Il boss si era autoaccusato degli attentati contro la procura di Reggio Calabria del 2010, salvo poi ritrattare. La scorsa estate era fuggito dai domiciliari. E' stato ritrovato in un appartamento nella città insieme alla moglie
Lo hanno trovato in un appartamento di Reggio Calabria insieme alla moglie. E' finita così la latitanza di Antonino Lo Giudice, ex boss della 'Ndrangheta, ex collaboratore di giustizia fuggito dagli arresti domiciliari la scorsa estate. A catturarlo sono stati gli uomini della squadra mobile di Reggio Calabria insieme a quelli dello Sco. Lo Giudice si era autoaccusato degli attentati del 2010 contro la procura del capoluogo calabro, salvo poi ritrattare le sua confessione, dopo essersi dato alla latitanza.
Si era autoaccusato delle bombe contro la procura di Reggio - Era il 7 ottobre del 2010 quando venne arrestato dagli agenti della Squadra mobile di Reggio Calabria. Il 15 ottobre, mentre era detenuto nel carcere di Rebibbia, decise di diventare 'pentito'. Iniziò così a fare le prime rivelazioni all'allora procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone. Tra le prime confessioni ci furono proprio quelle relative agli attentati ai magistrati reggini. Lo Giudice si è autoaccusato delle bombe fatte esplodere nel 2010 alla Procura generale e al Pg Di Landro chiamando in causa anche il fratello Luciano, Antonio Cortese, ritenuto l'armiere della cosca, e Vincenzo Puntorieri. Tra le intidimazioni che aveva confessato, anche quella contro lo stesso procuratore Pignatone: davanti agli uffici della Dda fu lasciato un bazooka, la cui presenza fu segnalata con una telefonata anonima fatta da un telefono pubblico alla Polizia. Per questi fatti era stato condannato a sei anni di reclusione anche in appello.
In seguito aveva ritrattato le confessioni - Dopo essersi allontanato dalla località protetta dove si trovava agli arresti domiciliari, Lo Giudice aveva inviato alcuni memoriali e video con il quali aveva ritrattato tutte le accuse fatte durante la sua collaborazione. Nei memoriali ha affermato anche di aver deciso di collaborare con la giustizia dopo aver ricevuto pressioni da parte di alcuni magistrati. L'allontanamento di Lo Giudice e le sue dichiarazioni nei memoriali hanno portato a nuove inchieste aperte da diverse Procure della Repubblica.
Si era autoaccusato delle bombe contro la procura di Reggio - Era il 7 ottobre del 2010 quando venne arrestato dagli agenti della Squadra mobile di Reggio Calabria. Il 15 ottobre, mentre era detenuto nel carcere di Rebibbia, decise di diventare 'pentito'. Iniziò così a fare le prime rivelazioni all'allora procuratore della Repubblica di Reggio Calabria, Giuseppe Pignatone. Tra le prime confessioni ci furono proprio quelle relative agli attentati ai magistrati reggini. Lo Giudice si è autoaccusato delle bombe fatte esplodere nel 2010 alla Procura generale e al Pg Di Landro chiamando in causa anche il fratello Luciano, Antonio Cortese, ritenuto l'armiere della cosca, e Vincenzo Puntorieri. Tra le intidimazioni che aveva confessato, anche quella contro lo stesso procuratore Pignatone: davanti agli uffici della Dda fu lasciato un bazooka, la cui presenza fu segnalata con una telefonata anonima fatta da un telefono pubblico alla Polizia. Per questi fatti era stato condannato a sei anni di reclusione anche in appello.
In seguito aveva ritrattato le confessioni - Dopo essersi allontanato dalla località protetta dove si trovava agli arresti domiciliari, Lo Giudice aveva inviato alcuni memoriali e video con il quali aveva ritrattato tutte le accuse fatte durante la sua collaborazione. Nei memoriali ha affermato anche di aver deciso di collaborare con la giustizia dopo aver ricevuto pressioni da parte di alcuni magistrati. L'allontanamento di Lo Giudice e le sue dichiarazioni nei memoriali hanno portato a nuove inchieste aperte da diverse Procure della Repubblica.