In un saggio Guanda (“Togliamo il disturbo”), Paola Mastrocola traccia un’impietosa analisi del sistema scolastico italiano, tra complicità e diffidenze diffuse. Provando a suggerire qualche soluzione. Leggine un estratto
di Paola Mastrocola
A volte penso a come tornano a casa i miei allievi che hanno preso 4. Quando lo diranno, e a chi. A madri indaffarate in carriera o dimesse e sconsolate, donne separate e sole che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, o signore con SUV, prestigioso marito, baby-sitter e palestra. Chissà.
Lo diranno durante la cena parlando del più e del meno, o a colazione sorbendo un Nespresso, o guardando la tivù tra uno spot e l’altro. Oppure non lo diranno, confidando in madri che non guardano il diario e non vanno al colloquio con gli insegnanti.
Ultimamente ho conosciuto una ragazza rumena che si chiama Madalina. Ha ventitrè anni, è in Italia da un anno insieme a suo marito e al loro bambino di quattro anni.
Parla già piuttosto bene. E' venuta qui per lavorare. Ha un diploma di liceo e vorrebbe fare la maestra d’asilo perché adora i bambini.
Non so come, parliamo di scuola. Mi dice che da noi è tutto facile e si studia poco. In Romania invece la scuola è dura e si fatica molto. Non so se sia vero, forse no. Ma il punto è che mi racconta: Io mi vergognavo a non sapere, io andavo a scuola e l’insegnante m’interrogava e se io non sapevo, io provavo vergogna.
Ripete più volte questa parola: vergogna. E io penso che da noi non c’è più questa parola, è sparita dalla nostra vita. Una volta ci vergognavamo di aver preso 4. Adesso no. Nessuno si vergogna di farsi trovare impreparato, di dire che non ha studiato, di fare scena muta a un’interrogazione o di balbettare quattro frasi in croce sconclusionate. Ieri ho interrogato un ragazzo di seconda.
E`venuto alla cattedra con la sedia e il libro, gli ho chiesto di parlarmi un po’ di Pascoli, ha aperto alla pagina Pascoli vita e opere e ha cominciato questa difficoltosa attività, in cui ultimamente gli studenti del nuovo millennio eccellono, di parlar-leggendo-sullibro. Con nonchalance. Come se l’insegnante non fosse a un palmo da loro, gli occhi sul libro anche lui. Come nulla fosse.
Un ginocchio appoggiato al bordo della cattedra, parlanosbirciano, fluttuano parole dal libro all’occhio ame, e poi dame al libro, al loro occhio abile a scivolare sulle onde. Sembrano far sci d’acqua, tanto vanno leggeri. Distesi. Bien a`l’aise. Quand’è così, li lascio fare. Mi piace guardarli.
Sto buona e zitta, e li guardo. Anche cinque minuti, o dieci. Alla fine, hanno letto davanti a me anche due pagine di libro, il ginocchio appoggiato alla cattedra. Ci vuol sapienza, abilità. Forse sono queste le cosiddette «nuove abilità». E' lì che mi viene la parola vergogna. I nostri studenti non si vergognano.
Non li sfiora mai la vergogna, per quel che stanno facendo, per come si comportano, così, davanti a tutti i loro compagni, davanti a me, che sarei, in fondo, la loro insegnante. A loro non importa che qualcuno li giudichi.
Non importa del giudizio altrui, è come se sapessero che è inessenziale, non incide, non sposta un bel nulla. Forse pensano che il giudizio altrui, in fondo, sono solo parole.
E' vero, sono solo parole. Piovono addosso come la spuma del mare, un colpo di vento e tutti sono di nuovo asciutti. E possono solcare sereni le acque del mondo che appartiene loro.
Sanno che mai andranno a fondo. Telegiornale di inizio gennaio: intervistano per strada dei ragazzi; le vacanze di Natale stanno per finire, il giornalista chiede se hanno fatto i compiti. Tutti rispondono di no: non ancora, li farò stasera, domani, dirò che non ce l’ho fatta. Sorridono, felici.
A loro agio, serenamente inadempienti. Si vede che non hanno il minimo cruccio. Anche qui, non un’ombra di vergogna. I compiti si possono impunemente non fare, ma soprattutto lo si può tranquillamente dire, e anche alla tivù di fronte a milioni di telespettatori. Ma la cosa pazzesca è che accanto a loro, intervistatori, genitori e passanti sorridono, indulgenti e divertiti: anche a noi adulti va bene così, che i ragazzi evitino i compiti delle vacanze, ci piace molto questa loro aria furbesca e sfrontata, forse è per noi l’immagine stessa della giovinezza, e la contempliamo con tenerezza. E così diventiamo complici. Perché mai dovrebbero fare i compiti questi ragazzi, se persino noi adulti pensiamo che facciano benissimo a non farli?
