Quei caduti italiani nell’Egeo, ritrovati attraverso il web
CronacaE' il 12 febbraio del '44, quando il piroscafo Oria partito da Rodi con a bordo oltre 4mila prigionieri dei tedeschi, naufraga. 60 anni dopo, grazie alla Rete, i familiari di circa 80 vittime sono venute a sapere qual è stata la sorte dei loro antenati
di Giulia Floris
C’è Dino Menicacci, nato a Vaiano, in provincia di Prato, nel 1922, disperso a 22 anni: portava una gavetta con su incise le sue iniziali e la scritta “Mamma ritornerò, ti voglio bene”. O Fabio Contini, anche lui di soli 22 anni, che aveva una fidanzata che ha aspettato invano il suo ritorno per anni. O Ugo Moretto, morto a 30 anni, a casa una moglie 23enne e una bambina di un anno e mezzo, vista una sola volta, nel corso di una licenza. Sono solo alcuni di oltre 4mila militari italiani morti il 12 febbraio del ’44 nel naufragio di una nave salpata da Rodi: prigionieri dei tedeschi dopo l’armistizio dell'8 settembre del '43, avevano rifiutato di collaborare con i nazisti e per questo erano destinati ai campi di prigionia di Germania e Polonia. Imbarcati sul piroscafo Oria, hanno trovato la loro tomba in fondo all’Egeo, per via di un violento naufragio.
Più di 60 anni dopo, le loro storie sono ritornate a galla, grazie alle ricerche dei loro discendenti, spesso nipoti che di quei nonni portano i nomi e che, cercando di saperne di più sui loro antenati, si sono ritrovati in Rete, mettendo insieme i frammenti di una storia per tanti versi mai raccontata. Uno di loro è Michele Ghirardelli, architetto di Bologna. Di suo nonno Ugo Moretto la famiglia per anni ha saputo solo poche stringate parole: "Disperso dall’11 febbraio del ’44 in Egeo per affondamento della nave che lo trasportava in continente", e l’indicazione di una località con un nome italianizzato: 'Gaidano'.
"Dopo che anche la nonna è morta - racconta - ho deciso che dovevamo saperne di più, che era ora di arrivare alla verità: così ho iniziato semplicemente a fare delle ricerche su Internet, a partire dagli elementi che avevo. Inaspettatamente, quelle ricerche mi hanno messo in contatto con altre persone, con a disposizione gli stessi frammentari indizi e alla ricerca delle stesse risposte".
Nasce così un vero e proprio gruppo di ricerca, nel quale ognuno mette a disposizione le proprie competenze: c’è chi è appassionato di storia e sa cercare negli archivi, chi crea un sito per condividere le informazioni, chi è esperto di immersioni, come anche Ghirardelli. Nel corso di queste ricerche arriva l’incontro sul web con un sub greco, Aristotelis Zervoudis, che racconta di un relitto ritrovato al largo dell’isola di Patroclo (chiamata un tempo 'Gaiduronisi', isola dei somarelli). Così, nel settembre 2008, Ghirardelli si mette in viaggio insieme a un altro membro del coordinamento dei parenti anche lui sub esperto, e vede coi suoi occhi le ossa dei militari e le gavette degli italiani ancora nel fondale. Nel corso di diversi viaggi, Ghirardelli incontra anche testimoni ancora in vita, che videro coi loro occhi il naufragio in cui morirono migliaia di italiani e solo poche decine si salvarono.
Nel frattempo le ricerche negli archivi della marina di un altro familiare portano a un’altra svolta. La scoperta dell'elenco dei passeggeri del piroscafo Oria, partito da Rodi l’11 febbraio del '44 e naufragato al largo di capo Sunion, proprio nei pressi dell'isola di Patroclo. Nell'elenco figurano i nomi del nonno di Ghirardelli e di altri antenati. Così finalmente Michele ha un luogo e un nome, per quel che è capitato a suo nonno.
Una vicenda, quella dell'Oria, nota anche alla Storia con la S maiuscola, come conferma il professor Pasquale Iuso, docente di Storia contemporanea dell’Università di Teramo, autore di alcune pubblicazioni sui militari italiani nell’Egeo. "L’episodio è tragicamente vero – spiega -. In tutte le isole dell’Egeo c’erano quasi 100mila militari italiani e a tutti venne offerta la possibilità di unirsi alle forze collaborazioniste della Rsi e con i tedeschi. Chi si rifiutava di collaborare diventava internato militare". "Altri casi di navi cariche di militari italiani, affondate dagli alleati o per cause naturali - continua - sono il Donizetti (i cui caduti furono 1584), il Petrella (2670 morti) e la nave Sintra, in cui morirono oltre 2mila italiani. Ma quello dell’Oria è stato senz'altro il più grande naufragio di militari italiani".
