Coronavirus, "Idee per il dopo": ospiti Tim Marshall, Winy Maas e Helle Soholt

Cronaca

Nella puntata del 9 giugno si è parlato del futuro delle città, per capire come sarà la "nuova normalità" urbana

Prosegue su Sky TG24 "Idee per il dopo", l’approfondimento che prova a comprendere come cambieranno nel profondo la nostra vita e la nostra società dopo la crisi del Covid-19. La puntata è disponibile anche sul sito SkyTg24.it (GUARDA LA SETTIMA PUNTATAGUARDA LA PUNTATA PRECEDENTE - QUI TUTTI I VIDEO DELLE PUNTATE) e On Demand.

Tema e ospiti della nuova puntata

Il tema del settimo appuntamento è stato il futuro delle città. Bellissime nelle loro architetture ma inquietanti nel loro mutismo, le città sono state protagoniste silenziose di questo periodo, con il lockdown che ha portato alla loro chiusura. Adesso hanno riaperto ma sembrano diverse da prima, cambieranno ancora? La crisi del Covid-19 porterà modelli diversi di urbanizzazione? Per le risposte a queste ed altre domande in studio con Giuseppe De Bellis Tim Marshall, giornalista e scrittore, Winy Maas, docente di Architectural Design al MIT e Helle Soholt, Ceo dello Studio d’Architettura Gehl.

Il futuro delle città

 

Giuseppe De Bellis: Le abbiamo viste bellissime nelle loro architetture ma inquietanti nei loro silenzi. Le città sono state protagoniste in questo periodo, tra urbanizzazione eccessiva e lockdown che ha portato alla loro chiusura. Adesso hanno riaperto ma sembrano diverse da prima, cambieranno ancora? Questa sera parliamo del futuro delle nostre città. Benvenuti a “Idee per il Dopo”, settima puntata. Questa sera sono con noi: Tim Marshall, Winy Maas, Helle Soholt. Buonasera, benvenuti a questa settima puntata di “Idee per il dopo” in cui parliamo del futuro delle nostre città. Allora comincerei subito con Winy Maas a cui faccio la prima domanda. Da urbanista, da architetto, ha realizzato alcuni lavori importantissimi in Europa, penso a Bordeaux e penso ad altre città. Oggi farebbe qualcosa di diverso rispetto al passato?

Winy Maas: Chiaramente abbiamo imparato a essere più ecologici, a lasciare più spazio agli ambienti salutari e soprattutto a ridurre alcuni aspetti fondamentali, negli spostamenti e nel traffico, pensando a come renderli più puliti. Quindi, nel mio lavoro, finora, abbiamo sempre avuto a che fare con un traffico tradizionale. Maggiore rispetto a quello che potremmo avere nell'immediato futuro, sono consapevole del fatto che non ci siano stati ancora molti tentativi per integrare aspetti come la produzione del cibo, la ventilazione dentro le città o l'incremento delle aeree verdi, che andrebbero attuati in modo più radicale.

Giuseppe De Bellis: Soholt, vengo da lei perché lei dirige uno studio di architettura molto importante a livello globale, che ha svolto tantissimi lavori impegnandosi a ripensare le città in chiave futura. Le chiedo la stessa cosa del rapporto con la natura di cui parlava Maas. In questo momento, secondo lei, l'era post-covid ci riporterà un pensiero di città diverso? Le metropoli dovranno ragionare diversamente nel loro rapporto con la natura oppore no: la città resta la città e la natura dev'essere lasciata lì dov'è?

Helle Soholt: Di sicuro quello che emerge in questo momento è che la salute e il benessere saranno alcuni dei parametri di progettazione più importanti nell'immediato futuro. Vent'anni fa abbiamo visto che lo sviluppo sostenibile, forse non era un parametro centrale. Ora la sostenibilità è diventata un fattore che ogni progettista e architetto nel mondo si trova a considerare nella progettazione. Abbiamo visto alcuni degli effetti dell'11 settembre del 2001 per cui molte installazioni temporanee e misure di sicurezza, per combattere il terrorismo, ci accompagnano ancora oggi nelle nostre città, negli aeroporti, nelle sale d'aspetto. Adesso, allo stesso tempo, la pandemia cambierà di sicuro il nostro modo di pianificare le città in maniera che salute e benessere diventino un fattore determinante negli anni a venire.

