Torna la carta di identità elettronica: sarà la volta buona?
CronacaTra le varie misure contenute nel decreto che vara l'agenda digitale anche il documento di riconoscimento intelligente dei cittadini. Una soluzione dalla storia lunga e complicata, che secondo alcuni ormai non serve più
di Raffaele Mastrolonardo
A volte ritornano, verrebbe da dire. Ma solo nelle pagine dei decreti e nelle dichiarazioni dei ministri. Perché negli ultimi 15 anni, nonostante le tante parole, di carte di identità elettroniche nelle tasche dei cittadini se ne sono viste poche. Ora, ad assicurare che presto avremo tutti una tessera di riconoscimento intelligente è arrivato il cosiddetto pacchetto Crescita 2.0 che contiene i provvedimenti sull'Agenda digitale e, tra le soluzioni per dare impulso all'innovazione del Paese, ha inserito il “Documento digitale unificato”. Metterà insieme carta di identità, tessera sanitaria e carta nazionale dei servizi – si legge nel testo – e dovrebbe servire, tra le altre cose, come strumento di accesso ai servizi online della Pubblica Amministrazione. Dovrebbe perché, vista la storia di questa proposta, il condizionale è più d'obbligo che mai. Se infatti quanto messo per iscritto nel decreto si materializzerà veramente sarà la fine di una storia lunga quasi 15 anni, fatta di decine di norme, dozzine di annunci, svariati milioni di euro investiti (44 secondo alcuni calcoli) e pochissimi documenti hi-tech effettivamente distribuiti: in tutto, secondo una recente valutazione, sono 4 milioni (su 60 milioni di italiani) le carte d’identità elettroniche rilasciate fino ad ora.
Una storia italiana -15 anni, si diceva. Sì perché i primi vagiti normativi della Carta d'identità elettronica (Cie) risalgono al biennio 1997-1998, più o meno il periodo in cui negli Stati Uniti nasceva Google. Su impulso dell'allora ministro della Funziona Pubblica Franco Bassanini si parla per la prima volta in una legge di “carta di identità e di altri documenti di riconoscimento muniti di supporto magnetico o informatico”. Per toccarla con mano bisognerà aspettare altri quattro anni. Ma le mani che la toccheranno non saranno mai molte. Nel marzo 2001 – mentre, nel frattempo, le specifiche tecniche e le modalità di rilascio erano state definite in altri 4 decreti – parte una prima sperimentazione e il primo esemplare di CIE (carta d’identità elettronica) viene consegnato a Napoli dal ministro degli Interni Enzo Bianco che dichiara: “Entro quattro anni il governo sarà pronto a darla a tutti i cittadini”. Pochi mesi dopo, cambiato il colore del governo, è il suo successore Claudio Scajola a dare i numeri: un sesto della popolazione italiana nel 2002, tutti quanti entro cinque-sette anni. Di anni ne trascorrono solo tre (negli Stati Uniti Facebook compie i primi passi) e il governo Berlusconi rende la Carta di identità elettronica obbligatoria a partire dal primo gennaio successivo affidando la realizzazione delle CIE a “Innovazione e progetti”, società controllata da Poligrafico dello Stato e Finmeccanica. Intanto, cambia l'esecutivo e il nuovo ministro della Funzione pubblica Luigi Nicolais si sente di affermare: “Stiamo lavorando per renderla operativa entro l'anno. Costerà di meno, al massimo 20 euro rispetto ai 30 previsti”. Proprio la diminuzione dei costi però – che costringe a rivedere il piano di business iniziale - assieme ai dubbi sulle procedure di affidamento seguite spingono il governo Prodi verso la liquidazione della società incaricata. Il problema è che Finmeccanica non ci sta: presenta un ricorso (su cui di recente si è soffermato il Fatto quotidiano con un retroscena) e blocca il progetto e le nuove gare di affidamento. Tutto da rifare dunque. Arriviamo così al 2011 (l'iPad è stato presentato da pochi mesi) quando la Carta d'identità elettronica torna brevemente in auge: il decreto sviluppo dell'allora governo Berlusconi la reintroduce per tutti i cittadini, bambini compresi. Per i dettagli, però, si rinvia ad un decreto attuativo del ministero dell'Economia e della Finanza che non vedrà mai la luce. Insomma, ancora niente di fatto. E per rendersene conto basta guardare dentro il proprio portafoglio: nel 90% dei casi c'è ancora la vecchia carta di identità.
