I magistrati di Palermo a Roma per sentire l'ex premier sui suoi rapporti con lo stalliere Mangano e sui 40 milioni di euro versati al senatore del Pdl. "Solo donazioni a un prezioso collaboratore" avrebbe risposto il Cavaliere
"Il presidente Berlusconi ha chiarito compiutamente tutti gli aspetti della vicenda. Quali difensori della persona offesa, abbiamo provveduto al deposito di idonea documentazione a ulteriore comprova delle dichiarazioni rese". La lapidaria nota degli avvocati Niccolò Ghedini e Piero Longo segue di poco la fine dell'interrogatorio reso a Roma da Silvio Berlusconi ai pm di Palermo. E una cosa almeno la chiarisce: i magistrati siciliani, che da luglio attendono di potere sentire l'ex premier sulla presunta estorsione da 40 milioni di euro subita dal senatore Marcello Dell'Utri, oggi non hanno fatto un viaggio a vuoto.
Interrogato a Roma e non a Palermo - La decisione della Procura di convocare Berlusconi come teste ha spuntato le armi della difesa, privando l'ex premier della chance a cui ricorse il 26 novembre del 2002, quando, citato nel processo per concorso esterno in associazione mafiosa all'ex manager di Publitalia, a sorpresa, dopo avere fatto spostare il tribunale a Palazzo Chigi, si avvalse della facoltà di non rispondere. Nonostante le eccezioni dei suoi legali, respinte dalla Procura, la veste del teste assistito, che gli avrebbe permesso di restare in silenzio, non gli è stata concessa. E Berlusconi si è presentato davanti ai pm come un testimone qualunque. O meglio 'quasi qualunque', visto che il procuratore di Palermo Francesco Messineo, l'aggiunto Antonio Ingroia e il pm Lia Sava alla fine su un punto hanno ceduto e, dopo settimane di trattative frenetiche, hanno acconsentito a tenere l'interrogatorio a Roma e non a Palermo come deciso inizialmente. Una scelta, quella del capo dei pm, che ha creato malumori nel pool che indaga sull'estorsione, spaccato tra le 'colombe', disponibili a spostarsi nella Capitale, e i 'falchi' che ritenevano un errore "cedere".
Sul tavolo i rapporti di Berlusconi con Mangano e Cinà - Le domande fatte all'ex premier erano state concordate ieri dai magistrati in una lunghissima riunione e ruotavano tutte attorno ai 40 milioni dati, in varie tranche, da Berlusconi a Dell'Utri. Un fiume di denaro che, ipotizzano i pm, l'ex premier avrebbe pagato per comprarsi, tramite l'amico palermitano, la protezione di Cosa nostra, come avvenne negli anni '70, o per assicurarsi il silenzio di Dell'Utri a conoscenza dei suoi presunti rapporti coi clan mafiosi. L'interrogatorio è durato tre ore: convenevoli e verbalizzazione a parte, il botta e risposta tra i magistrati e l'ex premier non dovrebbe essersi protratto per più di due. I legali hanno riprovato a eccepire l'incompetenza della Procura siciliana sull'inchiesta e ribadito l'esigenza che il loro cliente fosse sentito come teste assistito, vista la precedente indagine per riciclaggio a suo carico. Respinte le eccezioni si è entrati nel vivo, partendo dal passato: i rapporti tra Berlusconi e i mafiosi Vittorio Mangano, ex stalliere ad Arcore e Tanino Cinà, vicende che costituivano oggetto dell'interrogatorio sfumato 10 anni fa.
Domande sui 40 milioni versati da Berlusconi a Dell'Utri - Mangano e Cinà? Persone apparentemente perbene, dai modi gentili. Era impossibile sospettarne i legami mafiosi, avrebbe risposto l'ex premier. La verità su Mangano, che Berlusconi ha ribadito di avere conosciuto tramite Dell'Utri, sarebbe emersa solo molto dopo la sua assunzione ad Arcore, quando l'ex presidente del Consiglio e il boss già non avevano più rapporti. Ma la parte principale dell'interrogatorio ha riguardato i 40 milioni dati a Dell'Utri. Nessuna estorsione, ha ribadito Berlusconi. Solo delle donazioni fatte a "un amico e prezioso collaboratore" per le sue esigenze personali. Dalle necessità per ristrutturazioni di immobili, all'acquisito di libri (Dell'Utri è un appassionato bibliofilo), alle esigenze di spesa molto elevate dei familiari del senatore. Quanto alla villa sul lago di Como che l'ex premier ha comprato da Dell'Utri, pagata, secondo i pm, una cifra spropositata rispetto al suo reale valore, Berlusconi ha ribattuto che la quantificazione del corrispettivo di vendita fosse stata fatta in base a una perizia non gonfiata. Durante l'interrogatorio il testimone ha consultato una serie di documenti bancari sui bonifici fatti, atti che nei prossimi giorni i legali faranno arrivare ai pm di Palermo.
Interrogato a Roma e non a Palermo - La decisione della Procura di convocare Berlusconi come teste ha spuntato le armi della difesa, privando l'ex premier della chance a cui ricorse il 26 novembre del 2002, quando, citato nel processo per concorso esterno in associazione mafiosa all'ex manager di Publitalia, a sorpresa, dopo avere fatto spostare il tribunale a Palazzo Chigi, si avvalse della facoltà di non rispondere. Nonostante le eccezioni dei suoi legali, respinte dalla Procura, la veste del teste assistito, che gli avrebbe permesso di restare in silenzio, non gli è stata concessa. E Berlusconi si è presentato davanti ai pm come un testimone qualunque. O meglio 'quasi qualunque', visto che il procuratore di Palermo Francesco Messineo, l'aggiunto Antonio Ingroia e il pm Lia Sava alla fine su un punto hanno ceduto e, dopo settimane di trattative frenetiche, hanno acconsentito a tenere l'interrogatorio a Roma e non a Palermo come deciso inizialmente. Una scelta, quella del capo dei pm, che ha creato malumori nel pool che indaga sull'estorsione, spaccato tra le 'colombe', disponibili a spostarsi nella Capitale, e i 'falchi' che ritenevano un errore "cedere".
Sul tavolo i rapporti di Berlusconi con Mangano e Cinà - Le domande fatte all'ex premier erano state concordate ieri dai magistrati in una lunghissima riunione e ruotavano tutte attorno ai 40 milioni dati, in varie tranche, da Berlusconi a Dell'Utri. Un fiume di denaro che, ipotizzano i pm, l'ex premier avrebbe pagato per comprarsi, tramite l'amico palermitano, la protezione di Cosa nostra, come avvenne negli anni '70, o per assicurarsi il silenzio di Dell'Utri a conoscenza dei suoi presunti rapporti coi clan mafiosi. L'interrogatorio è durato tre ore: convenevoli e verbalizzazione a parte, il botta e risposta tra i magistrati e l'ex premier non dovrebbe essersi protratto per più di due. I legali hanno riprovato a eccepire l'incompetenza della Procura siciliana sull'inchiesta e ribadito l'esigenza che il loro cliente fosse sentito come teste assistito, vista la precedente indagine per riciclaggio a suo carico. Respinte le eccezioni si è entrati nel vivo, partendo dal passato: i rapporti tra Berlusconi e i mafiosi Vittorio Mangano, ex stalliere ad Arcore e Tanino Cinà, vicende che costituivano oggetto dell'interrogatorio sfumato 10 anni fa.
Domande sui 40 milioni versati da Berlusconi a Dell'Utri - Mangano e Cinà? Persone apparentemente perbene, dai modi gentili. Era impossibile sospettarne i legami mafiosi, avrebbe risposto l'ex premier. La verità su Mangano, che Berlusconi ha ribadito di avere conosciuto tramite Dell'Utri, sarebbe emersa solo molto dopo la sua assunzione ad Arcore, quando l'ex presidente del Consiglio e il boss già non avevano più rapporti. Ma la parte principale dell'interrogatorio ha riguardato i 40 milioni dati a Dell'Utri. Nessuna estorsione, ha ribadito Berlusconi. Solo delle donazioni fatte a "un amico e prezioso collaboratore" per le sue esigenze personali. Dalle necessità per ristrutturazioni di immobili, all'acquisito di libri (Dell'Utri è un appassionato bibliofilo), alle esigenze di spesa molto elevate dei familiari del senatore. Quanto alla villa sul lago di Como che l'ex premier ha comprato da Dell'Utri, pagata, secondo i pm, una cifra spropositata rispetto al suo reale valore, Berlusconi ha ribattuto che la quantificazione del corrispettivo di vendita fosse stata fatta in base a una perizia non gonfiata. Durante l'interrogatorio il testimone ha consultato una serie di documenti bancari sui bonifici fatti, atti che nei prossimi giorni i legali faranno arrivare ai pm di Palermo.