La guerra raccontata ai bambini. Come fare?

Cronaca

Gaia Mombelli

TURIN, ITALY - OCTOBER 05: Young people wear protective mask look at smartphones outside the Liceo Classico and Musicale Cavour school on October 05, 2020 in Turin, Italy. From Monday 5 October, the ordinance of the Piedmont Region introduces the obligation to wear the mask even outdoors in all pertinent areas of schools of all levels or in front of them (for example parking lots, gardens, squares and sidewalks in front at the entrances and exits of the institutes).
The provision also includes all the places of waiting, boarding and disembarking of school public transport. (Photo by Stefano Guidi/Getty Images)

In un mondo iperconnesso, bambini e adolescenti vivono in prima persona il dramma della guerra in Ucraina. E si fanno domande. A volte balbettate, a volte piene di paure. Gli adolescenti invece pensano al futuro che vedono sempre più incerto. I genitori cosa devono fare? Ne abbiamo parlato con il neuropsichiatra infantile Stefano Benzoni

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Raccontare ai bambini che cosa sta succedendo in Ucraina? (GUERRA IN UCRAINA, AGGIORNAMENTI IN DIRETTA - I VIDEO DEGLI INVIATI - LO SPECIALE - LA MAPPA DEI PROFUGHI) Gli esperti concordano che sì, bisogna farlo. Ma in che modo? Se lo chiedono i genitori che si trovano spesso ad affrontare domande, ma anche crisi di ansia e pianti improvvisi. Ne abbiamo parlato con il neuropsichiatra infantile Stefano Benzoni psicoterapeuta della Fondazione IRCCS Ospedale Maggiore Policlinico Milano.

Guerra e bambini

“E’ giusto e importantissimo parlargliene” spiega Bensoni. “Loro vivono il mondo iperconnesso in cui hanno accesso in modo sempre più libero ad informazioni senza il controllo dei genitori e quindi quello che accade nel mondo arriva in bambini volenti o nolenti. E’ già successo per la pandemia che, volenti o nolenti, gli è arrivata e succede anche per fenomeni come questo quindi è importantissimo che i genitori siano disponibili a parlarne. La sfida è come parlargliene”.

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Suscitare domande

Come si dovrebbe fare ad affrontare un argomento così complesso e così delicato? 

“E’ una questione delicatissima. Una delle preoccupazioni più grandi per i genitori quando ci chiedono come fare a spiegare una certa cosa difficile ai figli è: che cosa posso dire o come si dice una certa cosa. E non è sufficiente dire: basta rispondere alle loro domande. Qui è in gioco una questione delicatissima perché le domande a volte sono formulate male, sono parziali, sono balbettate. A volte non riusciamo a rispondere a domande formulate bene perché non abbiamo risposte, figuriamoci se sono parziali o dette male. Resta il fatto che è un dovere dei genitori impegnarsi a raccontare la verità ai figli, raccontare il mondo che c'è fuori; è un dovere che soddisfa i loro bisogni psicologici e quindi un atto di responsabilità. Si tocca allora il tema della responsabilità é responsività, cioè la competenza non tanto a dare delle risposte anche quando non ce le abbiamo, ma sostare nelle domande. Quando lei dice: ci limitiamo a rispondere alle domande, io rilancio e dico: invitiamo a fargli le domande. La cosa migliore che possiamo fare di fronte ad un evento di questo tipo è suscitare domande, perché un evento come una guerra suscita in noi adulti tante domande. Quindi, un modo di conoscere le cose é suscitare nel bambino tante domande anche se a volte alle domande non c'è risposta. L’importante è aiutare i bambini a stare dentro alle domande alle quali non sappiamo pienamente rispondere è un modo responsabile di affrontare il racconto della realtà.

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La paura

Come ci dobbiamo rapportare con i bambini che si spaventano di fronte a certe immagini che vedono in tv?

