La testimonianza a Sky.it di Orazio, sopravvissuto all'alluvione che ha distrutto il messinese, causando la morte di 37 persone tra cui suo zio. A 14 mesi da quella tragica notte, ecco il suo racconto. IL VIDEO
di Filippo Maria Battaglia
“Un fiume di fango, radici e ulivi”. La voce di Orazio è secca, l’espressione concitata.
Quattordici mesi dopo quella tragedia, inizia così il suo racconto della sera dell’1 ottobre 2009, quando la montagna che sovrasta Giampilieri, una piccola frazione a una manciata di chilometri da Messina, si muove travolta dall’acqua, dalla terra e forse da un abusivismo inarrestabile.
Trascina via ogni cosa che incontra: auto, pietre e alberi. E, soprattutto, gli affetti più cari. Orazio, quella notte assiste impotente alla morte dello zio, schiacciato dal peso di un “fango secco e duro”, quasi di marmo.
Non è difficile allora capire perché, a più di un anno da quell’alluvione che s’è portata via 37 persone, nel messinese la paura è ancora molta.
Per scacciarla, non bastano le prove di evacuazione in caso di nuovo allarme e non è neppure sufficiente la tenacia con la quale molti residenti hanno provato a ripartire, riaprendo le saracinesche dei vecchi negozi.
Divise in zone rosse, viola e gialle – e con le denunce degli abitanti che protestano contro sprechi e insicurezze – una parte del centro storico di Giampilieri resta pressappoco quella che era tre mesi dopo la notte dell’1 ottobre.
Una comunità ferita, chiusa da transenne, impalcature e ponteggi dei cantieri, e preoccupata che il fermo immagine di quella tragedia possa di nuovo ripetersi al prossimo, violento acquazzone.
“Un fiume di fango, radici e ulivi”. La voce di Orazio è secca, l’espressione concitata.
Quattordici mesi dopo quella tragedia, inizia così il suo racconto della sera dell’1 ottobre 2009, quando la montagna che sovrasta Giampilieri, una piccola frazione a una manciata di chilometri da Messina, si muove travolta dall’acqua, dalla terra e forse da un abusivismo inarrestabile.
Trascina via ogni cosa che incontra: auto, pietre e alberi. E, soprattutto, gli affetti più cari. Orazio, quella notte assiste impotente alla morte dello zio, schiacciato dal peso di un “fango secco e duro”, quasi di marmo.
Non è difficile allora capire perché, a più di un anno da quell’alluvione che s’è portata via 37 persone, nel messinese la paura è ancora molta.
Per scacciarla, non bastano le prove di evacuazione in caso di nuovo allarme e non è neppure sufficiente la tenacia con la quale molti residenti hanno provato a ripartire, riaprendo le saracinesche dei vecchi negozi.
Divise in zone rosse, viola e gialle – e con le denunce degli abitanti che protestano contro sprechi e insicurezze – una parte del centro storico di Giampilieri resta pressappoco quella che era tre mesi dopo la notte dell’1 ottobre.
Una comunità ferita, chiusa da transenne, impalcature e ponteggi dei cantieri, e preoccupata che il fermo immagine di quella tragedia possa di nuovo ripetersi al prossimo, violento acquazzone.