Priebke, eccidio delle fosse Ardeatine: 335 italiani uccisi
CronacaRoma, 24 marzo 1944: le truppe della Germania nazista massacrano centinaia di civili come atto di rappresaglia in seguito all'attacco compiuto da membri dei Gap contro i soldati tedeschi. Il boia della strage è l'ex capitano delle Ss morto l'11 ottobre
L'eccidio delle Fosse Ardeatine è il massacro compiuto a Roma dalle truppe di occupazione della Germania nazista il 24 marzo 1944, ai danni di 335 civili italiani, come atto di rappresaglia in seguito all'attacco compiuto da membri dei Gap (gruppi di azione patriottica) romani contro truppe tedesche in transito in via Rasella. Per la sua efferatezza, l'alto numero di vittime, e per le tragiche circostanze che portarono al suo compimento, è diventato l'evento simbolo della rappresaglia nazista durante il periodo dell'occupazione. Il 23 marzo 1944, 17 partigiani dei Gap fecero esplodere un ordigno in Via Rasella, a Roma, proprio mentre passava una colonna di militari tedeschi.
L'attentato - Nell'attentato vennero uccisi 32 militari dell'11esima Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment Bozen, mentre altri 10 soldati morirono nei giorni successivi. L'esplosione uccise anche due civili italiani. La sera del 23 marzo, il Comandante della Polizia e dei Servizi di Sicurezza tedeschi a Roma, tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, insieme al comandante delle Forze Armate della Wermacht di stanza nella capitale, Generale Kurt Malzer, proposero che l'azione di rappresaglia consistesse nella fucilazione di dieci italiani per ogni poliziotto ucciso nell'azione partigiana, e suggerirono inoltre che le vittime venissero selezionate tra i condannati a morte detenuti nelle prigioni gestite dai Servizi di Sicurezza e dai Servizi Segreti. Il Colonnello Generale Eberhard von Mackensen, comandante della Quattordicesima Armata - la cui giurisdizione comprendeva anche Roma - approvò la proposta.
La decisione della rappresaglia - Il giorno seguente, i militari della Polizia di Sicurezza in servizio a Roma, al comando del Capitano delle SS Erich Priebke, morto a 100 anni l'11 ottobre e del Capitano delle SS Karl Hass, radunarono 335 civili italiani, tutti uomini, nei pressi di una serie di grotte artificiali alla periferia di Roma, sulla via Ardeatina. Le Fosse Ardeatine, che originariamente facevano parte del sistema di catacombe cristiane, vennero scelte per poter eseguire la rappresaglia in segreto e per occultare i cadaveri delle vittime.
Il ruolo di Priebke - Priebke e Hass avevano ricevuto l'ordine di selezionare le vittime tra i prigionieri che erano già stati condannati a morte, ma il numero di prigionieri in quella categoria non arrivava ai 330 necessari alla rappresaglia. Per questa ragione, gli ufficiali della Polizia di Sicurezza selezionarono altri detenuti, molti dei quali arrestati per motivi politici, insieme ad altri che o avevano preso parte ad azioni della Resistenza, o erano semplicemente sospettati di averlo fatto. I tedeschi aggiunsero al gruppo già selezionato per il massacro anche 57 prigionieri ebrei, molti dei quali erano detenuti nel carcere romano di Regina Coeli. Per raggiungere la quota necessaria, rastrellarono anche alcuni civili che passavano per caso nelle vie di Roma.
Il massacro - Il più anziano tra gli uomini uccisi aveva poco più di settant'anni, il più giovane quindici. Quando le vittime vennero radunate all'interno delle cave, Priebke e Hass si accorsero che ne erano state selezionate erroneamente 335 invece che le 330 previste dall'ordine di rappresaglia. Le SS però decisero che rilasciare quei 5 prigionieri avrebbe potuto compromettere la segretezza dell'azione e quindi decisero di ucciderli insieme agli altri. I prigionieri selezionati furono condotti all'interno delle grotte con le mani legate dietro la schiena. Già prima di raggiungere il luogo dell'esecuzione, Priebke e Hass avevano deciso di non utilizzare il metodo tradizionale del plotone di esecuzione; agli agenti incaricati dell'eccidio, infatti, venne ordinato di occuparsi di una vittima alla volta e di sparare da distanza ravvicinata, in modo da risparmiare tempo e munizioni. Gli ufficiali della polizia tedesca portarono quindi i prigionieri all'interno delle fosse, obbligandoli a disporsi in file di cinque e a inginocchiarsi, uccidendoli poi uno a uno con un colpo alla nuca. Quando il massacro ebbe termine, Priebke e Hass ordinarono ai militari del genio di chiudere l'entrata delle fosse facendola saltare con l'esplosivo. Dal 1949 un sacrario costruito sul luogo dell'eccidio ne custodisce la memoria.