Giuseppe De Bellis: Marshall, vengo da lei, perché lei in alcuni dei suoi libri parla spesso della relazione che c'è tra i luoghi e potere. Anche in riferimento alle conseguenze che i luoghi hanno su quello che accade nel mondo reale. Le chiedo, in questo momento, qual è la relazione fra lo spazio, la geografia, e quello che è accaduto nell'era del virus? Se esiste una relazione

Tim Marshall: C'è una relazione ma non è così diretta, non penso sia così tangibile. Sono convinto che, nell'ambito psicologico, sarebbe un male per le relazioni, geograficamente parlando. Dal punto di vista politico, abbiamo visto il vostro Paese sentirsi in parte tradito dall'Unione Europea, ad esempio A mio parere, quello che fa il Covid-19, a livello macroscopico, temo che sia rinforzare alcuni degli andamenti preesistenti che già da tempo frammentavano l'Europa. E penso che una cosa come il Covid-19 semplicemente amplifichi e, forse, acceleri questo aspetto della crisi.

Giuseppe De Bellis: Maas, torno da lei, per chiederle: abbiamo visto quanto l'urbanizzazione, quindi l'avere tanta gente in un unico posto, come accade nelle metropoli, abbia contribuito alla diffusione del virus. Le chiedo, in futuro, anche per effetto di questa esperienza, la gente avrà la tendenza, la tentazione di abbandonare le città, oppure no?

Winy Maas: C'è il rischio che lo faccia, però non sono sicuro che sia la scelta migliore perché le città ci danno l'occasione di incontrare altre persone, di fare cose insieme, e danno anche la possibilità di avere spazi aperti in periferie per l'agricoltura, ad esempio, e per la gestione delle foreste e dell'acqua. Dal punto di vista ecologico, non è la soluzione migliore per i prossimi anni. Mi piacerebbe usare questo momento per spezzare una lancia in favore di un ambiente cittadino che riesca a combinare questi aspetti di umanità e di vicinanza, con una soluzione soddisfacente per gli spazi verdi. Immaginate di combinare l'alta densità di case con delle aree verdi posizionate in cima ai tetti, sulle terrazze dei condomini e in questo modo trasformare le nostre città in piccoli polmoni verdi che potrebbe aiutare molto in futuro.

Giuseppe De Bellis: Soholt, in queste settimane in cui ha potuto capire, vedere, cosa hanno fatti alcune amministrazioni locali per cominciare la nuova vita nell'era della convivenza con il virus. Ha visto, letto, o saputo, qualche best practice di qualche città? Oppure, secondo lei, siamo ancora lontani dal trovare una strada per il futuro delle città in quest'era di convivenza col virus?

Helle Soholt: Chiaramente siamo in una situazione in cui nessuno si è trovato prima d'ora e ogni città sta pianificando la sua strategia di apertura. Infatti, abbiamo visto che moltissime città stanno rapidamente introducendo infrastrutture per le biciclette, approfittando della diminuzioni di auto private. In molte città, il traffico è calato almeno del 30%, quindi adesso possiamo ripensare completamente le nostre strade e gli spazi pubblici. Così che diventino luoghi per divertirsi, aree pedonali, piste ciclabili e che permettano alle persone di incontrarsi e comunicare anche a distanza nei loro quartieri. In un sondaggio che abbiamo fatto con più di duemila persone provenienti da vari paesi, abbiamo notato che in quattro città diverse in Danimarca, c'è stato un aumento delle attività locali pari al 35%, anche rispetto all'andamento quotidiano all'aperto dei giorni normali. In alcune delle zone commerciali delle città analizzate, al contrario, abbiamo visto un calo che si aggira tra l'80% e il 60% rispetto alla normalità. Questo ci dimostra che le persone stanno davvero riportando in vita le attività di quartiere: usano gli spazi versi, usano le strade, usano i parchi giochi, pur mantenedo la distanza di sicurezza dalle altre persone. Queste sono alcune delle strategie per la riapertura a cui stiamo assistendo adesso.

