Volare, quando la paura è giustificata

Cronaca

Piloti senza patente, licenze contraffatte, truffe sui ricambi: in un'inchiesta pubblicata da Chiarelettere, Nadia Francalacci racconta "chi imbroglia sulla nostra sicurezza". Con esiti tragici e, a volte, mortali. LEGGINE UN ESTRATTO

di Nadia Francalacci

Quattordici incidenti avvenuti tra il 1984 e il 1997 e riconducibili sicuramente a parti non approvate o contraffatte. Lo ha stabilito l’Ntsb, il più importante istituto al mondo per la sicurezza dei trasporti e per le investigazioni sugli incidenti aerei.
Ogni singolo pezzo di ricambio aeronautico non approvato può rivelarsi come un cavallo di Troia, ovvero un’insidia per la sicurezza del volo che può portare all’incidente oppure alla catastrofe.
Sebbene per Bernard Loeb, direttore dell’Ufficio ricerche e ingegneria dell’Ntsb sia difficilissimo riuscire a individuare una parte contraffatta, non approvata o sospetta dopo un disastro aereo: "È possibile che un aereo sia così danneggiato dall’impatto e dal fuoco da non riuscire a provare che una parte non idonea possa essere stata una delle cause del disastro".
Sempre per l’impiego di bogus parts, l’8 settembre 1989 nei cieli d’Europa, precisamente della Danimarca, muoiono 55 persone tra passeggeri e membri dell’equipaggio. È un disastro che ricostruiscono dettagliatamente il comandante Arturo Radini e l’ingegnere Vittorio Floridia nelle pagine del libro La sicurezza del volo.

A me lo racconta Radini, che incontro nuovamente qualche settimana più tardi a Roma: "Sono le 16.38 quando gli operatori radar danesi registrano un’esplosione di puntini sui propri monitor. Sono le tracce lasciate dai tronconi del Convair CV340/580 mentre stanno precipitando nel mare del Nord da un’altezza di poco meno di settemila metri. L’aereo stava sorvolando la Danimarca, quando ha avuto un cedimento strutturale. È un cedimento improvviso e violento che ne causa il totale smembramento. L’incidente viene esaminato dall’Aircraft Accident Investigation Board of Norway, ovvero l’ufficio norvegese che investiga sugli incidenti aerei, che riesce a individuarne le cause dopo quattro anni di perizie e analisi".
Nel rapporto del 1993, l’Aaib ricostruisce dettagliatamente che cosa avvenne quel maledetto 8 settembre.
"Le parti vitali della struttura dei piani di coda del Convair, non appena questo sfiorò la quota di ventiduemila piedi (circa 6710 metri di altezza), cedettero – continua il comandante – e questo causò la perdita di controllo dell’aereo."
L’Aaib è riuscito a stabilire che un ruolo fondamentale nel disastro lo ebbe lo stabilizzatore verticale del Convair, fissato dal reparto manutenzione alla fusoliera "con spinotti e bussole non conformi ai valori richiesti di durezza e coefficienti di resistenza al materiale".

L’ufficio d’investigazione norvegese lo spiega senza lasciare margine a dubbi: "... l’aereo non era in possesso dei requisiti di aeronavigabilità". Dunque quel velivolo non sarebbe mai dovuto decollare. Ma un altro aspetto appurato dall’inchiesta è che i piloti del Convair non si accorsero di quanto stava accadendo; non ricevettero nessun avviso in cabina di pilotaggio.
La tragedia fu immediata, quasi un’esplosione. L’equipaggio e i passeggeri non si accorsero di essere ormai vittime segnate di quella catastrofe se non pochissimi attimi prima che l’aereo si aprisse come una scatoletta di tonno e si frantumasse in più parti trasformandosi in una palla di fuoco.
Quella che videro i radaristi sui loro schermi. Corpi legati ai sedili che bruciavano, altri invece che annaspavano nel vuoto prima di perdere conoscenza: tutti precipitarono nelle acque gelide del mare del Nord. E lì sprofondarono.

L’Aaib ha escluso cause legate a condizioni meteorologiche o al malfunzionamento dei motori. L’unica causa indicata come scatenante è stata quella riconducibile alla "perdita di controllo e stabilità".
Nei quattro anni di indagini, l’Aaib ha analizzato anche il curriculum manutentivo del Convair CV340, riuscendo a individuare chiaramente i tre elementi che dovevano essere alla base del disastro: la sostituzione degli spinotti e delle bussole, l’Apu (ossia l’Auxiliary Power Unit, cioè l’unità di potenza ausiliaria) non conforme (risultata molto più piccola rispetto a quella standard) e le ispezioni manutentive incomplete. Perché il reparto manutenzione non aveva più controllato quell’aereo o vi aveva effettuato solo check molto superficiali?
Semplice. Il reparto manutenzione non aveva controllato a sufficienza l’aereo per il fatto che questo stava per essere ceduto a una nuova compagnia norvegese. Assieme all’Apu non conforme sono stati scoperti anche altri pezzi di ricambio sospetti: le quattro bussole e i due spinotti anteriori di collegamento tra lo stabilizzatore di coda e la struttura della fusoliera.
"La mancanza di documentazione – scrive l’Aaib nel report finale – rese impossibile determinare la portata delle azioni manutentive effettuate sulle unità prima dell’incidente. In questo caso c’è stato un evidente collegamento fra fattori che non avrebbero causato l’incidente singolarmente ma che insieme determinarono la catastrofe attraverso interazioni che ebbero come conseguenza un’amplificazione dei singoli effetti."