L'attentato - Nell'attentato vennero uccisi 32 militari dell'11esima Compagnia del III Battaglione del Polizeiregiment Bozen, mentre altri 10 soldati morirono nei giorni successivi. L'esplosione uccise anche due civili italiani. La sera del 23 marzo, il Comandante della Polizia e dei Servizi di Sicurezza tedeschi a Roma, tenente colonnello delle SS Herbert Kappler, insieme al comandante delle Forze Armate della Wermacht di stanza nella capitale, Generale Kurt Malzer, proposero che l'azione di rappresaglia consistesse nella fucilazione di dieci italiani per ogni poliziotto ucciso nell'azione partigiana, e suggerirono inoltre che le vittime venissero selezionate tra i condannati a morte detenuti nelle prigioni gestite dai Servizi di Sicurezza e dai Servizi Segreti. Il Colonnello Generale Eberhard von Mackensen, comandante della Quattordicesima Armata - la cui giurisdizione comprendeva anche Roma - approvò la proposta.
La decisione della rappresaglia - Il giorno seguente, i militari della Polizia di Sicurezza in servizio a Roma, al comando del Capitano delle SS Erich Priebke, morto a 100 anni l'11 ottobre e del Capitano delle SS Karl Hass, radunarono 335 civili italiani, tutti uomini, nei pressi di una serie di grotte artificiali alla periferia di Roma, sulla via Ardeatina. Le Fosse Ardeatine, che originariamente facevano parte del sistema di catacombe cristiane, vennero scelte per poter eseguire la rappresaglia in segreto e per occultare i cadaveri delle vittime.
Il ruolo di Priebke - Priebke e Hass avevano ricevuto l'ordine di selezionare le vittime tra i prigionieri che erano già stati condannati a morte, ma il numero di prigionieri in quella categoria non arrivava ai 330 necessari alla rappresaglia. Per questa ragione, gli ufficiali della Polizia di Sicurezza selezionarono altri detenuti, molti dei quali arrestati per motivi politici, insieme ad altri che o avevano preso parte ad azioni della Resistenza, o erano semplicemente sospettati di averlo fatto. I tedeschi aggiunsero al gruppo già selezionato per il massacro anche 57 prigionieri ebrei, molti dei quali erano detenuti nel carcere romano di Regina Coeli. Per raggiungere la quota necessaria, rastrellarono anche alcuni civili che passavano per caso nelle vie di Roma.
Il massacro - Il più anziano tra gli uomini uccisi aveva poco più di settant'anni, il più giovane quindici. Quando le vittime vennero radunate all'interno delle cave, Priebke e Hass si accorsero che ne erano state selezionate erroneamente 335 invece che le 330 previste dall'ordine di rappresaglia. Le SS però decisero che rilasciare quei 5 prigionieri avrebbe potuto compromettere la segretezza dell'azione e quindi decisero di ucciderli insieme agli altri. I prigionieri selezionati furono condotti all'interno delle grotte con le mani legate dietro la schiena. Già prima di raggiungere il luogo dell'esecuzione, Priebke e Hass avevano deciso di non utilizzare il metodo tradizionale del plotone di esecuzione; agli agenti incaricati dell'eccidio, infatti, venne ordinato di occuparsi di una vittima alla volta e di sparare da distanza ravvicinata, in modo da risparmiare tempo e munizioni. Gli ufficiali della polizia tedesca portarono quindi i prigionieri all'interno delle fosse, obbligandoli a disporsi in file di cinque e a inginocchiarsi, uccidendoli poi uno a uno con un colpo alla nuca. Quando il massacro ebbe termine, Priebke e Hass ordinarono ai militari del genio di chiudere l'entrata delle fosse facendola saltare con l'esplosivo. Dal 1949 un sacrario costruito sul luogo dell'eccidio ne custodisce la memoria.