Giuseppe De Bellis: Marshall la chiusura delle città che abbiamo visto con il lockdown in diversi luoghi del mondo, ha mostrato la differenza che c'è tra i regimi autoritari e i regimi, anzi, i non regimi come le democrazie. Siccome abbiamo visto che nei paesi autoritari, come la Cina, per esempio, il lockdown è stato molto rigido e tutti l'hanno seguito anche per paura delle conseguenze da parte del governo, mentre nei paesi liberali c'è stata un po' più di libertà. Le chiedo, secondo lei, in questo caso in una fattispecie come quella del Covid-19, la democrazia può essere un limite?

Tim Marshall: Sì, ma è un prezzo che paghiamo per la ricompensa maggiore che è la libertà. Questo si ricollega a un altro argomento, ad esempio, si è sempre ritenuto che ci fosse bisogno di una democrazia liberale, per avere un economia florida, e la Cina ha dimostrato che non è necessariamente così. Perché ora, la dittatura cinese, che è un regime brutale sta dimostrando che può usare metodi coercitivi per controllare le persone e questa è una cosa molto negativa. La nostra libertà a volte si rivela essere una debolezza ma viene bilanciata da suoi punti di forza. In breve, riguardo l'idea di città e quello che verrà dopo, sono d'accordo con gli altri ospiti, sono convinto che abbiano delle idee di cui abbiamo davvero bisogno per il nostro futuro, ma la mia paura è che quando sarà finita, perché finirà, l'urgente bisogno di alimentare la nostra economia farà in modo che le idee che ci servirebbero davvero, saranno non messe da parte, ma saranno un pensiero secondario. Questa idea di rinverdire le città potrebbe essere oscurata dalle pressioni politiche sul sistema economico. Per concludere, penso che fra le grandi tendenze storiche, il Covid-19 non avrà un grande impatto come ad esempio i cambiamenti climatici. Pensiamo all'influenza spagnola del 1919, non ha cambiato il corso della storia, quello che l'ha fatto è stata la caduta la caduta dell'Impero austroungarico e dell'Impero ottomano e quello che è successo negli anni '30 e '40. Questi eventi hanno avuto effetti più grandi ma sono completamente d'accordo con gli altri, bisogna riuscire a sfruttare questa opportunità per educare le persone su come, forse, dovremmo provare a vivere. Ma ho paura che possano essere sovrastati da altre voci.

Giuseppe De Bellis: Maas, le voglio fare una domanda che qualche settimana fa ho fatto provocatoriamente a Paola Antonelli, del MoMa. Abbiamo visto tante città meravigliose chiuse e abbiamo visto splendide architetture di queste città, le abbiamo potute ammirare come mai ci era capitato nella nostra storia. Le chiedo, le città sono di più urbanistica-architettura o sono le persone che le abitano?

Winy Maas: Odio le città vuote, sarò sincero su questo. Adoro le persone perché le puoi incontrare, ci puoi fare cose, sperimentare, esplorare insieme discutere, ecc. Forse alcune città erano troppo piene, Venezia o Amsterdam lo hanno dimostrato. Le domande che dovremmo porci forse sono: quante persone dovrebbero esserci, che tipo di spazio servirebbe nelle città e cose del genere. Penso anche, di conseguenza, la densità debba svilupparsi in senso verticale e non per forza in senso orizzontale. Riuscire a ottenere quella combinazione che stiamo cercando per le nostre città. È pur vero che è stato appena calcolato che cosa potrebbe accadere se venisse costruito un palazzo di 100 metri all'interno di Amsterdam. La città non potrebbe essere riaperta perché non potrebbe gestire quella quantità di persone con quel tipo di regole. Sono d'accordo con l'ospite precedente. Sono preoccupato pure io per cosa succederà. Anche se adesso invochiamo a gran voce per provare a far aprire gli occhi sul nostro futuro, volgendo a nostro favore la spinta di questa situazione, c'è un rischio considerevole, anzi, ci sono altissime probabilità di cadere direttamente in un nuovo edonismo, quando avremo la medicina che ci salverà dal virus. Questo potrebbe generare l'effetto contrario come ha argomentato l'altro ospite.