Il caso del Convair è forse una delle poche stragi aeree in cui è stata possibile una ricostruzione così accurata. "Nel maggio 2003 l’allarme per i pezzi non approvati o contraffatti a bordo di aerei è arrivata dalla Bfu, l’ufficio federale tedesco preposto alle investigazioni sugli incidenti aerei" prosegue Arturo Radini.
"È l’8 febbraio 2001. Da una pista dell’aeroporto di Norimberga, quel giorno di pieno inverno, decolla un Learjet 35A I-MOCO di un operatore italiano. Il suo volo dura pochissimo. Dopo solamente tre minuti che si era staccato dal suolo, in cabina di pilotaggio si accende una spia d’allarme: il turbo motore di sinistra è fermo. Ha improvvisamente smesso di funzionare. I piloti, due uomini di origini italiane e un ingegnere argentino, decidono di rientrare perché è impossibile proseguire il volo in sicurezza – continua Radini – e proprio durante le fasi di atterraggio, nella manovra di emergenza, l’aereo si schianta al suolo incendiandosi. Dei tre passeggeri non rimangono che i corpi bruciati incastrati tra le lamiere."
Anche in questo incidente gli investigatori tedeschi individuano come causa del disastro una bogus part, un ricambio sospetto e inefficiente. Sul Learjet 35A era stato installato un disco turbina di alta pressione con un numero di cicli di servi- zio, o meglio di utilizzo, quasi doppio rispetto a quello consentito dal costruttore.

Non ci furono morti invece nell’incidente avvenuto in fase di avviamento dei motori all’aeroporto di Firenze su un Fokker 70 diretto a Parigi. Nella fase di decollo si verificò il distacco improvviso e violento del tubo adduttore dell’aria compressa per l’avviamento dei motori.
I passeggeri furono trasferiti su un altro aereo, ma il Fokker 70 rimase per molti giorni a terra. Il ricambio taroccato era stato fornito da un broker "squalo" che aveva reperito i materiali da più fonti, nessuna delle quali tracciabile.
Su quell’aereo diretto in Francia fu installato un pezzo ricostruito in un magazzino, senza le attrezzature e l’esperienza necessaria. Ma di magazzini e ditte non autorizzate che modificano, installano e vendono ricambi sospetti per aerei di linea come anche di elicotteri e aerei executive che si occupano quotidianamente di trasporti di personaggi del mondo dello spettacolo e della politica, ce ne sono molte in Italia.

L’ufficio dell’Enac ne ha trovati tre in due anni. Nel 2007, durante una delle ispezioni effettuate all’interno di una ditta del settore avionico, l’attenzione di un ispettore viene catturata da una porta chiusa che si intravede dietro alcuni scatoloni. Alla domanda dell’ispettore Enac su che cosa ci sia dietro, il proprietario della ditta cerca di non rispondere. Elude la domanda invitando il controllore a uscire e parlando di alcuni progetti futuri che avrebbero coinvolto a breve la sua azienda. Il suo diversivo dura pochi minuti. L’ispettore lo incalza: "Mi faccia vedere che cosa custodisce in quella stanza". Il titolare della ditta, con sede nella provincia di Roma, è costretto ad aprire. Dentro, accatastati tra polvere e vecchi scatoloni ci sono ceppi freno, pneumatici, pezzi meccanici e strumentazioni delicatissime destinate ad aerei di linea. Tutti pezzi sprovvisti di documentazione.
L’ispettore fa rapporto all’Enac. L’Enac fa un esposto alla magistratura. Ma alla denuncia non c’è un seguito. Stessa cosa era avvenuta, un anno prima, nei confronti di un titolare abruzzese sorpreso a smantellare e ricostruire elicotteri con ricambi ormai usurati, quindi inefficienti. Nel Nord Italia, invece, la magistratura interviene a seguito di una segnalazione degli ispettori dell’Enac, che sorprendono un’importante società di trasporto mentre utilizza pezzi sospetti. Non solo. Quest’ultima, oggetto di indagini della magistratura per molteplici attività condotte illegalmente, viola i sigilli apposti dall’autorità giudiziaria su uno dei velivoli della flotta aziendale per svuotarlo di alcuni pezzi, tra cui sedili, per installarli all’interno di altri aerei.
Ovviamente senza autorizzazione e in violazione delle più elementari regole di sicurezza aerea. Il fatto risale a pochissimi anni fa e vede tutt’oggi impegnati nelle indagini sul titolare della società magistratura e ispettore dell’Enac. L’operatore aereo faceva servizio taxi per molte celebrità italiane e straniere, uomini e donne dello spettacolo e dell’alta finanza.
© Chiarelettere editore srl

Tratto da Nadia Francalacci, Paura di volare, Chiarelettere, pp.248, euro 15

Nadia Francalacci vive in provincia di Livorno. Ha iniziato nel 1993 a scrivere articoli di cronaca per il quotidiano «Il Tirreno» e a collaborare con il Sic, Servizi informativi centrali della Radio vaticana, emittente della Città del Vaticano. Per quindici anni ha lavorato in una televisione toscana, Telegranducato. Poi, nel 2007, ha deciso di dedicarsi alle inchieste: dal mistero del Moby Prince al traffico illecito dei rifiuti che arrivano in Italia dall’Africa e dal Nord Europa, dalle truffe alimentari allo scandalo delle cremazioni. Si è occupata anche di malasanità e criminalità organizzata. Collabora con i maggiori settimanali nazionali: “Panorama”,“Panorama Economy”,“il Venerdì di Repubblica”, e il quotidiano “Libero”. Ha scritto anche per “l’Espresso” e Panorama.it. Per queste testate realizza inchieste e articoli di cronaca ed economia.

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