Messina, un anno dopo restano spente ancora tante insegne
CronacaA più di dodici mesi dal nubifragio a Scaletta Zanclea qualche commerciante prova a riaprire e a tirare avanti. Come la famiglia del macellaio sepolto dal fango: "Non piangiamo miseria, vorremmo solo riavere il corpo"
L'ALBUM FOTOGRAFICO
Messina, il 70% non si sente ancora al sicuro
di Filippo Maria Battaglia
Una ferramenta, un’erboristeria, una macelleria e una pizzeria. A poco più di un anno dall’alluvione che ha travolto Scaletta Zanclea, sono queste le uniche attività aperte nella prima parte di via Roma, il corso principale. Il resto è un insieme di saracinesche abbassate, insegne spente, sbancamenti, ruspe, edifici transennati e sporchi ancora di fango. Poco più avanti, nella scuola media si continua a insegnare: venerdì si è svolta l’esercitazione per l’evacuazione in caso di una nuova allerta.
Fino a settembre del 2009, a una manciata di metri dall’entrata del comune messinese, c’erano una profumeria e una macelleria. Le gestivano Eugenio e sua moglie con l’aiuto dei genitori. Di quei negozi non è rimasto niente. “Dopo l’alluvione hanno buttato giù tutto: gli edifici erano completamente danneggiati”, racconta Eugenio che quella notte ha visto morire il padre, portato via insieme a ponteggi e a detriti da una tromba marina. Il suo corpo non è stato più trovato: è uno dei sei dispersi di cui non si hanno più tracce. A lui è andata meglio: la bomba di cemento, acqua e fango che gli si è scagliata contro, lo ha intrappolato per una notte, costringendolo a 27 giorni in ospedale: fratture ad entrambe le caviglie, trauma cranico, cinquanta punti di sutura in testa e quattro vertebre schiacciate.
“La forza di volontà mi ha fatto andare avanti”: tre mesi dopo è riuscito a riaprire la rivendita di carni poco più avanti. Di profumi, cosmetici e creme idratanti, invece, non c’è più traccia. “C’è stato un crollo di consumi radicale – ci racconta mentre finisce di pulire gli utensili prima dell’apertura pomeridiana - Riusciamo a stento a mandare avanti questo negozio, anche grazie al sussidio mensile di mille euro che fino ad agosto è stato erogato alle attività commerciali danneggiate dall’alluvione. Ma riaprire qui una profumeria è inimmaginabile. Anche perché la nostra clientela era prevalentemente costituita da villeggianti che in gran parte non sono più tornati. Oggi tutti hanno paura di Scaletta”. “In estate – aggiunge la madre – il paese si gonfiava fino a quintuplicarsi: chi tornava dal Nord per trovare i genitori, chi sceglieva questo mare per trascorrere un weekend, chi arrivava per un’escursione domenicale. E poi i turisti, tanti turisti. Molti di noi riuscivano così a tirare avanti anche grazie all’affitto stagionale di alcune camere. Adesso più niente. Io non piango miseria, ma vorrei solo riavere il corpo di mio marito” dice con la voce che si strozza tra le lacrime.
Sullo stesso lato di via Roma, la luce dell’erboristeria è una delle poche accese. “Oggi sono entrate solo due persone” racconta la proprietaria. “Il nostro non è un supermercato né una farmacia: inevitabile che le cose si facciano ancora più complicate”. La Bifora è invece l’unico ristorante-pizzeria della prima parte di Scaletta. Quando entriamo, una ragazza sta finendo di lavare il pavimento: “Durante l’estate, per trovare un tavolo libero si doveva sempre prenotare, anche nei giorni feriali; ora si lavora solo il sabato e la domenica. Nei festivi e prefestivi, sfornavamo almeno duecento pizze. Lunedì scorso, ne abbiamo fatto solo una”. I clienti dell’hinterland sono quasi tutti spariti: “Non li vedo da fine settembre dell’anno scorso. Svaniti nel nulla”. Al loro posto, solo le ruspe e una diffidenza di turisti e avventori che – dicono a Scaletta – “nelle giornate di pioggia si trasforma in un vero e proprio coprifuoco”.
