lasciarsi sviare da coloro che innalzano edifici ingannevoli proprio sulla traiettoria del loro sguardo innocente, nascondendo la vera grandezza del sentimento religioso e facendo sembrare Dio un piccolo uomo”.

 

Il ragionamento per gli adulti, iniziato nella seconda di copertina, si concludeva nella quarta con parole difficili da equivocare, che rimandano a chi si crogiola nella ritualità, nell’arcano, coltivando un’idea iniziatica del cristianesimo: “Come ogni cosa che vive, anche il rapporto tra Dio e noi può ammalarsi. Per questo tanti cadono nella tentazione di metterlo, come uno scarafaggio, in un barattolino di vetro, felici di possederlo e di presentarlo a tutti come fosse l’amico del cuore. Ma Dio non ama i luoghi chiusi, tantomeno i barattoli e gli scaffali e, soprattutto non somiglia a nessuno. Una cosa è certa, se esiste è il padre di tutti e dunque rende gli uomini fratelli. Chi non parte da qui non crede in Dio e stringe ancora più forte il tappo del barattolo”.

 

Se partiamo da tali premesse, dobbiamo ammettere che non sono state un grande spettacolo le esequie papali, colonizzate da argomenti, sentimenti e accenti che forse andavano trafficati viso a viso, proprio come vengono invitati a fare i fedeli quando si aprono questioni coi “fratelli”, ma evidentemente gli auspici divergono dalla fattualità, come sa bene chi conosce certi contesti da vicino. È già così difficile sopportare noi stessi e la nostra pochezza, per caricarci sulle spalle anche quella di coloro che trattano il sacro come se fosse un gioco di società, facendosi schermo con un marchio di fabbrica potente, che purtroppo non può fare il miracolo di portare credibilità in chi mai ne aveva posseduto.

Se tali asimmetrie sono sopportabili altrove, la religione non può ammetterle, perché essa prende vita solo in presenza di comportamenti “testimoniali”, altre modalità non sono contemplate, quando diventano prevalenti il risultato è catastrofico, letteralmente, a cominciare dallo spettacolo malinconico dei seminari vuoti, persino in diocesi dove un tempo bisognava essere raccomandati per accedere, e dei templi desolati, se non fosse per ciò che li abita da prima che fossero eretti.

 

Una religione funziona solo se il come e il cosa si tengono la mano, vale in tutti gli ambiti educativi, ma in quello religioso è impossibile derogare. I consacrati investono la propria vita in una scelta radicale, che però diventa temeraria, triste, mortale quando non sostenuta da convinzioni granitiche e dubbi fecondi, perché lo strapuntino su cui si appoggiano le ragioni a sostegno è davvero minimo, talvolta quanto un granello di sabbia. Laborioso rimanere ancorati a un invisibile che si ostina a rimanere tale, ancora di più per i fedeli, che nel comportamento dei consacrati cercano quella prova decisiva nascosta ai loro occhi.

Chi fa male il padre, smentisce se stesso. Chi fa male il prete o il vescovo smentisce ciò che rappresenta. Una bella differenza, direi.

 

Domenico Barrilà, analista adleriano e scrittore, è considerato uno dei massimi psicoterapeuti italiani.
È autore di una trentina di volumi, tutti ristampati, molti tradotti all’estero. Tra gli ultimi ricordiamo “I legami che ci aiutano a vivere”, “Quello che non vedo di mio figlio”, “I superconnessi”, “Tutti Bulli”, “Noi restiamo insieme. La forza dell’interdipendenza per rinascere”, tutti editi da Feltrinelli, nonché il romanzo di formazione “La casa di Henriette” (Ed. Sonda).
Nella sua produzione non mancano i lavori per bambini piccoli, come la collana “Crescere senza effetti collaterali” (Ed. Carthusia).

È autore del blog di servizio, per educatori, https://vocedelverbostare.net/

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