Fuori tempo massimo? - Il resto è storia di questi giorni. Mentre Apple lancia l'iPhone 5, arrivano gli annunci dell'ennesimo ministro, questa volta è il titolare della Pubblica amministrazione Patroni Griffi che promette il nuovo documento entro la primavera del 2013. Pochi giorni ancora ed è la volta del decreto Crescita che sancisce con la forza delle norme l'ultima epifania dell'agognata tessera. Sarà la volta buona? Il passato suggerisce prudenza.
La differenza, questa volta, è che a scommettere sulla carta di identità elettronica sono i “tecnici” che hanno anche già dato alcune indicazioni sulle caratteristiche tecnologiche dell'oggetto e sono intenzionati a evitare alcuni errori del passato: per esempio, centralizzando l'emissione delle tessere togliendo così l'onere della stampa ai Comuni. Ma i dubbi restano, senza contare che c'è chi pensa che ormai sia tardi. Il problema, secondo alcuni, riguarda infatti l'idea stessa di introdurre nel 2012 un ulteriore documento per consentire ai cittadini di accedere ai servizi online della Pa (elemento che, secondo il governo, costituisce invece il nocciolo della nuova carta).
“Un altro Pin da ricordare che però useremo più raramente. E dunque finiremo per dimenticarcelo”, dice Andrea Di Maio, analista di Gartner sui temi della pubblica amministrazione digitale. Il punto, secondo Di Maio, è che negli ultimi 10 anni il mondo online si è evoluto e l'utente si è costruito un'identità virtuale che la pubblica amministrazione potrebbe riconoscere senza costringerlo ad aggiungere un altro tassello. “In Gran Bretagna – osserva - stanno studiando un modo per consentire l'accesso ai servizi pubblici online con le credenziali che usiamo sui social network o sui cellulari. Ormai l'individuo si muove in un ecosistema di strumenti per accedere ai servizi e non sono sicuro che la carta di identità elettronica così come è concepita ne tenga conto”. Insomma, dopo 15 anni, forse la saga potrebbe chiudersi con lieto fine. Il paradosso è che, arrivati questo punto, forse era meglio lasciar perdere.
A volte ritornano, verrebbe da dire. Ma solo nelle pagine dei decreti e nelle dichiarazioni dei ministri. Perché negli ultimi 15 anni, nonostante le tante parole, di carte di identità elettroniche nelle tasche dei cittadini se ne sono viste poche. Ora, ad assicurare che presto avremo tutti una tessera di riconoscimento intelligente è arrivato il cosiddetto pacchetto Crescita 2.0 che contiene i provvedimenti sull'Agenda digitale e, tra le soluzioni per dare impulso all'innovazione del Paese, ha inserito il “Documento digitale unificato”. Metterà insieme carta di identità, tessera sanitaria e carta nazionale dei servizi – si legge nel testo – e dovrebbe servire, tra le altre cose, come strumento di accesso ai servizi online della Pubblica Amministrazione. Dovrebbe perché, vista la storia di questa proposta, il condizionale è più d'obbligo che mai. Se infatti quanto messo per iscritto nel decreto si materializzerà veramente sarà la fine di una storia lunga quasi 15 anni, fatta di decine di norme, dozzine di annunci, svariati milioni di euro investiti (44 secondo alcuni calcoli) e pochissimi documenti hi-tech effettivamente distribuiti: in tutto, secondo una recente valutazione, sono 4 milioni (su 60 milioni di italiani) le carte d’identità elettroniche rilasciate fino ad ora.
