Quegli oggetti degli anni senza nome

Cronaca
(Credits: Getty Images)
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Mangianastri, videocassette, floppy-disk, cabine telefoniche: cosa è scomparso nell’ultimo ventennio? Nel suo ultimo romanzo edito da Feltrinelli ("Dove eravate tutti") Paolo Di Paolo ne rievoca il ricordo e la memoria. LEGGINE UN ESTRATTO

di Paolo Di Paolo

Ecco che cosa scompare.
Così bisognerà dire a un figlio: un giorno tutto questo esisteva. Oggetti, sì, ti sto parlando di oggetti – per esempio, cose come:

mangianastri walkman videocassette floppy disk cabine telefoniche cellulari con antenna telefoni a disco modem 56K televisori con tubo catodico polaroid diapositive macchine per scrivere
un motorino che si chiamava Ciao

Avevano questi nomi. Ci sembravano nuove, vivevano.
Sembrava che potessero durare. E invece scomparivano: come i gettoni telefonici, i giradischi, i taxi gialli, i jukebox nei bar. Come scompariranno i fax, le pagine gialle, forse un giorno i francobolli.

Non accadeva all’improvviso: qualcosa di ostinato e segreto le trascinava via. Si estinguevano: lentamente, come grandi specie di pesci o gli orsi polari. Ma forse, in questo decennio senza nome, meno lentamente del solito.

Allora, per esempio, poteva accadere che su una piazza qualunque di una grande città, un pomeriggio d’inverno, tuo padre giovane, non ancora padre, si mettesse in cerca di un nastro per registrare la propria voce. Non sempre voleva abituarsi alle novità della tecnologia: tieni in conto, di tuo padre, anche la pigrizia; e che poteva legarsi con la stessa stupida facilità agli oggetti e ai suoni: come lo scatto metallico quando premeva i tasti, come il brusio del nastro che si riavvolgeva.
Per caso avete audiocassette vergini?, era costretto a chiedere al negoziante. Il negoziante era alto, aveva i capelli grigi. A tuo padre sembra che indossasse un camice bianco, ma forse questo è un ricordo sbagliato. Comunque andò che il negoziante, mentre lo scrutava, rispose a tuo padre giovane: signore, non ne abbiamo più, quelle cassette sono fuori commercio, mi dispiace. Allora tuo padre, uscito dal negozio, si fermava in un punto qualunque della piazza e non sapeva più dove andare. Immobile, come colpito da un fulmine o un’apparizione. Non aveva più niente a che fare con la città, con il vento, con il rumore e i movimenti della gente. Era come stordito dal pensiero di quella scomparsa.

audiocassette – su cui una volta, pensava, registravamo canzoni per fidanzate e feste di compleanno, lezioni di storia, paradigmi di verbi latini da lasciare impressi nella testa, di notte. Con cui riascoltavamo favole, da ragazzini, corsi di lingue straniere – e le nostre stesse voci: e ci sembrava impossibile che avessero proprio quel suono, che così sgraziate dovessero arrivare all’orecchio degli altri, nel mondo. Capitava che i nastri si inceppassero, stracciati dai denti dello stesso strumento che avrebbe dovuto accudirli; dunque perdevamo anche ciò che non avremmo voluto perdere – ma va sempre così, con le audiocassette, con la vita.

Mentre il vento gonfiava sacchetti di plastica e faceva volare fogli di giornale, tuo padre giovane finalmente attraversava la piazza. Cominciava a piovere, gocce robuste, bolle d’acqua che scoppiavano sui baveri dei cappotti. Lui pensava che da qualche parte, nei sotterranei della città o agli ultimi piani dei grattacieli, c’era qualcuno che segretamente congiurava: contro la resistenza delle cose. Qualcuno decideva che il tempo di qualcosa – un oggetto, uno strumento, un luogo – era finito, il tempo delle lampade a olio, dei dischi, delle cabine telefoniche; oppure delle audiocassette. Perciò questo qualcuno domandava: quante ne restano ancora? La risposta era: circa cinquecento milioni, cinquecento milioni di audiocassette sparse per il pianeta: sugli scaffali di vecchie botteghe, dentro magazzini dismessi, bagagliai di auto passate di moda, camere di bambini cresciuti, case delle nonne, archivi di collezionisti e di cantanti fuori dal giro. Bene, da oggi non ne produrremo più. Qualche ritardatario andrà ancora cercandole, senza successo, sicuramente le rimpiangerà, ma non importa: il mondo è pieno di nostalgici, lasciamo che si estinguano, come dinosauri o mammut per una pioggia di comete. Lasciamo le cose al loro destino, soltanto così il mondo cambia.

Tuo padre cercava quel nastro per lasciarti la sua voce com’era, come un’eredità precaria su un piccolo nastro lucido, marroncino e fragile.
© Giangiacomo Feltrinelli Editore Milano Prima edizione ne “I Narratori” settembre 2011

Tratto da Paolo Di Paolo, Dove eravate tutti, Feltrinelli, pp. 224, euro 15

Paolo Di Paolo è nato nel 1983 a Roma. Nel 2003 entra in finale al Premio Italo Calvino per l'inedito, con i racconti Nuovi cieli, nuove carte. Ha pubblicato libri-intervista con scrittori italiani come Antonio Debenedetti, Raffaele La Capria e Dacia Maraini. È autore di Ogni viaggio è un romanzo. Libri, partenze, arrivi (2007) e di Raccontami la notte in cui sono nato (2008). Ha lavorato anche per la televisione e per il teatro: Il respiro leggero dell'Abruzzo (2001), scritto per Franca Valeri; L'innocenza dei postini, messo in scena al Napoli Teatro Festival Italia 2010.

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