Messina, il 70% non si sente ancora al sicuro
di Filippo Maria Battaglia
Una ferramenta, un’erboristeria, una macelleria e una pizzeria. A poco più di un anno dall’alluvione che ha travolto Scaletta Zanclea, sono queste le uniche attività aperte nella prima parte di via Roma, il corso principale. Il resto è un insieme di saracinesche abbassate, insegne spente, sbancamenti, ruspe, edifici transennati e sporchi ancora di fango. Poco più avanti, nella scuola media si continua a insegnare: venerdì si è svolta l’esercitazione per l’evacuazione in caso di una nuova allerta.
Fino a settembre del 2009, a una manciata di metri dall’entrata del comune messinese, c’erano una profumeria e una macelleria. Le gestivano Eugenio e sua moglie con l’aiuto dei genitori. Di quei negozi non è rimasto niente. “Dopo l’alluvione hanno buttato giù tutto: gli edifici erano completamente danneggiati”, racconta Eugenio che quella notte ha visto morire il padre, portato via insieme a ponteggi e a detriti da una tromba marina. Il suo corpo non è stato più trovato: è uno dei sei dispersi di cui non si hanno più tracce. A lui è andata meglio: la bomba di cemento, acqua e fango che gli si è scagliata contro, lo ha intrappolato per una notte, costringendolo a 27 giorni in ospedale: fratture ad entrambe le caviglie, trauma cranico, cinquanta punti di sutura in testa e quattro vertebre schiacciate.
“La forza di volontà mi ha fatto andare avanti”: tre mesi dopo è riuscito a riaprire la rivendita di carni poco più avanti. Di profumi, cosmetici e creme idratanti, invece, non c’è più traccia. “C’è stato un crollo di consumi radicale – ci racconta mentre finisce di pulire gli utensili prima dell’apertura pomeridiana - Riusciamo a stento a mandare avanti questo negozio, anche grazie al sussidio mensile di mille euro che fino ad agosto è stato erogato alle attività commerciali danneggiate dall’alluvione. Ma riaprire qui una profumeria è inimmaginabile. Anche perché la nostra clientela era prevalentemente costituita da villeggianti che in gran parte non sono più tornati. Oggi tutti hanno paura di Scaletta”. “In estate – aggiunge la madre – il paese si gonfiava fino a quintuplicarsi: chi tornava dal Nord per trovare i genitori, chi sceglieva questo mare per trascorrere un weekend, chi arrivava per un’escursione domenicale. E poi i turisti, tanti turisti. Molti di noi riuscivano così a tirare avanti anche grazie all’affitto stagionale di alcune camere. Adesso più niente. Io non piango miseria, ma vorrei solo riavere il corpo di mio marito” dice con la voce che si strozza tra le lacrime.
Sullo stesso lato di via Roma, la luce dell’erboristeria è una delle poche accese. “Oggi sono entrate solo due persone” racconta la proprietaria. “Il nostro non è un supermercato né una farmacia: inevitabile che le cose si facciano ancora più complicate”. La Bifora è invece l’unico ristorante-pizzeria della prima parte di Scaletta. Quando entriamo, una ragazza sta finendo di lavare il pavimento: “Durante l’estate, per trovare un tavolo libero si doveva sempre prenotare, anche nei giorni feriali; ora si lavora solo il sabato e la domenica. Nei festivi e prefestivi, sfornavamo almeno duecento pizze. Lunedì scorso, ne abbiamo fatto solo una”. I clienti dell’hinterland sono quasi tutti spariti: “Non li vedo da fine settembre dell’anno scorso. Svaniti nel nulla”. Al loro posto, solo le ruspe e una diffidenza di turisti e avventori che – dicono a Scaletta – “nelle giornate di pioggia si trasforma in un vero e proprio coprifuoco”.