Dopo l'annuncio del ministro Maroni, che esclude l'assegnazione di alloggi di edilizia pubblica alle famiglie nomadi sgomberate dai campi, le associazioni di volontariato ribadiscono: il Comune ci ha già dato 25 appartamenti per questo scopo
Di Cristina Bassi
Il ministro Maroni dice che a Milano nessuna casa popolare verrà assegnata ai rom, neppure a quelli che hanno le carte in regola per restare in città. Il responsabile del Viminale è intervenuto con una dichiarazione netta nella polemica che da qualche giorno agita il centridestra a Palazzo Marino, smentendo i termini di un accordo tra le parti sottoscritto dalla stessa amministrazione Moratti. Le associazioni del terzo settore, che gestiscono la sistemazione delle famiglie che vengono sgomberate dai campi, rispondono che negli alloggi Aler vivono già alcuni nuclei provenienti dagli insediamenti dei nomadi e che altri avranno presto una casa. “Continueremo a rispettare gli impegni presi così come da convenzione firmata lo scorso 5 maggio con Prefettura e Comune – fanno sapere Casa della Carità, Centro ambrosiano di solidarietà, e consorzio Farsi prossimo –. La convenzione prevedeva, così come richiesto dal Comune di Milano, l’assegnazione di case popolari Aler escluse dalla disciplina e.r.p. (le graduatorie dell’edilizia residenziale pubblica, ndr) al privato sociale: 15 appartamenti alla fondazione Casa della carità, 5 al Centro ambrosiano di solidarietà, 5 al consorzio Farsi prossimo. I tre enti, così come concordato con Prefettura e Comune attraverso il cosiddetto Piano Maroni, destineranno le case a quelle fasce di popolazione connotate da particolari fragilità. Una categoria nella quale rientrano alcuni nuclei famigliari che abitano nei campi regolari di via Triboniano e via Novara”.
Al di là dei proclami politici quindi, le associazioni vanno dritte per la propria strada. Nei giorni scorsi 11 famiglie rom hanno ottenuto la casa e sull’atto di assegnazione c’erano proprio i timbri di Prefettura e Comune. “Qualora dovesse arrivare una comunicazione ufficiale nella quale verrà espressamente indicato di non assegnare le case alle famiglie rom – sottolinea la nota –, prenderemmo atto del mutato stato di cose e metteremmo in discussione la convenzione. Perché vogliamo operare, sia da un punto di vista culturale che sociale, senza mettere in atto forme di discriminazione”. Il “Modello Milano” sui nomadi, che ha messo d’accordo amministrazione e volontariato e per cui sono stati stanziati fondi pubblici, verrebbe cioè stracciato.
Niente case, niente piano di integrazione dopo gli sgomberi. E il Comune si ritroverebbe da solo a risolvere il problema. Anche perché le ruspe sono arrivate puntuali nei campi: negli ultimi tre anni ci sono stati 341 interventi, con 7 mila persone allontanate. Don Virginio Colmegna e gli altri operatori hanno garantito la sottoscrizione e il rispetto delle regole da parte dei nomadi impegnandosi a promuoverne l’integrazione. “È stato proprio il Comune a disporre l’assegnazione delle prime case popolari – ribadisce il direttore della Casa della carità –, non abbiamo ricevuto indicazioni per un cambio di rotta. Sono però preoccupato per il clima di tensione sociale che si sta alimentando. Abbiamo avallato lo sgombero imminente dell’insediamento di via Triboniano, ma in questo contesto sarà difficile trovare una soluzione, sia pure privata se non di residenza pubblica, per le 102 famiglie con oltre 200 bambini che ci abitano”. In totale a Milano e provincia ci sono 3.562 rom, distribuiti tra una decina di campi regolari e altrettanti insediamenti abusivi.
Il lavoro della Casa della carità intanto va avanti. Anche con un accordo con il Conservatorio “Giuseppe Verdi”, che prevede corsi di musica per bambini e adolescenti provenienti dai campi rom. Gli insegnanti e gli ex allievi del Conservatorio insegneranno gratuitamente violino e fisarmonica ai giovani talenti nomadi, che spesso crescono suonando, ma che non hanno la possibilità di studiare musica. “La realizzazione di un modello di scuola davvero libera” per il direttore del Conservatorio, Bruno Zanolini, “un messaggio politico controcorrente” per il presidente Arnoldo Mosca Mondadori, “un sogno che si realizza” per don Colmegna.