Giuseppe De Bellis: Abbiamo vissuto per tanti anni con l'idea di rendere le nostre città più smart, più tecnologiche, e di viverle meglio anche grazie alla tecnologia. È arrivata la crisi Covid-19, la tecnologia è entrata prepotentemente nelle nostre vite, ancora più di prima, quindi le chiedo: in questo momento, le città smart sono ancora la priorità oppure bisogna fare un passo indietro e almeno su queste bisogna essere un po' più analogici?

Helle Soholt: Non credo che debba esserci differenza tra città smart e città orientate verso il cittadini. Una città smart per me è una città intuitiva e a facile da vivere per le persone, quindi penso che dovremmo ancora cercare di lavorare in modo realistico e sono parzialmente d'accordo che sia difficile in questo momento cogliere l'attimo. Tuttavia, dovremmo comunque provare a seguire le linee guida dell'Onu e ricostruire meglio, utilizzare ogni crisi come questa per ripensare quello che non funziona nelle nostre città e nella società così che si possa diventare più forti. La ragione per cui è possibile, se ammetto anche quanto sia difficile da punto di vista politico ed economico, è che tutti in questo momento stiamo sentendo i problemi sul nostro corpo. Sappiamo dalla scienza comportamentale che la più grande occasione di cambiamento è quando, noi essere umani, proviamo ad adottare uno stile di vita diverso per più di 21 giorni, dopodiché ci sono altissime probabilità che cambieremo sul serio il nostro comportamento. Quindi possiamo sperare che le persone imparino nuovi modi di spostarsi nelle città, che imparino nuovi modi di vivere le relazioni sociali, prendendosi cura uno dell'altro, il che è importante per la capacità di recupero sociale nei quartieri. Possiamo sperare che la gente sia arrivata ad affezionarsi al negozio sotto casa, alle associazioni locali, alle aziende locali e che le supportino. E in generale che si muovano in direzione di quel modo di vivere sostenibile nelle metropoli e nelle città. Spero anche che le possibilità che le persone vivano una quotidianità differente, possa permettere loro di portare quei cambiamenti politici nei nostri municipi e nelle città. L'aria pulita che le persone stanno respirando in questo momento, deve spingerli a sfruttare l'occasione per mettere sotto pressione i politici e fargli mantenere questi cambiamenti.

Giuseppe De Bellis: Marshall, abbiamo visto come nel corso degli anni, dei decenni, le città sono state sottoposte a tantissime pressioni. Penso, per esempio, al traffico, alla criminalità, all'inquinamento. Adesso è arrivato anche Covid-19, il lockdown, le conseguenze. Secondo lei, dal punto di vista sociale, le città sono pronte a resistere o no?

