Droga, maxi processo a Milano: boss Crisafulli condannato a 20 anni

Cronaca
Biagio Crisafulli, 63 anni, è in carcere dal 1998 (archivio Getty Images)

Per i giudici il capo-clan ha continuato a gestire il traffico di stupefacenti e a tenere contatti con la 'ndrangheta nonostante fosse in carcere dal 1998

Una trentina di condanne per un totale di 200 anni di carcere. E una pena di 20 anni e 11 mesi per Biagio Crisafulli, storico boss del narcotraffico in Lombardia. Si è chiuso così il maxi processo scaturito da un'inchiesta del pm Marcello Musso sul traffico di stupefacenti e sui legami con la 'ndrangheta nel quartiere di Quarto Oggiaro.

L'inchiesta "Pavone"

Gli imputati erano quaranta. Una decina le assoluzioni. Mentre, oltre a Crisafulli, sono stati condannati, tra gli altri, Antonino Paviglianiti a 8 anni e 3 mesi e Ruggero Dicuonzo a 16 anni e 10 mesi. I nomi dei condannati erano emersi durante la maxi-inchiesta “Pavone”, che aveva intercettato un presunto traffico di cocaina, gestito dai clan Muscatello e Crisafulli e legato alle cosche calabresi. L'accusa era quindi di associazione per delinquere finalizzata al narcotraffico, con l'aggravante mafiosa. La sentenza ha riconosciuto l'ipotesi d'accusa principale: Crisafulli, nonostante fosse in carcere, aveva continuato a gestire i traffici illeciti. “Chi si è inventato questa storia dei 'pizzini' ha visto troppe volte 'Il Padrino' - aveva detto in aula Biagio Crisafulli nel settembre 2016 - io sono un uomo buono, faccio del bene e quando uno fa beneficenza non fa i nomi delle persone che aiuta”.

Condannato “Il sarto della Pinetina”

Condannato a 8 anni e 2 mesi anche Domenico Brescia, ribattezzato una decina di anni fa, in un'altra tranche di indagine del pm Musso, come il “sarto della Pinetina”. Un soprannome dovuto ad alcune intercettazioni (senza rilevanza penale) tra Brescia e alcuni calciatori dell'Inter. È stato assolto, invece, Mario Tatone, fratello di Emanuele Tatone e Pasquale Tatone, uccisi a Quarto Oggiaro il 27 e il 30 ottobre del 2013. Il collegio della settima sezione penale (presieduto da Anna Calabi) ha fatto cadere l'accusa di associazione per delinquere con la formula del “non doversi procedere” perché gli imputati erano già stati “giudicati per gli stessi fatti”. Nel giugno 2015, con rito abbreviato, erano già arrivate oltre 30 condanne a pene fino a 20 anni.

Cronaca: i più letti