Secondo la prima sezione penale, l'uomo è responsabile dell'omicidio della moglie, ma i 30 anni inflitti in Appello vanno diminuiti: annullata l'aggravante della crudeltà. Soddisfatta la difesa. Il fratello della vittima: a noi basta la condanna
Salvatore Parolisi è responsabile dell'omicidio della moglie Melania Rea, ma la pena a 30 anni di carcere inflittagli in appello va diminuita. Lo ha stabilito la prima sezione penale della Cassazione, che ha però annullato senza rinvio la sentenza impugnata dall'imputato limitatamente all'aggravante della crudeltà e disposto un nuovo processo, per rideterminare la pena, davanti alla Corte d'assise d'appello di Perugia. Soddisfatto l'avvocato della difesa, Walter Biscotti: "Sicuramente la pena non potrà superare i 20 anni" dice a Sky TG24. E aggiunge: "Per noi il processo non finisce qui". Il fratello della vittima, Michele Rea, sottolinea invece che al caso è stato messo un punto fermo: Salvatore Parolisi è colpevole.
L'ex caporal maggiore dell'Esercito, di stanza al 235esimo Reggimento Piceno, è l'unico imputato per l'omicidio della moglie, avvenuto nel boschetto delle Casermette, a Ripe di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo, il 18 aprile del 2011: il corpo della donna venne ritrovato due giorni dopo la sua scomparsa, grazie ad una telefonata anonima alla polizia in cui si annunciava il ritrovamento di un cadavere seminudo e vilipeso.
Per l'imputato, il gup di Teramo, in primo grado, aveva disposto la condanna all'ergastolo, poi, riformata in appello con i trent'anni di carcere. Il pg di Cassazione Maria Giuseppina Fodaroni aveva chiesto il rigetto del ricorso presentato dalla difesa contro il verdetto di secondo grado emesso dalla Corte d'assise d'appello dell'Aquila il 30 settembre 2013.
L'ex caporal maggiore dell'Esercito, di stanza al 235esimo Reggimento Piceno, è l'unico imputato per l'omicidio della moglie, avvenuto nel boschetto delle Casermette, a Ripe di Civitella del Tronto, in provincia di Teramo, il 18 aprile del 2011: il corpo della donna venne ritrovato due giorni dopo la sua scomparsa, grazie ad una telefonata anonima alla polizia in cui si annunciava il ritrovamento di un cadavere seminudo e vilipeso.
Per l'imputato, il gup di Teramo, in primo grado, aveva disposto la condanna all'ergastolo, poi, riformata in appello con i trent'anni di carcere. Il pg di Cassazione Maria Giuseppina Fodaroni aveva chiesto il rigetto del ricorso presentato dalla difesa contro il verdetto di secondo grado emesso dalla Corte d'assise d'appello dell'Aquila il 30 settembre 2013.