Iovine & Co: tutti i boss presi per la gola
CronacaDalla ricotta di Provenzano alla pasta al forno di Pietro Aglieri fino alle aragoste degustate all'Ucciardone: non è la prima volta che un esponente della criminalità organizzata viene catturato anche grazie alla passione per il cibo
Iovine dopo l'arresto: le foto
Gli studenti brindano all'arresto: le foto
Ricotta, farina e pasta al forno. E ancora pezzogna, cicoria e aragoste.
Il panettone che avrebbe tradito Antonio Iovine, il boss dei Casalesi arrestato il 17 novembre anche grazie alla richiesta (sin troppo strana) “captata” dagli uomini del vicequestore Vittorio Pisani, non è l’unica ghiottoneria costata la libertà (e la fine della latitanza) ad alcuni pesi massimi della criminalità organizzata.
I mammasantissima hanno fame. E a quanto pare, anche quando non hanno stili di vita fuori dalle righe, rinunciano difficilmente a certi piatti o ingredienti.
Il caso più clamoroso è datato 11 aprile 2006: nei pressi di una masseria, un braccio allunga la mano e ritira una ciotola di ricotta fresca. È il segnale che quella fattoria non è disabitata. Una manciata di ore più tardi, anche grazie a quel avviso, scatterà il blitz che porterà all’arresto del pluriomicida Bernardo Provenzano, boss incontrastato di Cosa Nostra.
Più o meno la stessa cosa era accaduta l'anno prima a Paolo Di Lauro, esponente di primo piano della camorra napoletana. A lui, però, erano state fatali la “pezzogna” (in dialetto napoletano, il pesce occhialone) e il salmone, di cui il boss pare andasse ghiotto.
Dal tipo di spesa della fidanzata di uno dei fiancheggiatori, gli investigatori capirono al volo che il camorrista era rientrato a casa. Per “Ciruzzo ‘o milionario” non ci fu niente da fare: oltre che per lui, le manette scattarono anche per la vivandiera.
Ma la sfilza dei boss presi con le mani nel cibo è assai lunga, come racconta Peppe Ruggiero nel libro L'ultima cena da poco pubblicato da Verdenero.
Nel 1997 toccò a Pietro Aglieri, considerato nel ‘94 dal The Guardian l’italiano più famoso all’estero.
Racconta Ruggiero che seguendo alcuni fedelissimi del boss un poliziotto notò che il cuoco di un ristorante stava preparando una teglia di pasta al forno. A insospettire, però, fu la cura eccessiva con la quale veniva ultimata. Il sospetto diventò una mezza certezza quando quella pasta finì in un bagagliaio di un’auto e al termine di un lungo tragitto arrivò in una stradina sterrata al confine del comune di Bagheria, a pochi chilometri da Palermo. L’occasione di tanta cura era motivata: il giorno dopo si sarebbe svolto un summit di mafia. La polizia arrestò così anche Giuseppe La Mattina e Natale Gambino.
E le buone abitudini in fatto di cucina, fino alla Prima Repubblica, proseguivano anche in carcere, confermando la fulminante battuta secondo cui le ossessioni del mafioso sono tre: "mangiare carne, comandare carne, cavalcare carne".
Così, fino al 1992, prima che entrasse in vigore il 41-bis (il carcere duro per gli esponenti della criminalità organizzata), all'Ucciardone si facevano pranzi da re. "Aragoste in cella direttamente dal ristorante sotto Monte Pellegrino, innaffiate con bottiglie di champagne di alta qualità". Nel carcere di Trapani, racconta sempre Ruggiero, le cose non andavano diversamente: caviale del Baltico, ostriche, mozzarella e gli immancabili babà. "Bastava corrompere la guardia carceraria. Un extra, fuori busta, di 1.500 euro mensili e il pranzo era servito".
Tutti i video e le inteviste sull'arresto di Antonio Iovine:
Gli studenti brindano all'arresto: le foto
Ricotta, farina e pasta al forno. E ancora pezzogna, cicoria e aragoste.
Il panettone che avrebbe tradito Antonio Iovine, il boss dei Casalesi arrestato il 17 novembre anche grazie alla richiesta (sin troppo strana) “captata” dagli uomini del vicequestore Vittorio Pisani, non è l’unica ghiottoneria costata la libertà (e la fine della latitanza) ad alcuni pesi massimi della criminalità organizzata.
I mammasantissima hanno fame. E a quanto pare, anche quando non hanno stili di vita fuori dalle righe, rinunciano difficilmente a certi piatti o ingredienti.
Il caso più clamoroso è datato 11 aprile 2006: nei pressi di una masseria, un braccio allunga la mano e ritira una ciotola di ricotta fresca. È il segnale che quella fattoria non è disabitata. Una manciata di ore più tardi, anche grazie a quel avviso, scatterà il blitz che porterà all’arresto del pluriomicida Bernardo Provenzano, boss incontrastato di Cosa Nostra.
Più o meno la stessa cosa era accaduta l'anno prima a Paolo Di Lauro, esponente di primo piano della camorra napoletana. A lui, però, erano state fatali la “pezzogna” (in dialetto napoletano, il pesce occhialone) e il salmone, di cui il boss pare andasse ghiotto.
Dal tipo di spesa della fidanzata di uno dei fiancheggiatori, gli investigatori capirono al volo che il camorrista era rientrato a casa. Per “Ciruzzo ‘o milionario” non ci fu niente da fare: oltre che per lui, le manette scattarono anche per la vivandiera.
Ma la sfilza dei boss presi con le mani nel cibo è assai lunga, come racconta Peppe Ruggiero nel libro L'ultima cena da poco pubblicato da Verdenero.
Nel 1997 toccò a Pietro Aglieri, considerato nel ‘94 dal The Guardian l’italiano più famoso all’estero.
Racconta Ruggiero che seguendo alcuni fedelissimi del boss un poliziotto notò che il cuoco di un ristorante stava preparando una teglia di pasta al forno. A insospettire, però, fu la cura eccessiva con la quale veniva ultimata. Il sospetto diventò una mezza certezza quando quella pasta finì in un bagagliaio di un’auto e al termine di un lungo tragitto arrivò in una stradina sterrata al confine del comune di Bagheria, a pochi chilometri da Palermo. L’occasione di tanta cura era motivata: il giorno dopo si sarebbe svolto un summit di mafia. La polizia arrestò così anche Giuseppe La Mattina e Natale Gambino.
E le buone abitudini in fatto di cucina, fino alla Prima Repubblica, proseguivano anche in carcere, confermando la fulminante battuta secondo cui le ossessioni del mafioso sono tre: "mangiare carne, comandare carne, cavalcare carne".
Così, fino al 1992, prima che entrasse in vigore il 41-bis (il carcere duro per gli esponenti della criminalità organizzata), all'Ucciardone si facevano pranzi da re. "Aragoste in cella direttamente dal ristorante sotto Monte Pellegrino, innaffiate con bottiglie di champagne di alta qualità". Nel carcere di Trapani, racconta sempre Ruggiero, le cose non andavano diversamente: caviale del Baltico, ostriche, mozzarella e gli immancabili babà. "Bastava corrompere la guardia carceraria. Un extra, fuori busta, di 1.500 euro mensili e il pranzo era servito".
Tutti i video e le inteviste sull'arresto di Antonio Iovine: