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Mafia, condannato all'ergastolo il basista del commando della strage del Gargano

Cronaca
©Ansa

Giovanni Caterino è accusato di quadruplice omicidio premeditato aggravato dal metodo mafioso e porto e detenzione di armi in concorso. Nell'agguato a San Marco in Lamis, nel Foggiano, rimasero uccisi il boss di Manfredonia Mario Luciano Romito e il cognato Matteo de Palma, insieme ai fratelli Aurelio e Luigi Luciani, testimoni involontari dell'aggressione

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La Corte d'Assise di Foggia ha condannato all'ergastolo Giovanni Caterino, 40 anni, unico imputato nel processo per la strage di mafia di San Marco in Lamis (Foggia), in cui vennero uccisi il 9 agosto 2017 il boss di Manfredonia Mario Luciano Romito e il cognato Matteo de Palma, insieme ai fratelli Aurelio e Luigi Luciani, testimoni involontari dell'agguato. L’uomo è accusato di quadruplice omicidio premeditato aggravato dal metodo mafioso e porto e detenzione di armi in concorso. Secondo l'accusa, Caterino è il basista del commando armato, ovvero colui che ha pedinato le vittime il giorno dell’agguato e nei giorni precedenti.

L'uccisione dei fratelli Luciani

I fratelli Aurelio e Luigi Luciani erano su un furgoncino che seguiva casualmente l'auto a bordo della quale viaggiava il capo clan Romito, vero obiettivo dei sicari. Dopo avere ucciso il boss e il cognato che gli faceva da autista, il commando - composto da almeno tre armati con fucile, pistola e kalashnikov - inseguì e uccise i fratelli Luciani che tentarono inutilmente di fuggire. "Sembra quasi una vittoria, ma non è una vittoria perché mio marito non c'è - ha detto la vedova di Luigi Luciani, Arcangela Petrucci - e oggi più che mai mi manca morire. Dopo più di tre anni finalmente respiro un po' di aria pulita".

Il ruolo di Caterino

Caterino non avrebbe materialmente sparato, ma per giorni aveva seguito il boss Romito, e la mattina dell'agguato con la sua Fiat Grande Punto guidò i sicari che intercettarono il capo clan a San Marco in Lamis intorno alle 10. Caterino, in carcere dal 17 ottobre 2018, non ha mai confessato e non ha mai fatto i nomi dei suoi complici che restano tuttora sconosciuti. Il suo difensore ha parlato di "processo indiziario" e ha chiesto l'assoluzione.

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Le indagini e le intercettazioni

Secondo quanto accertato nel corso delle indagini dai carabinieri, coordinati da un pool di sette magistrati della Dda di Bari, prima di fuggire i tre sicari spararono "colpi devastanti al capo" del boss, probabilmente con l'obiettivo di "mostrare platealmente la ferocia e la forza del gruppo di fuoco, così da intimorire la popolazione del luogo". Il coinvolgimento di Caterino è stato accertato grazie anche alle immagini delle telecamere di videosorveglianza che hanno consentito di ricostruire il tragitto della sua auto il giorno dell'agguato e nei giorni precedenti. "Stiamo uccidendo le persone innocenti per fare il piacere a questi bastardi", aveva confidato ad alcuni conoscenti, secondo quanto ricostruito in una delle migliaia di conversazioni intercettate. Nel processo si sono costituiti parte civile, oltre ai familiari dei quattro uccisi, anche la Regione Puglia, il Comune di San Marco in Lamis e l'associazione Libera.

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