Tim Marshall: Penso che, al massimo un paio di anni, saremo quasi tornati al punto in cui eravamo sei mesi fa, il nostro stile di vita. Il traffico a Milano, a Roma a Londra e ad Amsterdam, tornerà a essere terribile. Io abito vicino a un aeroporto, di norma passava un aereo ogni 90 secondi, ora sono neanche 10 al giorno ed è fantastico. Penso che resterà così per sempre? No. La mia conclusione da tutto questo è che le idee degli altri due ospiti, in minima parte, entreranno nella coscienza popolare proprio perché abbiamo vissuto le stesse cose e ci sono aspetti di queste cose che ci piacciono. Ma penso che la cosa più importante del Covid-19 è che amplificherà e accelererà gli andamenti preesistenti. A questo punto normalmente parlerei dello scontro Cina-Stati Uniti, ma questo livello accelererà le tendenze e amplificherà gli sviluppi che stanno già succedendo. Abbiamo già visto le piste ciclabili, esistono già la macchine elettriche o le tasse da pagare per entrare in centro tutte queste cose stanno già accadendo e quello che succederà è che incrementerà in maniera esponenziale i loro effetti. Non ci sarà una rivoluzione dopo il virus, torneremo più o meno alle nostre vite, ma ci saranno delle minuscole modifiche. Questa è una cosa buona, ed è anche il motivo per cui queste idee vanno discusse. Quando faccio geopolitica, sono davvero convinto che nell'arco del XXI Secolo, il conflitto tra la Cina e gli Usa cambierà rispetto a come è ora? No, sarà amplificato e accelerato, tutto qui. Da tutto questo uscirà qualcosa di buono e sono le idee degli altri ospiti che a breve saranno molto più importanti delle mie, se devo essere sincero.

Giuseppe De Bellis: Soholt, prima lei parlava dei mezzi di trasporto individuali e ha accennato anche al trasporto pubblico, secondo lei come cambierà, per effetto della crisi Covid-19, l'utilizzo che le città faranno per il trasporto pubblico? Non parlo soltanto del green ma anche della frequenza con cui utilizziamo i mezzi,  la frequenza con cui passano. Le chiedo: i sindaci, i governanti di queste città, secondo lei investiranno, avranno il coraggio di investire risorse economiche per il nuovo trasporto pubblico?

Helle Soholt: Ovviamente in questo momento in cui le società di trasporto pubblico nazionali sono sotto pressione e perdono tanti soldi, gli investimenti sono difficili, ma la costruzione di una città ecosostenibile, richiede l'esistenza di una rete di trasporto pubblico all'altezza. Uno dei cambiamenti a cui stiamo assistendo è che, ovviamente, la maggior parte delle persone sta lavorando da casa e molte aziende si stanno adattando. Quindi anche se fossimo costretti a tornare di nuovo a lavorare in ufficio, fra un paio di mesi, fra sei messi, fra due anni, credo che sempre più aziende stiano pensando di mantenere degli orari più flessibili per permettere ai dipendenti di lavorare in ufficio solo un paio di giorni a settimana, di introdurre degli orari di lavoro molto più flessibili. Abbiamo visto Twitter, abbiamo visto Facebook, le grandi aziende tecnologiche hanno dichiarato di voler permettere ai dipendenti di lavorare da casa o con orari più flessibili per i prossimi cinque o dieci anni, perciò questo tipo di cambiamenti nei nostri ritmi lavorativi potrebbe influenzare le nostre necessità, il modo in cui usiamo i mezzi pubblici e la mobilità in generale. Potremmo vedere una rete di trasporti gestita da enti locali, in questo modo i trasporti pubblici non subirebbero più le stesse pressioni del passato. Queste sono solo alcune delle conseguenze possibili e ci permetterebbero di mantenere comunque un sistema di trasporto pubblico in futuro, in combinazione con mezzi più ecologici e a motore elettrico che opererebbero a livello più localizzato.

Giuseppe De Bellis: Maas, torno da lei perché mi interessa sapere, seguendo questo ragionamento che faceva Soholt, abbiamo parlato ora delle città, quindi dell'architettura delle città, dell'urbanistica delle città, però andando dentro gli spazi, andando dentro i luoghi, nei luoghi di lavoro, dovendo affrontare un cambiamento epocale come quello del ricorso massiccio allo smart working. Qual è l'atteggiamento che ha un architetto quando deve pensare al futuro di questi spazi? Quando un evento così forte arriva e ti costringe a occuparti di una cosa anche tuo malgrado?

