Nove neonati sono rimasti cerebrolesi. Secondo la relazione, il Citrobacter koseri era annidato nel rubinetto del lavandino della Terapia intensiva neonatale e sarebbe arrivato dall'esterno, a causa del mancato o parziale rispetto delle rigide misure d'igiene imposte al personale nei reparti ad alto rischio
"È stato come se me l'avessero uccisa un'altra volta". Francesca non riesce a trattenere la rabbia, mentre legge la relazione della Commissione regionale del Veneto, istituita per capire cosa sia successo nel reparto di terapia intensiva neonatale dell'ospedale della Donna e del Bambino di Verona, dove nel giro di due anni, dal 2018 al 2020, sono morti quattro neonati. Francesca è la mamma di Nina, una delle quattro piccole vittime uccise dal Citrobacter koseri, un batterio estremanente raro, che quando colpisce il cervello può provocare lesioni gravissime, fino a portare alla morte.
I risultati della relazione
Secondo la Commissione, in quel reparto sono stati 96 i neonati contaminati. Fra questi, oltre alle quattro vittime, ci sono altri nove bambini rimasti cerebrolesi, le cui condizioni potrebbero ulteriormente aggravarsi. Il batterio era annidato nel rubinetto del lavandino della Terapia intensiva neonatale e sarebbe arrivato dall'esterno, a causa del mancato o parziale rispetto delle rigide misure d'igiene imposte al personale nei reparti ad alto rischio. Un altro errore potrebbe essere stato quello di ricorrere all'acqua del rubinetto e non a quella sterile. Francesca ed Elisa, le mamme che proprio ai nostri microfoni hanno accusato i vertici dell'ospedale di negligenza, oggi ne chiedono le dimissioni. Le cartelle cliniche di questi 96 bambini sarebbero lì a testimoniare che l'ospedale sapeva. Dai vertici sanitari nessun commento; si aspetta la magistratura, cui questa relazione è stata consegnata, mentre il punto nascite è tornato operativo proprio in queste ore.