Ancora una cosa, sullo studio. L’altro giorno, nella mia ora ricevimento parenti, ricevo la mamma di un mio allievo che non studia.
Ha 4 in italiano. L’anno scorso è andata così: fino a marzo non ha fatto niente, poi in casa hanno cominciato a vietargli la tivù, il computer e il motorino; la madre s’è messa ogni giorno seduta a studiare insieme a lui, e alla fine è arrivato al 6. Promosso.
Quest’anno fa lo stesso: ora è inverno e lui non apre libro. In primavera si darà una mossa e, sospinto quotidianamente dal forcone materno, prenderà qualche 6 che, facendo media con i precedenti 2, farà 4 e finirà per salvarlo: sospensione a giugno, promozione a settembre.
Non studia, dice la madre, non ha voglia. Lo so, rispondo, mi è evidente. Ma perché? Lo chiede la madre a me, lo chiedo io alla madre. Nessuna delle due sa rispondere all’altra. Eppure è questo il problema della scuola oggi.
Inutile pensare a riforme strabilianti, investimenti generosi che ricoprano di denaro le scuole. Il denaro non è il punto, purtroppo. Inutile anche pensare a rivoluzioni copernicane dei saperi e dei metodi d’insegnamento, a miracolosi corsi di formazione per insegnanti, a futuri maestri Superman, eroi di Supermotivazione, novelli Orfei capaci di motivare allo studio anche le pietre e le bestie feroci e le foglie degli alberi che si muovono al vento. Il vero problema è che i nostri giovani, almeno quelli che vanno al liceo, non hanno nessuna voglia di studiare.
© 2011 Ugo Guanda Editore S.p.A.
Tratto da Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda, pp.270, euro 18
Paola Mastrocola è nata nel 1956 a Torino, dove tuttora risiede. Insegna lettere in un liceo scientifico. Fino al 1999 ha pubblicato poesie e saggi sulla letteratura del Trecento e Cinquecento. Dal 2000, presso Guanda ha pubblicato cinque romanzi (La gallina volante, Palline di pane, Una barca nel bosco, Più lontana della luna e La narice del coniglio), il pamphlet narrativo La scuola raccontata al mio cane, il romanzo-favola Che animale sei?.
A volte penso a come tornano a casa i miei allievi che hanno preso 4. Quando lo diranno, e a chi. A madri indaffarate in carriera o dimesse e sconsolate, donne separate e sole che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese, o signore con SUV, prestigioso marito, baby-sitter e palestra. Chissà.
Lo diranno durante la cena parlando del più e del meno, o a colazione sorbendo un Nespresso, o guardando la tivù tra uno spot e l’altro. Oppure non lo diranno, confidando in madri che non guardano il diario e non vanno al colloquio con gli insegnanti.
Ultimamente ho conosciuto una ragazza rumena che si chiama Madalina. Ha ventitrè anni, è in Italia da un anno insieme a suo marito e al loro bambino di quattro anni.
Parla già piuttosto bene. E' venuta qui per lavorare. Ha un diploma di liceo e vorrebbe fare la maestra d’asilo perché adora i bambini.
Non so come, parliamo di scuola. Mi dice che da noi è tutto facile e si studia poco. In Romania invece la scuola è dura e si fatica molto. Non so se sia vero, forse no. Ma il punto è che mi racconta: Io mi vergognavo a non sapere, io andavo a scuola e l’insegnante m’interrogava e se io non sapevo, io provavo vergogna.
Ripete più volte questa parola: vergogna. E io penso che da noi non c’è più questa parola, è sparita dalla nostra vita. Una volta ci vergognavamo di aver preso 4. Adesso no. Nessuno si vergogna di farsi trovare impreparato, di dire che non ha studiato, di fare scena muta a un’interrogazione o di balbettare quattro frasi in croce sconclusionate. Ieri ho interrogato un ragazzo di seconda.
E`venuto alla cattedra con la sedia e il libro, gli ho chiesto di parlarmi un po’ di Pascoli, ha aperto alla pagina Pascoli vita e opere e ha cominciato questa difficoltosa attività, in cui ultimamente gli studenti del nuovo millennio eccellono, di parlar-leggendo-sullibro. Con nonchalance. Come se l’insegnante non fosse a un palmo da loro, gli occhi sul libro anche lui. Come nulla fosse.
