Il pedagogista Daniele Novara: "Le scuole chiuse violano i diritti dei bambini"

Cronaca

Giulia Floris

L'autore di diversi libri di pedagogia e firmatario, insieme ad altri specialisti, del "Manifesto per la didattica in presenza" sottolinea a Sky TG24: "La scuola è comunicazione e l'elemento corporeo è fondamentale. La classe politica sembra dimenticarsi che ci sarà un'altra generazione dopo"

Le ha dedicato il suo ultimo libro (I bambini sono sempre gli ultimi, edito da Bur Rizzoli), ha lanciato svariati appelli e, da ultimo, promosso insieme ad altri specialisti il “Manifesto per la didattica in presenza”. Il tema della centralità della scuola è particolarmente caro a Daniele Novara, pedagogista, autore di diversi libri sull’educazione e fondatore del Centro Psicopedagogico per la Pace e la gestione dei conflitti.

Novara perché il tema della didattica in presenza è così cruciale?

La didattica a distanza è un palliativo per situazioni di emergenza, da attuare quando la scuola è chiusa e per tempi brevissimi. Non è scuola nel vero senso della parola. La scuola è comunicazione, non semplice trasmissione di informazioni, e nel processo di comunicazione l’elemento corporeo e sensoriale è fondamentale.

 

Proprio oggi il presidente della Puglia Emiliano ha inviato i genitori a non mandare i bambini a scuola dopo che il Tar ha deciso di riaprire le scuole elementari e medie chiuse da un’ordinanza regionale. In Campania restano chiusi asili e scuole di ordine e grado per iniziativa del presidente De Luca.

Ritengo che in questo modo si stiano violando i diritti dei bambini, accanendosi contro di loro in maniera illegittima e illegale. L’Italia ha firmato la convenzione dei diritti dei bambini. Si tratta di un abuso da ogni punto di vista, intollerabile in uno stato di diritto.

 

Nel suo libro “I bambini sono sempre gli ultimi” segnala alcune anomalie dell’Italia. Siamo stati primi a chiudere le scuole nel corso della prima ondata della pandemia, gli unici a non riaprirle prima dell’estate. E ora anche i primi a richiuderle almeno in parte.

Ci troviamo di fronte a una classe politica totalmente autoreferenziale, che pensa di essere eterna e si dimentica che si sarà un’altra generazione dopo di lei. Ogni generazione dovrebbe preparare il terreno per quella che verrà dopo. Rispetto a marzo diamo però atto alla ministra Azzolina che, nonostante tante critiche, sta resistendo nella direzione di tenere le scuole aperte almeno per i più piccoli.

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Lei ha sottolineato spesso come la fascia 3-6 anni sia quella che rischia di essere più penalizzata dalla chiusura delle scuole.

In questa fascia di età l’isolamento genera patologia. A tre anni il bambino abbandona la simbiosi materna per entrare in un mondo oggettivo che non è quello parentale ma quello del confronto con altre figure: i coetanei e le maestre. La scuola dell’infanzia serve a sviluppare l’attaccamento sociale. E’ qui che si impara a interagire, litigare e collaborare con gli altri. Un bambino su 10, purtroppo, in Italia non frequenta la scuola materna che io credo dovrebbe essere obbligatoria, come in Francia. Ma il settore educativo in Italia si trova da 20, se non addirittura 30 anni, in uno stato di grande emarginazione.

 

 A cosa è dovuta questa scarsa considerazione che  la sfera dell’educazione e il mondo dei bambini in generale trovano nel nostro Paese?

In Italia  a partire dagli anni ’90 abbiamo assistito a una sorta di mutazione antropologica: la nostra società è passata da società comunitaria a società individualistica e narcisistica. La generazione adulta non si considera più depositaria di quella successiva e fare figli sembra uno sfizio dei genitori, non una necessità della collettività.

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