Winy Maas: È vero e se n'è già parlato prima, il vantaggio è che consente una maggiore flessibilità, per esempio non devo prendere un aereo e spostarmi ogni volta che ho bisogno di parlare con un cliente in Cina, perché ho la possibilità di farlo su Internet, invece che alle cene di lavoro, per così dire. Ma d'altro canto, ci servono ancora i luoghi d'incontro, perché non posso fare tutto il mio lavoro attraverso lo schermo di un computer. A volte, c'è bisogno del linguaggio del corpo, di una maggiore efficienza, degli incontri diretti, delle invenzioni, che non possono coesistere con il distanziamento. Si ridurrà il traffico, sono d'accordo, vorrà dire anche che le case diventeranno più grandi, in modo da rendere migliori in qualche modo la convivenza con gli altri membri della famiglia o con gli altri coinquilini. Si passerà più tempo a casa e in futuro cambieranno le nostre abitudini, questo comporterà un diminuzione forse degli spazi aperti, come si vede già ora a breve termine. Nei Paesi Bassi, è già diminuita la domanda per questi spazi. E va bene, in un certo senso, non sono contrario al riadattamento, perché è un dato di fatto, e ci aiuta a creare una città più sostenibile. Quindi auspico addirittura un cambiamento in questa direzione, quindi sì cambierà il design delle città, e se riuscissimo a farlo in un modo che renda più confortevole la coabitazione e tutti gli elementi che abbiamo discusso stasera. Credo sia un'opportunità per usare al meglio questo cambiamento.

Giuseppe De Bellis: Marshall, citava il fatto che lei abita vicino a Heathrow e sicuramente la globalizzazione come effetto sulla società internazionale ha quello degli spostamenti molto più veloci e molto più frequenti da parte di tutti i cittadini del mondo. Abbiamo vissuto il trasporto aereo come il grande mezzo che ci ha permesso di conoscere il mondo. Una cosa che prima, in passato, era impensabile. Secondo lei, il coronavirus, il lockdown e le sue conseguenze ci faranno tornare a viaggiare di meno, come nel passato?

Tim Marshall: No, non penso che succederà, ne che valga la pena cambiare. I giornalisti come me, prima e in realtà anche ora, amano i titoli di impatto. Ho letto alcuni articoli (e sono certo che ce ne siano di simili in tutti i paesi) titolati “ il mondo non sarà più lo stesso dopo”. Non è vero: il mondo sarà molto simile e quando il lockdown sarà finito del tutto, ci sarà una corsa, per lo più in macchina, verso l'aeroporto, per saltare su un aereo e visitare città stupende come la sua. Però non dico che gli altri ospiti abbiano torto, hanno ragione, avrà un impatto graduale sul nostro modo di vedere l'esperienza che abbiamo appena vissuto e credo che alcune di quelle idee progressiste diventeranno più accettabili. Ma, lo ripeto, è parte di una tendenza che ora viene amplificata e accelerata, ma sono assolutamente certo che, alla fine del lockdown, vi guarderete intorno e scoprirete che il mondo è rimasto quasi lo stesso dell'anno scorso. Andremo allo stadio, andremo in vacanza, ci comporteremo più o meno allo stesso modo. Vi faccio qualche esempio: credo esistessero anche in Italia, forse vi ricordate i bigliettai, quando si saliva sull'autobus c'era l'autista che guidava e poi un'altra persone che faceva su e giù e vendeva i biglietti e poi con il passare del tempo sono spariti. Non è successo da un giorno all'altro. Lo stesso è successo con i giornali, i miei figli non si sognerebbero mai di comprarne uno e leggerlo, io lo faccio: alla fine spariranno. Queste cose accadono gradualmente e quello che farà il Covid sarà accelerare questi cambiamenti graduali. Ma il mondo non cambierà. Torno all'inizio perché penso valga la pena prendere in considerazione questo punto di vista. I 14 milioni di morti tra il 1918 e 1919 per l'epidemia di spagnola hanno cambiato davvero la società, il mondo, la medicina, i trasporti e i viaggi? Non l'hanno fatto, quesi cambiamenti sono il frutto del progresso scientifico nel corso dei decenni. Le cose che hanno cambiato il XX Secolo sono state la cosiddetta pugnalata alle spalle tedesca, che ha portato l'ascesa di Hitler o la caduta dell'Impero ottomano che ha portato nuovi spazi , questi fatti spingono la storia. I piccoli cambiamenti graduali tendiamo a non notarli ma sono quelli che fanno la differenza secondo me. Lentamente l'economia smonterà le sue idee a breve termine.

