Su Sky TG24 la testimonianza di un uomo violento che è riuscito a chiedere aiuto al CIPM, centro che da anni si occupa del trattamento di uomini autori di violenza nelle relazioni intime. "Il passato non si cancella - dice - quello che ho fatto non lo posso cambiare: ma posso migliorare, sempre"
“Le ho messo le mani al collo. Ero arrabbiato, molto arrabbiato. E in quel momento volevo davvero farle del male”. Le parole escono commosse, a fatica. Sono pesanti, portano con sé tutto il peso della sofferenza inferta. Chi parla è un uomo di 32 anni. Vive a Milano, lavora come chef in un locale prestigioso. Ha un figlio e aveva una compagna, che è diventata vittima della sua violenza. Abbiamo scelto di dargli un nome fittizio, per tutelarne la privacy. Lo chiameremo Paolo. Ma le sue parole, e la storia che state per leggere, sono vere.
Il prima e il dopo
“Ho sempre lavorato molto – racconta Paolo – e quando è nato mio figlio il lavoro si è intensificato: la mia compagna soffriva di depressione post-parto e mi rinfacciava di non esserci mai. Io non ho saputo leggere quel malessere e quel bisogno di aiuto. Al contrario, mi sentivo incompreso perché lavoravo per il bene della mia famiglia eppure mi sentivo dire che non ero mai presente. Giorno dopo giorno, accumulavo rabbia e risentimento. I litigi erano continui. E quando mi arrabbiavo, mi arrabbiavo parecchio. Allora non ricordavo più cosa dicevo né quello che facevo. Era una rabbia cieca, travolgente: in quei momenti, poteva capitare qualsiasi cosa”.
C’è un prima e un dopo nella storia di Paolo. Anni di rabbia, violenza subìta e agita si sono condensati in un istante, nel momento in cui le sue mani stringevano il collo della madre di suo figlio. Poi, il vuoto e lo sgomento. Paolo si è fermato, ha preso in mano il telefono e ha chiesto aiuto. Navigando su internet ha trovato l’indirizzo del CIPM, un centro che da anni si occupa del trattamento di uomini autori di violenza nelle relazioni intime. Oggi il CIPM è capofila del progetto Uomo, nato grazie ad ATS Milano e finanziato da Regione Lombardia. Il programma punta a integrare la sfera della protezione delle donne a quella della prevenzione e del trattamento della violenza da parte degli uomini.
Un centro per gli uomini a difesa delle donne
“È fondamentale che gli uomini autori di reati siano coinvolti nel contrasto a questo tipo di violenza – spiega Francesca Garbarino, criminologa e coordinatrice del Progetto Uomo – questi servizi vengono creati per la sicurezza delle donne, mirano a far desistere gli uomini dal comportamento violento e ad evitare la recidiva, che altrimenti è dietro l’angolo”.
Il Progetto Uomo si avvale di criminologi, educatori e psicoterapeuti, che seguono le persone in carico attraverso confronti, sedute di gruppo, lavoro sulla persona. La maggior parte degli uomini viene portata qui dai servizi sociali, su ordine di un tribunale. Ma c’è anche chi si fa avanti spontaneamente, come nel caso di Paolo. La sua compagna non lo ha mai denunciato per ciò che è accaduto: è stato lui a decidere che doveva trovare il modo di cambiare.
Una violenza che si trasmette di generazione in generazione
La violenza di Paolo ha origini lontane: è stata assimilata durante l’infanzia, in una quotidianità segnata dal maltrattamento: “Mio padre si arrabbiava spesso con mia madre – ricorda – e quando si arrabbiava la spingeva contro il muro, o per terra, e le tirava schiaffi in faccia. Per me quella era la normalità. Ecco, ho capito che dovevo cercare aiuto nel momento in cui mi sono reso conto che ero diventato esattamente come mio padre. Mi sono visto lì, con le mani attorno al collo della mia compagna, e mi sono congelato. In quell’istante mi sono detto: no, non posso rifare la stessa vita di mio padre e trasmettere questo esempio a mio figlio: devo spezzare questa catena”.
“Il più delle volte le persone che si presentano qui si sentono vittime della vittima stessa – spiega Francesca Garbarino – c’è una tendenza alla minimizzazione e alla negazione, a non vedere la propria responsabilità. Ecco dunque che diventa fondamentale la presa di coscienza di aver danneggiato la vittima e non di essere vittima della vittima stessa. Quando si arriva a capire questo si è già fatto un enorme passo avanti. Il percorso che proponiamo facilita questa consapevolezza. L’obbiettivo è arrivare ad ammettere la propria responsabilità: la violenza è sempre una scelta”.
Dati incoraggianti
I dati ci dicono che il lavoro di questi centri vanno nella direzione giusta. Secondo le analisi del CIPM, su un migliaio di persone prese in carico la recidiva si è presentata solo nel 2% dei casi. Certo il percorso, per chi lo intraprende, è lungo e faticoso: Paolo, ad esempio, è in trattamento da sette anni. Oggi è una persona diversa. Non sta più con la madre di suo figlio, ma lavora ogni giorno per essere un padre migliore.
“Chi ha fatto del male, chi se ne rende conto, si porterà dietro per sempre una vergogna infinita – riconosce Paolo – io lo dico perché l’ho provata. Il passato non si cancella, quello che ho fatto non lo posso cambiare: ma posso migliorare, sempre”.