Un ginocchio appoggiato al bordo della cattedra, parlanosbirciano, fluttuano parole dal libro all’occhio ame, e poi dame al libro, al loro occhio abile a scivolare sulle onde. Sembrano far sci d’acqua, tanto vanno leggeri. Distesi. Bien a`l’aise. Quand’è così, li lascio fare. Mi piace guardarli.
Sto buona e zitta, e li guardo. Anche cinque minuti, o dieci. Alla fine, hanno letto davanti a me anche due pagine di libro, il ginocchio appoggiato alla cattedra. Ci vuol sapienza, abilità. Forse sono queste le cosiddette «nuove abilità». E' lì che mi viene la parola vergogna. I nostri studenti non si vergognano.
Non li sfiora mai la vergogna, per quel che stanno facendo, per come si comportano, così, davanti a tutti i loro compagni, davanti a me, che sarei, in fondo, la loro insegnante. A loro non importa che qualcuno li giudichi.
Non importa del giudizio altrui, è come se sapessero che è inessenziale, non incide, non sposta un bel nulla. Forse pensano che il giudizio altrui, in fondo, sono solo parole.
E' vero, sono solo parole. Piovono addosso come la spuma del mare, un colpo di vento e tutti sono di nuovo asciutti. E possono solcare sereni le acque del mondo che appartiene loro.
Sanno che mai andranno a fondo. Telegiornale di inizio gennaio: intervistano per strada dei ragazzi; le vacanze di Natale stanno per finire, il giornalista chiede se hanno fatto i compiti. Tutti rispondono di no: non ancora, li farò stasera, domani, dirò che non ce l’ho fatta. Sorridono, felici.
A loro agio, serenamente inadempienti. Si vede che non hanno il minimo cruccio. Anche qui, non un’ombra di vergogna. I compiti si possono impunemente non fare, ma soprattutto lo si può tranquillamente dire, e anche alla tivù di fronte a milioni di telespettatori. Ma la cosa pazzesca è che accanto a loro, intervistatori, genitori e passanti sorridono, indulgenti e divertiti: anche a noi adulti va bene così, che i ragazzi evitino i compiti delle vacanze, ci piace molto questa loro aria furbesca e sfrontata, forse è per noi l’immagine stessa della giovinezza, e la contempliamo con tenerezza. E così diventiamo complici. Perché mai dovrebbero fare i compiti questi ragazzi, se persino noi adulti pensiamo che facciano benissimo a non farli?
Ancora una cosa, sullo studio. L’altro giorno, nella mia ora ricevimento parenti, ricevo la mamma di un mio allievo che non studia.
Ha 4 in italiano. L’anno scorso è andata così: fino a marzo non ha fatto niente, poi in casa hanno cominciato a vietargli la tivù, il computer e il motorino; la madre s’è messa ogni giorno seduta a studiare insieme a lui, e alla fine è arrivato al 6. Promosso.
Quest’anno fa lo stesso: ora è inverno e lui non apre libro. In primavera si darà una mossa e, sospinto quotidianamente dal forcone materno, prenderà qualche 6 che, facendo media con i precedenti 2, farà 4 e finirà per salvarlo: sospensione a giugno, promozione a settembre.
Non studia, dice la madre, non ha voglia. Lo so, rispondo, mi è evidente. Ma perché? Lo chiede la madre a me, lo chiedo io alla madre. Nessuna delle due sa rispondere all’altra. Eppure è questo il problema della scuola oggi.
Inutile pensare a riforme strabilianti, investimenti generosi che ricoprano di denaro le scuole. Il denaro non è il punto, purtroppo. Inutile anche pensare a rivoluzioni copernicane dei saperi e dei metodi d’insegnamento, a miracolosi corsi di formazione per insegnanti, a futuri maestri Superman, eroi di Supermotivazione, novelli Orfei capaci di motivare allo studio anche le pietre e le bestie feroci e le foglie degli alberi che si muovono al vento. Il vero problema è che i nostri giovani, almeno quelli che vanno al liceo, non hanno nessuna voglia di studiare.
© 2011 Ugo Guanda Editore S.p.A.
Tratto da Paola Mastrocola, Togliamo il disturbo. Saggio sulla libertà di non studiare, Guanda, pp.270, euro 18
Paola Mastrocola è nata nel 1956 a Torino, dove tuttora risiede. Insegna lettere in un liceo scientifico. Fino al 1999 ha pubblicato poesie e saggi sulla letteratura del Trecento e Cinquecento. Dal 2000, presso Guanda ha pubblicato cinque romanzi (La gallina volante, Palline di pane, Una barca nel bosco, Più lontana della luna e La narice del coniglio), il pamphlet narrativo La scuola raccontata al mio cane, il romanzo-favola Che animale sei?.