"I pezzi di questa storia c’erano tutti – dice anche Ghirardelli – ma nessuno li aveva mai messi insieme. I vecchi greci che ho intervistato personalmente hanno ancora memoria del naufragio, il mare custodisce i resti della nave. Gli archivi della marina hanno i verbali dell’inchieste sulle cause del naufragio, le testimonianze dei superstiti e la lista dei passeggeri. Ma nessuno aveva mai cercato le famiglie dei dispersi. Finché le ricerche dei parenti non si sono incrociate".E da lì, come in una scatola cinese, ogni tassello ha portato a nuove scoperte, fino ad arrivare a identificare le famiglie di circa 80 caduti.
Il "filo rosso" dell'Oria ha portato, pochi mesi fa, fino al comune di Vaiano, in provincia di Prato. "La nostra anagrafe è stata contattata per via di un’incisione su una gavetta ripescata dal relitto negli anni ’90" racconta Alessia Cecconi, direttrice del Centro di documentazione storico-etnografica dei Comuni della Val di Bisenzio e di Montemurlo (che il 6 luglio ha dedicato una serata alla storia del piroscafo). "Sulla gavetta - spiega Cecconi - si legge: ‘D.M. 1922, Vaiano’. Quell’incisione ci ha portato a Dino Menicacci, disperso nel ’44, che poi si è visto figurava nell’elenco di coloro che erano imbarcati sull’Oria". E dalle lettere ancora in possesso della famiglia Menicacci si è arrivati a quella di Fabio Contini, di Sesto Fiorentino, che nel '46 ancora scriveva: "Non perdiamo le speranze per nostro figlio, sappiamo che si era imbarcato col vostro da Rodi". La sorella di Contini è ancora viva e solo oggi, a 81 anni, ha saputo quale è stata la sorte di suo fratello, ultimo dei caduti aggiunti al "muro della memoria" del gruppo di ricerca sul naufragio.
Ma per un’ottantina di persone identificate tra i caduti e tra alcuni di coloro che sopravvissero, restano ancora migliaia di nomi: dispersi per la loro famiglia e dimenticati dalla Storia. La speranza di dare un volto e una storia a ciascun nome della lista passa per una mailing list, un gruppo facebook e un sito web.
Riprese subacquee dei resti dell'Oria
C’è Dino Menicacci, nato a Vaiano, in provincia di Prato, nel 1922, disperso a 22 anni: portava una gavetta con su incise le sue iniziali e la scritta “Mamma ritornerò, ti voglio bene”. O Fabio Contini, anche lui di soli 22 anni, che aveva una fidanzata che ha aspettato invano il suo ritorno per anni. O Ugo Moretto, morto a 30 anni, a casa una moglie 23enne e una bambina di un anno e mezzo, vista una sola volta, nel corso di una licenza. Sono solo alcuni di oltre 4mila militari italiani morti il 12 febbraio del ’44 nel naufragio di una nave salpata da Rodi: prigionieri dei tedeschi dopo l’armistizio dell'8 settembre del '43, avevano rifiutato di collaborare con i nazisti e per questo erano destinati ai campi di prigionia di Germania e Polonia. Imbarcati sul piroscafo Oria, hanno trovato la loro tomba in fondo all’Egeo, per via di un violento naufragio.
Più di 60 anni dopo, le loro storie sono ritornate a galla, grazie alle ricerche dei loro discendenti, spesso nipoti che di quei nonni portano i nomi e che, cercando di saperne di più sui loro antenati, si sono ritrovati in Rete, mettendo insieme i frammenti di una storia per tanti versi mai raccontata. Uno di loro è Michele Ghirardelli, architetto di Bologna. Di suo nonno Ugo Moretto la famiglia per anni ha saputo solo poche stringate parole: "Disperso dall’11 febbraio del ’44 in Egeo per affondamento della nave che lo trasportava in continente", e l’indicazione di una località con un nome italianizzato: 'Gaidano'.
"Dopo che anche la nonna è morta - racconta - ho deciso che dovevamo saperne di più, che era ora di arrivare alla verità: così ho iniziato semplicemente a fare delle ricerche su Internet, a partire dagli elementi che avevo. Inaspettatamente, quelle ricerche mi hanno messo in contatto con altre persone, con a disposizione gli stessi frammentari indizi e alla ricerca delle stesse risposte".
