Un'inchiesta della Dda ha consentito di ricostruire la struttura e il funzionamento dell'organizzazione criminale. Le accuse vanno dall'associazione mafiosa all'estorsione, fino al riciclaggio
Un'inchiesta della Dda della procura di Napoli ha colpito il clan Moccia, attivo in ampie aree dell'hinterland settentrionale di Napoli. Agenti della Dia, della squadra mobile di Napoli e carabinieri del Nucleo investigativo di Castello di Cisterna, con l'ausilio della Guardia di Finanza, hanno eseguito 45 ordinanze di custodia in carcere.
Così i boss comunicavano dal carcere
Le accuse contestate vanno dall'associazione mafiosa alla detenzione di armi comuni e da guerra, passando per estorsione e riciclaggio di grandi somme di denaro. L'organizzazione è attiva da anni nei territori dei comuni di Afragola, Casoria, Arzano, Frattamaggiore, Frattaminore, Cardito, Crispano, Caivano e Acerra e in alcune città del Lazio. Le indagini, condotte anche con il contributo di collaboratori di giustizia, si basano su intercettazioni di colloqui in carcere che hanno portato al sequestro di alcuni “pizzini” con cui i detenuti del clan comunicavano con l'esterno.
Il vertice e i senatori
Gli inquirenti hanno ricostruito il gruppo di vertice del clan, composto da Luigi (capo del clan) e Teresa Moccia, Filippo Iazzetta e Anna Mazza, la “vedova della camorra”, morta a settembre 2017. Al di sotto dei boss, c'era il cosiddetto gruppo dei “senatori”, indicati come “affidatari delle direttive”: ne facevano parte Salvatore Caputo (anche lui deceduto), Domenico Liberti, Maria Luongo, Pasquale Puzio e Antonio Senese. Le indagini hanno portato alla luce i profondi contrasti esistenti tra alcuni dei senatori ed evidenziato il ruolo di primo piano assunto da Modestino Pellino, ucciso il 24 luglio 2012 e vicino al boss Luigi Moccia.
La mappa del clan
Le indagini – hanno spiegato gli inquirenti - hanno consentito di mappare la struttura del clan, le responsabilità del vertice, dei dirigenti e dei relativi referenti sul territorio, le modalità di comunicazione tra gli affiliati, anche detenuti, la capillare attività estorsiva, l'imposizione delle forniture per commesse pubbliche e private, la ripartizione tra i sodali, liberi e detenuti, dei profitti illeciti, e le infiltrazioni del sodalizio negli apparati investigativi.