Giuseppe De Bellis: Maas, ho visto che annuiva alle parole di Marshall e quindi le faccio la stessa domanda perché mi interessa la sua opinione. Secondo lei le città saranno meno globali o invece torneranno a essere quello che erano?

Winy Maas: Ciò che stato sottolineato negli ultimi mesi è che abbiamo bisogno gli uni degli altri, per far progredire le scienze e la medicina. Ci servono gli altri per rendere il mondo un po' più sano in molti aspetti. Nonostante alcune reazioni politiche orribili che sono emerse a esempio, negli Usa e in Cina, credo che ci sia ancora un grande necessità di vedere il pianeta da una prospettiva globale, in modo da condurlo verso il futuro, soddisfacendo le esigenze che percepiamo come necessarie. La globalizzazione non regredirà, né sparirà, sarà solo un po' diversa. È vero che viaggeremo un po' meno, almeno spero, forse nella realtà non accadrà, ma questo non vuol dire che ci servano tutti quegli elementi per lavorare in un mondo in grado di sopravvivere nella sua interezza. Quindi no, non c'è da preoccuparsi.

Giuseppe De Bellis: Soholt, lei è d'accordo?

Helle Soholt: Sono d'accordo con l'idea che le tendenze più rilevanti dell'economia abbiano la precedenza, ma una citazione famosa dice che la cultura mangia la strategia a colazione; forse si può riadattare dicendo che la cultura mangia anche l'economia a colazione. Non so se sia vero o meno ma direi che, secondo me, dobbiamo pensare di più alle culture.

Giuseppe De Bellis: Marshall, lei ha detto che non cambierà moltissimo, nel corso degli anni ritorneremo alla nostra vita, e allora siccome lei ha scritto un libro sui muri che dividono il mondo, le chiedo: anche i muri, in futuro, continueranno a essere alzati? E quindi non cambierà neanche questo?

Tim Marshall: È probabile, conosciamo tutti le difficoltà che sta affrontando l'Italia per via della crisi dei rifugiati e come questa abbia cambiato la geopolitica e le relazioni con l'Unione Europea. Il Covid-19, sebbene sia una tragedia globale per vari motivi, non impedirà alla popolazione africana di raddoppiare. Ora è di un miliardo e due, nel 2060 si prevede che raggiungerà i due miliardi e quattro. Quindi un miliardo di persone in più. Si può ribattere che se l'Africa creasse un miliardo di posti di lavoro in quaranta anni le persone non dovranno emigrare, altrimenti dovranno sportarsi sempre più persone, quindi i numeri dei rifugiati continueranno a salire e non penso che la nostra reazione sarà quella di aprirci di più e abbattere le barriere. Espongo questa ipotesi ma credo succederà il contrario, le barriere e i muri cresceranno.

Giuseppe De Bellis: Maas, nel nostro totem qui in studio ruotano delle parole intorno al concetto e alla parola città, e sono: mobilità, shopping, abitare, cultura, tempo libero e sport, qual è quella che in questo momento la intriga di più?

Winy Maas: Voglio ripetere lo stesso concetto che la mia vicina ha espresso prima di me, quando ha detto che sarà la cultura a trascinare il futuro delle città e lo coltiverà a poco a poco, attraverso una presa di coscienza reciproca, volta a indirizzarlo verso la soluzione di questo problema maggiore. Credo sia questa la nostra missione, ora come ora, vorrei enfatizzare che anche lavorando attraverso uno schermo, possiamo definire la nostra cultura nel modo migliore possibile e muoverci in quella direzione.