Una storia italiana -15 anni, si diceva. Sì perché i primi vagiti normativi della Carta d'identità elettronica (Cie) risalgono al biennio 1997-1998, più o meno il periodo in cui negli Stati Uniti nasceva Google. Su impulso dell'allora ministro della Funziona Pubblica Franco Bassanini si parla per la prima volta in una legge di “carta di identità e di altri documenti di riconoscimento muniti di supporto magnetico o informatico”. Per toccarla con mano bisognerà aspettare altri quattro anni. Ma le mani che la toccheranno non saranno mai molte. Nel marzo 2001 – mentre, nel frattempo, le specifiche tecniche e le modalità di rilascio erano state definite in altri 4 decreti – parte una prima sperimentazione e il primo esemplare di CIE (carta d’identità elettronica) viene consegnato a Napoli dal ministro degli Interni Enzo Bianco che dichiara: “Entro quattro anni il governo sarà pronto a darla a tutti i cittadini”. Pochi mesi dopo, cambiato il colore del governo, è il suo successore Claudio Scajola a dare i numeri: un sesto della popolazione italiana nel 2002, tutti quanti entro cinque-sette anni. Di anni ne trascorrono solo tre (negli Stati Uniti Facebook compie i primi passi) e il governo Berlusconi rende la Carta di identità elettronica obbligatoria a partire dal primo gennaio successivo affidando la realizzazione delle CIE a “Innovazione e progetti”, società controllata da Poligrafico dello Stato e Finmeccanica. Intanto, cambia l'esecutivo e il nuovo ministro della Funzione pubblica Luigi Nicolais si sente di affermare: “Stiamo lavorando per renderla operativa entro l'anno. Costerà di meno, al massimo 20 euro rispetto ai 30 previsti”. Proprio la diminuzione dei costi però – che costringe a rivedere il piano di business iniziale - assieme ai dubbi sulle procedure di affidamento seguite spingono il governo Prodi verso la liquidazione della società incaricata. Il problema è che Finmeccanica non ci sta: presenta un ricorso (su cui di recente si è soffermato il Fatto quotidiano con un retroscena) e blocca il progetto e le nuove gare di affidamento. Tutto da rifare dunque. Arriviamo così al 2011 (l'iPad è stato presentato da pochi mesi) quando la Carta d'identità elettronica torna brevemente in auge: il decreto sviluppo dell'allora governo Berlusconi la reintroduce per tutti i cittadini, bambini compresi. Per i dettagli, però, si rinvia ad un decreto attuativo del ministero dell'Economia e della Finanza che non vedrà mai la luce. Insomma, ancora niente di fatto. E per rendersene conto basta guardare dentro il proprio portafoglio: nel 90% dei casi c'è ancora la vecchia carta di identità.
Fuori tempo massimo? - Il resto è storia di questi giorni. Mentre Apple lancia l'iPhone 5, arrivano gli annunci dell'ennesimo ministro, questa volta è il titolare della Pubblica amministrazione Patroni Griffi che promette il nuovo documento entro la primavera del 2013. Pochi giorni ancora ed è la volta del decreto Crescita che sancisce con la forza delle norme l'ultima epifania dell'agognata tessera. Sarà la volta buona? Il passato suggerisce prudenza.
La differenza, questa volta, è che a scommettere sulla carta di identità elettronica sono i “tecnici” che hanno anche già dato alcune indicazioni sulle caratteristiche tecnologiche dell'oggetto e sono intenzionati a evitare alcuni errori del passato: per esempio, centralizzando l'emissione delle tessere togliendo così l'onere della stampa ai Comuni. Ma i dubbi restano, senza contare che c'è chi pensa che ormai sia tardi. Il problema, secondo alcuni, riguarda infatti l'idea stessa di introdurre nel 2012 un ulteriore documento per consentire ai cittadini di accedere ai servizi online della Pa (elemento che, secondo il governo, costituisce invece il nocciolo della nuova carta).
“Un altro Pin da ricordare che però useremo più raramente. E dunque finiremo per dimenticarcelo”, dice Andrea Di Maio, analista di Gartner sui temi della pubblica amministrazione digitale. Il punto, secondo Di Maio, è che negli ultimi 10 anni il mondo online si è evoluto e l'utente si è costruito un'identità virtuale che la pubblica amministrazione potrebbe riconoscere senza costringerlo ad aggiungere un altro tassello. “In Gran Bretagna – osserva - stanno studiando un modo per consentire l'accesso ai servizi pubblici online con le credenziali che usiamo sui social network o sui cellulari. Ormai l'individuo si muove in un ecosistema di strumenti per accedere ai servizi e non sono sicuro che la carta di identità elettronica così come è concepita ne tenga conto”. Insomma, dopo 15 anni, forse la saga potrebbe chiudersi con lieto fine. Il paradosso è che, arrivati questo punto, forse era meglio lasciar perdere.