Il racconto della Primaria di Ginecologia d'urgenza del Policlinico di Milano, Alessandra Kustermann, ci porta nel cuore del problema, quando si parla di femminicidio: la mancanza di comunicazione fra tutti coloro che circondano la donna che subisce violenze. Da marzo è attivo un nuovo protocollo, che si chiama Scudo, che permette alle forze dell'ordine di avere un archivio su tutte le segnalazioni che riguardano ogni singola donna, anche in mancanza di denuncia.
Alessandra Kustermann, primaria del reparto di ginecologia d'urgenza del Policlinico di Milano, racconta la storia di una delle donne che non è riuscita a salvare, durante la sua carriera di medico. Sono solo tre ma ognuna pesa come un macigno. “Una donna me la ricorderò per sempre, un uomo dopo Tso (trattamento sanitario obbligatorio, ndr) era arrivato in una clinica psichiatrica, ma una volta arrivato ha girato la schiena ed è andato via. Dobbiamo sapere, infatti, che dopo il tso ci deve essere da parte di chi ha il problema l’accettazione della cura. La donna è tornata a casa a riprendere i suoi vestiti. Suoi e dei suoi figli. È andata accompagnata dalle forze dell’ordine ma lui è stato più rapido. Ha preso un coltello e l’ha uccisa. È successo che avevamo appena aperto la parte della violenza domestica del Pronto Soccorso Ginecologico e abbiamo avuto bisogno di sostegno. Abbiamo avuto bisogno di ci è abituato a gestire quella che viene chiamata una debacle. E’ stato difficile. Ancora adesso mi resta la domanda: cosa potevamo fare di più? Andare prima a prendere i vestiti? Ma nessuno ci aveva avvertito che quell’uomo era uscito dall’ospedale. Neppure le forze dell’ordine lo sapevano. C’è stato un problema di comunicazione…”.
Alessandra Kustermann solleva uno dei temi centrali nella guerra alla violenza di genere: la mancanza di comunicazione. E’ questa la costante che si ritrova in ogni delitto, il tassello che manca, in ogni storia di femminicidio. La comunicazione fra chi assiste la donna per la prima volta, che dovrebbe “leggere” la violenza, le forze dell’ordine, la magistratura e i centri antiviolenza.
“A volte veramente si tratta di secondi. – spiega Marzia Bianchi, operatrice di uno dei Centri Antiviolenza di Fondazione Pangea Onlus - Una delle prime donne che è arrivata in casa rifugio, all’inizio pensavamo di poter aspettare settimane. Invece è arrivata da noi all’improvviso, senza nulla. La donna che scappa non ha il trolley, non va in vacanza. E’ davvero tutto molto veloce”.
“C’è un grande vuoto, nel nostro Paese, che si potrebbe colmare approvando anche alla Camera la legge approvata in Senato, che fotografa il fenomeno della violenza, chiedendo sempre a qualsiasi ufficiale di polizia giudiziaria, di fronte a una denuncia presentata, di chiedere se chi denuncia conosce l’autore della violenza e che relazione aveva – racconta la Senatrice Valeria Valente, Presidente della Commissione Parlamentare contro il femminicidio - Mi spiego: significa indagare sempre, in qualsiasi reato, quel è la relazione fra vittima e carnefice. Perché se la donna ci dice che a commettere violenza è stato il compagno, è una cosa molto diversa che lo abbia fatto un estraneo.
Lì accendiamo il campanello d’allarme e stiamo attenti a fare la valutazione del rischio e si interviene con le misure di prevenzione di cui l’Italia dispone. Ma si deve essere messi in condizione di poterle applicare. Faccio l’esempio del braccialetto elettronico e delle misure cautelari”.
Il Protocollo Scudo
Dall’inizio di marzo 2021 è entrato in vigore un nuovo protocollo di protezione delle donne. Si chiama Scudo ed è un dispositivo che permette di avere un archivio che custodisca, nella maniera più completa possibile, la storia di ogni donna che chiede aiuto per una violenza domestica.
“Il protocollo Scudo è destinato agli operatori che svolgono controllo del territorio. – spiega il Commissario Capo Michele Scarola, del Soccorso Pubblico della Questura di Milano - Nel momento in cui un operatore di volante riceve la segnalazione dalla Centrale Operativa, attraverso il tablet in dotazione verifica se vi sono stati interventi precedenti di altre forze dell’ordine o del 118, se ci sono minori, apprende insomma tutte quelle informazioni indispensabili per intervenire nella maniera più corretta”.
L'importanza della formazione
Un piccolo passo nel contrasto a un fenomeno radicato nella struttura stessa della società, in cui ancora oggi inquadrare il fenomeno della violenza contro le donne come un crimine risulta complicato. Oltre a questo protocollo, serve incidere profondamente nella formazione di tutti gli operatori che prendono in carico la donna. E’ molto importante che chi riceve la denunci sia preparato a capire esattamente a decifrare cosa abbia vissuto quella donna e che quindi sappia scrivere la denuncia – conclude l’avvocata Andrea Catizone, esperta di diritto di famiglia - E qui poi, il processo si dovrà realizzare e quindi quello è un atto probatorio estremamente importante che indirizzerà il processo in un senso o nell’altro. Se è scritta male il processo no si farà proprio perché ci sarà un’archiviazione”.