Nasce così un vero e proprio gruppo di ricerca, nel quale ognuno mette a disposizione le proprie competenze: c’è chi è appassionato di storia e sa cercare negli archivi, chi crea un sito per condividere le informazioni, chi è esperto di immersioni, come anche Ghirardelli. Nel corso di queste ricerche arriva l’incontro sul web con un sub greco, Aristotelis Zervoudis, che racconta di un relitto ritrovato al largo dell’isola di Patroclo (chiamata un tempo 'Gaiduronisi', isola dei somarelli). Così, nel settembre 2008, Ghirardelli si mette in viaggio insieme a un altro membro del coordinamento dei parenti anche lui sub esperto, e vede coi suoi occhi le ossa dei militari e le gavette degli italiani ancora nel fondale. Nel corso di diversi viaggi, Ghirardelli incontra anche testimoni ancora in vita, che videro coi loro occhi il naufragio in cui morirono migliaia di italiani e solo poche decine si salvarono.
Nel frattempo le ricerche negli archivi della marina di un altro familiare portano a un’altra svolta. La scoperta dell'elenco dei passeggeri del piroscafo Oria, partito da Rodi l’11 febbraio del '44 e naufragato al largo di capo Sunion, proprio nei pressi dell'isola di Patroclo. Nell'elenco figurano i nomi del nonno di Ghirardelli e di altri antenati. Così finalmente Michele ha un luogo e un nome, per quel che è capitato a suo nonno.
Una vicenda, quella dell'Oria, nota anche alla Storia con la S maiuscola, come conferma il professor Pasquale Iuso, docente di Storia contemporanea dell’Università di Teramo, autore di alcune pubblicazioni sui militari italiani nell’Egeo. "L’episodio è tragicamente vero – spiega -. In tutte le isole dell’Egeo c’erano quasi 100mila militari italiani e a tutti venne offerta la possibilità di unirsi alle forze collaborazioniste della Rsi e con i tedeschi. Chi si rifiutava di collaborare diventava internato militare". "Altri casi di navi cariche di militari italiani, affondate dagli alleati o per cause naturali - continua - sono il Donizetti (i cui caduti furono 1584), il Petrella (2670 morti) e la nave Sintra, in cui morirono oltre 2mila italiani. Ma quello dell’Oria è stato senz'altro il più grande naufragio di militari italiani".
"I pezzi di questa storia c’erano tutti – dice anche Ghirardelli – ma nessuno li aveva mai messi insieme. I vecchi greci che ho intervistato personalmente hanno ancora memoria del naufragio, il mare custodisce i resti della nave. Gli archivi della marina hanno i verbali dell’inchieste sulle cause del naufragio, le testimonianze dei superstiti e la lista dei passeggeri. Ma nessuno aveva mai cercato le famiglie dei dispersi. Finché le ricerche dei parenti non si sono incrociate".E da lì, come in una scatola cinese, ogni tassello ha portato a nuove scoperte, fino ad arrivare a identificare le famiglie di circa 80 caduti.
Il "filo rosso" dell'Oria ha portato, pochi mesi fa, fino al comune di Vaiano, in provincia di Prato. "La nostra anagrafe è stata contattata per via di un’incisione su una gavetta ripescata dal relitto negli anni ’90" racconta Alessia Cecconi, direttrice del Centro di documentazione storico-etnografica dei Comuni della Val di Bisenzio e di Montemurlo (che il 6 luglio ha dedicato una serata alla storia del piroscafo). "Sulla gavetta - spiega Cecconi - si legge: ‘D.M. 1922, Vaiano’. Quell’incisione ci ha portato a Dino Menicacci, disperso nel ’44, che poi si è visto figurava nell’elenco di coloro che erano imbarcati sull’Oria". E dalle lettere ancora in possesso della famiglia Menicacci si è arrivati a quella di Fabio Contini, di Sesto Fiorentino, che nel '46 ancora scriveva: "Non perdiamo le speranze per nostro figlio, sappiamo che si era imbarcato col vostro da Rodi". La sorella di Contini è ancora viva e solo oggi, a 81 anni, ha saputo quale è stata la sorte di suo fratello, ultimo dei caduti aggiunti al "muro della memoria" del gruppo di ricerca sul naufragio.
Ma per un’ottantina di persone identificate tra i caduti e tra alcuni di coloro che sopravvissero, restano ancora migliaia di nomi: dispersi per la loro famiglia e dimenticati dalla Storia. La speranza di dare un volto e una storia a ciascun nome della lista passa per una mailing list, un gruppo facebook e un sito web.
Riprese subacquee dei resti dell'Oria