Giuseppe De Bellis: Immagino che Soholt concordi, visto che ha anticipato la stessa idea, allora faccio io una scelta per lei e le chiedo di parlare un secondo del tema dello shopping, del commercio. Abbiamo visto quanto lo shopping è stato importante anche nella costruzione delle identità di alcune città, però in questo periodo abbiamo vissuto soprattutto online. Allora, quando torneremo a frequentare di più le nostre città e le strade dello shopping, il nostro atteggiamento sarà cambiato?

Helle Soholt: Sì, lo shopping online sta aumentando sempre più e per certi versi sono d'accordo con il mio collega quando ha detto che la crisi del Covid sta facendo da sostegno ad alcune tendenze preesistenti della nostra società. Lo shopping online è in crescita da 10 anni e ora è sta solo accelerando a causa della crisi attuale. Stiamo lottando contro la scomparsa delle vie dello shopping, delle aree pedonali e così via da molto tempo, almeno 10 anni. Abbiamo assistito all'organizzazione, alla centralizzazione del commercio nella città principali, mentre in alcune di quelle più piccole il commercio è lentamente scomparso. Non credo che questo cambierà, al contrario dobbiamo reinventare insieme i nostri centri urbani. Il sondaggio a cui facevo riferimento, ha messo in evidenza che i livelli di attività nei centri urbani tradizionali è diminuito di una percentuale altissima, compresa tra il 60-90% in questi ultimi due mesi. Questo dipende anche dalla monocoltura, dal fatto che ci siano troppe strade e troppi spazi pubblici adibiti a un unico scopo. Vale a dire lo shopping, e ormai non funziona più, ma non è solo colpa del Covid, è un problema che fa parte da tempo della nostra società abbiamo bisogno che gli spazi siano molto diversificati e soprattutto che comprendano varie attività abbastanza solide da resistere il corso di una giornata, di una settimana o di un anno intero in difficoltà.

Giuseppe De Bellis: Per chiudere, visto che siamo appunto in chiusura, come in tutte le puntate di “Idee per il dopo” partiamo, anzi chiudiamo, con una riflessione sul new normal. Ciascuno di voi mi deve dire che cos'è per lui o per lei il new normal. Comincerei da Tim Marshall.

Tim Marshall: Il new normal a breve termine è esattamente quello che stiamo vivendo tutti. Quello che ci attende fra un anno, se tutto va bene, è molto simile alla vecchia normalità e i libri di storia osserveranno tutto questo tempo e saranno in grado di individuare i cambiamenti graduali che noi non vediamo.

Giuseppe De Bellis: Maas, secondo lei che cos'è il new normal?

Winy Maas: Spero che sia in arrivo una nuova normalità più intelligente, che ci permetta di vivere insieme e costruire un mondo migliore e che ci faccia aprire gli occhi. Ho apprezzato il fatto che il mio collega ci abbia messi in guardia dalla facilità con cui è possibile sprofondare di nuovo nella vecchia normalità con tutti gli svantaggi che ne derivano. Forse il lato positivo è che il new normal ci permetterà di ridefinirla e di saltare quei tempi di recupero ripetitivi, in modo da ritrovare una sorta di progresso e di sperimentare per garantire il futuro del pianeta

Giuseppe De Bellis: Soholt, per lei che cos'è il new normal.

Helle Soholt: Mi sento di affermare che il new normal è la riscoperta della salute e del benessere, le culture saranno alla base dei nostri processi decisionali e delle strategie per il futuro, dovremo impegnarci a trovare nuove cose da imparare dalla pandemia attuale, tenendo sempre a mente gli stili di vita e di lavoro che abbiamo imparato in modo da pianificare come comportarci in futuro.

Giuseppe De Bellis: Bene, siamo in chiusura, grazie, grazie di essere stati con noi, ringrazio quindi Tim Marshall, Winy Maas e Helle Soholt, buonasera e alla prossima puntata di “Idee per il dopo”.

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