L'ultima intervista a Letizia Battaglia: la mafia ha ucciso i migliori

Cronaca

Testimone dei fatti più tragici negli anni delle stragi, fotografa, attivista, impegnata in politica e nella società civile, pochi giorni prima di spegnersi ha ricordato per Sky TG24 come si viveva a Palermo quando la mafia trucidava chiunque si opponesse al suo strapotere. "Il dolore è immutato 30 anni dopo, ma anche la rabbia, perché lo Stato non ci ha difesi"

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Il 13 aprile è morta Letizia Battaglia, fotoreporter di fama mondiale che con i suoi scatti ha raccontato Palermo e la guerra di mafia. Qui il racconto della sua ultima intervista (video in alto), concessa a Sky TG24 proprio pochi giorni prima che ci lasciasse.

di Raffaella Daino

Letizia Battaglia non si fermava mai, anche da quando un male incurabile le aveva tolto forza ed energia, provocandole profonde sofferenze fisiche. Nonostante l’aggravarsi delle sue condizioni nelle ultime settimane era rimasta attiva, il suo ultimo viaggio l’aveva portata ad Orvieto per un workshop di fotografia, la sua ultima intervista, pochi giorni prima di lasciarci, l’aveva fatta con Sky TG24.

 

Aveva accettato di incontrarmi a casa sua. “Per pochi minuti” mi raccomandò.  I minuti furono 15, appena sufficienti ad accennare frammenti di una vita lunga e intensa, sempre in prima linea, trascorsa ad osservare e raccontare con la sua macchina fotografica la Palermo che negli anni ‘80 e ‘90 piangeva i suoi morti, schiacciata sotto gli abusi e la violenza della mafia, una città che pure tentava di risorgere ricominciando dalla sua parte più sana, cercando e non sempre trovando il sostegno e la difesa dello Stato.

 

Prima fotografa ad esser assunta da un quotidiano in Italia, il giornale "L’Ora" a metà degli anni ‘70, della mafia ha fotografato le vittime nelle strade insanguinate della Palermo a cui i corleonesi avevano dichiarato guerra, ma anche i boss dietro le sbarre del maxi processo voluto da Falcone e Borsellino. Scatti in bianco nero diventati icone drammatiche e simboliche di una delle pagine più tragiche della storia italiana.

Sua la foto di Sergio Mattarella che cerca, invano, di soccorrere il fratello Piersanti, crivellato di colpi il 6 gennaio del 1980. Quella foto fece il giro del mondo e fu importante per far capire cosa stava accadendo in Sicilia. Letizia Battaglia era presente anche nel 1992, il 23 maggio a Capaci e il 19 luglio in via D’Amelio. “Avevo la macchina fotografica ma scelsi di non usarla” mi dice. “Cosa avrei dovuto fotografare? Corpi fatti a pezzi". 

 

“Oggi, 30 anni dopo, il dolore è rimasto immutato, per tutto quello che abbiamo vissuto. Sono morti i migliori della città. La mafia massacrava i giusti ma c’era anche un fermento, una forma di opposizione. Io, con la mia macchina fotografica, come i poliziotti con il loro lavoro, ero sempre a contatto con questa violenza ma nonostante il dolore e l’umiliazione sentivamo di avere una opportunità per lottare per la nostra terra. In mezzo a quell’orrore e a quella porcheria c’erano bravi giornalisti, bravi giudici e anche bravi politici nonostante corruzione e mafia fossero all’interno della politica. Ci fu un sindaco bravo, Leoluca Orlando, che provò ad ergere un baluardo contro la mafia, io fui assessore nella sua giunta, poi fui anche deputata e a parte questa parentesi politica ho continuato a fare il possibile per raccontare la mia città e cercare di dare il mio contributo alla sua rinascita".

 

"Oggi le cose sono cambiate, ma non sono migliorate. La mafia si nasconde sotto altre vesti, non ha più la coppola, non è più scatenata come la mafia di Corleone che voleva distruggere Palermo e chiunque si opponesse alla sua furia omicida. Oggi la mafia è altrove, è dentro le istituzioni, controlla gli appalti, gestisce il traffico di droga e impone il pizzo. Ma non vedo una reale opposizione. La gente sembra assopita, il popolo non reagisce. Non c’è lavoro per i giovani che sono scoraggiati e poco interessati. Oggi è complicato, forse più che allora. Io parlo, non ho paura, ma non basta, le mie foto da sole a che servono, senza una rivoluzione sociale?".

 

"Le ricorrenze a cosa servono se poi non si cambiano le cose? Lo Stato ha le sue responsabilità, oggi come allora. Falcone e Borsellino hanno lottato per noi, senza nessuna vanità, eppure Falcone fu attaccato, Borsellino fu lasciato solo. Io non riuscii quasi mai a fotografare bene Giovanni Falcone. Mi diceva che non voleva mettersi in posa perché altrimenti lo avrebbero accusato di protagonismo. Ma non lo era. Erano persone meravigliose. Non vengono ricordate abbastanza, al di là delle commemorazioni".

 

"Abbiamo fatto di tutto, con passione, per lottare contro questa brutta bestia che era e che è la mafia. Ma da soli cosa avremmo potuto fare? La mafia esiste da 100 anni. Come mai lo Stato non è mai riuscito a debellarla? Perché era connivente. Noi non potevamo difenderci da soli.  Perché tante persone sono morte? Perché abbiamo dovuto vivere nel sangue, con i bambini ammazzati dai mafiosi, con i giudici, i giornalisti, i medici uccisi perché si opponevano alla mafia? Hanno ucciso i migliori della nostra città e lo Stato non ci ha difeso. E' ora che questo Stato ci difenda. Noi non vogliamo mafia e delinquenza. Non la vogliono nemmeno quelli che stanno zitti e non si immischiano".

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