Gandhi diceva: dovremmo avere paura solo di quello che è ingiusto e falso. La paura è un sentimento inevitabile, come facciamo a non avere paura in un momento storico così? Ci sono due aspetti. Innanzitutto: la paura è inevitabile. E’ giusto proteggere i bambini dalle delle immagini spaventose? Forse sì, quando dico che la paura è inevitabile non vuol dire che dobbiamo esporli a qualsiasi cosa. Nella domanda come facciamo a raccontare ai bambini la guerra, c'è un grossissimo tema di responsabilità di noi adulti. L'altro giorno guardavo sul sito di un quotidiano nazionale un giornalista che vestito di elmetto e di giubbotto antiproiettile si avvicina al luogo dove una famiglia è stata uccisa da un’esplosione e fruga nelle valigie, ne apre la valigia una e dice al cameraman: “vieni vieni guarda c'è anche una gabbietta del gatto!”. Mi chiedo, lo storytelling piace, ma questo è un modo di raccontare la guerra ai nostri figli? Questo è un tema. La paura c'è, non possiamo eludere la paura. Affrontare la paura significa dare fiducia ai nostri figli. Dare fiducia vuol dire mostrarci affidabili, mostrarci affidabili vuol dire mostrarci vulnerabili. Noi ci fidiamo di chi si rende vulnerabile a noi non chi di chi si spaccia per essere inscalfibile come un supereroe. Pensi quanto noi adulti siamo oramai anestetizzati delle cose orrende che quasi non ci fanno più paura. Allora il bambino dice: ma a te non fa paura questa cosa? Fermarsi e spegnere la tv e dire: “forse hai ragione, non mi sono accorto che mi faceva anche tanta paura a me”. A volte la paura ha proprio bisogno che facciamo una pausa, prendiamo le distanze da questo martellamento di informazioni e usiamo questo silenzio per farci delle domande: che domande ci vendo in mente rispetto a quello che abbiamo appena visto? Dentro alle domande possiamo trovare delle risposte, altrimenti è tutto pieno, e nel tutto pieno non c'è nessuna verità. Il rischio è che ci siano tante finzioni e le finzioni sono pericolose in una storia di questo tipo.

Gli adolescenti

Parliamo di adolescenti. Loro hanno molto spesso accesso diretto alle immagini e altrettanto spesso rifiutano per principio le risposte dei genitori. Come fare?

Non sono allineato con molti colleghi, ma io non credo che ci sia una ricetta. Penso però che ci sia un tema importantissimo. Il tema è questo: gli adolescenti, a differenza dei bambini, pensano molto di più al futuro, tanto che spesso e volentieri gli adolescenti parlano di morte. Chi parla di morte sta pensando al futuro, perché nel futuro di ogni adulto c’è la morte. Inoltre gli adolescenti conosceranno molto di più di questa storia perché cercano informazioni in modo autonomo, parlano tra di loro, ne parlano di più a scuola… Credo che questa vicenda ponga un tema sul futuro molto duro, opprimente. Come faccio ad avere speranza nel mondo? Questo credo che sia un tema da affrontare insieme. Poi naturalmente in ciascuna famiglia si affronterà il tema della guerra secondo prospettive diverse, sensibilità diverse. Ma, come facciamo ad avere speranza? Noi siamo usciti dalla pandemia nel mantra “andrà tutto bene”. Mi piace parafrasare Chiara Scardicchio. “Andrà tutto bene” ha la forma di un pensiero che funziona in questo modo: è il pensiero ottimista di chi spera che il mondo tornerà a essere esattamente come si aspetta che sia. E quindi bisogna semplicemente avere pazienza, tenere duro e poi tutto ritornerà meravigliosamente ad essere come io mi aspetto che debba essere. Questo è un modo di affrontare il tema della morte e il tema dell'angoscia innescata dalla guerra molto pericoloso. Se c'è una lezione che noi traiamo anche dalla guerra, e questa è una sfida per gli adolescenti, è che il mondo non è come lo desideriamo. Il mondo non è mai come lo desideriamo. E sperare che torni a essere come io lo desidero non è un buon modo per essere resilienti. Se possiamo imparare qualche cosa da questa guerra è che siamo tutti connessi, che dobbiamo assumerci la responsabilità di come raccontiamo le guerre degli altri e di come affrontiamo il tema della speranza. Questo è un grossissimo campo di lavoro su cui si può lavorare a scuola e in famiglia.

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