Brescia, torna a scuola la 19enne pakistana “troppo bella”

Cronaca
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Jamila era stata tenuta a casa dalla sua famiglia perché troppo avvenente. Il console: “Un episodio che non ha nulla a che fare con Hina Saleem”. Il preside dell’istituto: “Molti casi simili, dall’inizio dell’anno risultano dispersi 500 studenti”

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Jamila torna a scuola - LE FOTO

E' tornata in classe Jamila, la ragazza pakistana di 19 anni che per alcuni giorni era stata tenuta a casa dai familiari perché 'troppo bella'. La giovane è stata accompagnata a scuola, un istituto professionale di Brescia, dove frequenta il primo anno, dal console pakistano di Milano, dai rappresentanti di un'associazione pakistana e da Silvia Spera della Cgil di Brescia. Era completamente vestita di bianco e si è coperta il volto alla vista dei fotografi. "Su questa vicenda c'è stata troppa enfasi - ha affermato il console - si tratta di un caso che non ha nulla a che fare con quello di Hina Saleem ”. E ha aggiunto: “Questa è una famiglia normale e hanno seguito il Corano che dà alle donne tutti i diritti, tra cui quello di sposarsi e scegliere il proprio partner”.

Il preside della scuola del bresciano frequentata dalla 19enne, Nicola Scanga, afferma però che la storia della ragazza pakistana convinta a lasciare gli studi per tornare in Pakistan e sposare un uomo scelto dalla famiglia d'origine, "non è un caso isolato". "E' una scuola piena di immigrati, sono circa il 30%" dice ai microfoni di SkyTG24. E in un'intervista al Corriere della Sera confessa : "Ho aiutato una ragazza ad abortire - racconta il preside - I suoi non dovevano sapere". E, ancora, "un ragazzino cinese è sparito. Le gang etniche si combattono. E l'integrazione, a scuola, è difficile. Dall'inizio dell'anno risultano dispersi 500 studenti". L'istituto professionale di Brescia è frequentato per il 30% da stranieri, soprattutto pachistani, indiani, cinesi, maghrebini, marocchini. "Non voglio minimizzare la storia di Jamila, ma non è neppure la più drammatica di quelle che viviamo ogni giorno", aggiunge. "A ottobre Danuwa (nome di fantasia, ndr), una minorenne di colore, ci ha confidato che era incinta. Voleva abortire senza dirlo ai genitori. Abbiamo chiamato il giudice e lui ha dato il consenso. All'ospedale l'ha accompagnata una mia assistente".

Il caso di Jamila è venuto alla luce grazie a una lettera-appello da parte di un insegnante dell'istituto professionale di Brescia frequentato dalla ragazza, che preoccupato aveva scritto a un giornale locale.

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