Il ministro Maroni dice che a Milano nessuna casa popolare verrà assegnata ai rom, neppure a quelli che hanno le carte in regola per restare in città. Il responsabile del Viminale è intervenuto con una dichiarazione netta nella polemica che da qualche giorno agita il centridestra a Palazzo Marino, smentendo i termini di un accordo tra le parti sottoscritto dalla stessa amministrazione Moratti. Le associazioni del terzo settore, che gestiscono la sistemazione delle famiglie che vengono sgomberate dai campi, rispondono che negli alloggi Aler vivono già alcuni nuclei provenienti dagli insediamenti dei nomadi e che altri avranno presto una casa. “Continueremo a rispettare gli impegni presi così come da convenzione firmata lo scorso 5 maggio con Prefettura e Comune – fanno sapere Casa della Carità, Centro ambrosiano di solidarietà, e consorzio Farsi prossimo –. La convenzione prevedeva, così come richiesto dal Comune di Milano, l’assegnazione di case popolari Aler escluse dalla disciplina e.r.p. (le graduatorie dell’edilizia residenziale pubblica, ndr) al privato sociale: 15 appartamenti alla fondazione Casa della carità, 5 al Centro ambrosiano di solidarietà, 5 al consorzio Farsi prossimo. I tre enti, così come concordato con Prefettura e Comune attraverso il cosiddetto Piano Maroni, destineranno le case a quelle fasce di popolazione connotate da particolari fragilità. Una categoria nella quale rientrano alcuni nuclei famigliari che abitano nei campi regolari di via Triboniano e via Novara”.
Al di là dei proclami politici quindi, le associazioni vanno dritte per la propria strada. Nei giorni scorsi 11 famiglie rom hanno ottenuto la casa e sull’atto di assegnazione c’erano proprio i timbri di Prefettura e Comune. “Qualora dovesse arrivare una comunicazione ufficiale nella quale verrà espressamente indicato di non assegnare le case alle famiglie rom – sottolinea la nota –, prenderemmo atto del mutato stato di cose e metteremmo in discussione la convenzione. Perché vogliamo operare, sia da un punto di vista culturale che sociale, senza mettere in atto forme di discriminazione”. Il “Modello Milano” sui nomadi, che ha messo d’accordo amministrazione e volontariato e per cui sono stati stanziati fondi pubblici, verrebbe cioè stracciato.
Niente case, niente piano di integrazione dopo gli sgomberi. E il Comune si ritroverebbe da solo a risolvere il problema. Anche perché le ruspe sono arrivate puntuali nei campi: negli ultimi tre anni ci sono stati 341 interventi, con 7 mila persone allontanate. Don Virginio Colmegna e gli altri operatori hanno garantito la sottoscrizione e il rispetto delle regole da parte dei nomadi impegnandosi a promuoverne l’integrazione. “È stato proprio il Comune a disporre l’assegnazione delle prime case popolari – ribadisce il direttore della Casa della carità –, non abbiamo ricevuto indicazioni per un cambio di rotta. Sono però preoccupato per il clima di tensione sociale che si sta alimentando. Abbiamo avallato lo sgombero imminente dell’insediamento di via Triboniano, ma in questo contesto sarà difficile trovare una soluzione, sia pure privata se non di residenza pubblica, per le 102 famiglie con oltre 200 bambini che ci abitano”. In totale a Milano e provincia ci sono 3.562 rom, distribuiti tra una decina di campi regolari e altrettanti insediamenti abusivi.
Il lavoro della Casa della carità intanto va avanti. Anche con un accordo con il Conservatorio “Giuseppe Verdi”, che prevede corsi di musica per bambini e adolescenti provenienti dai campi rom. Gli insegnanti e gli ex allievi del Conservatorio insegneranno gratuitamente violino e fisarmonica ai giovani talenti nomadi, che spesso crescono suonando, ma che non hanno la possibilità di studiare musica. “La realizzazione di un modello di scuola davvero libera” per il direttore del Conservatorio, Bruno Zanolini, “un messaggio politico controcorrente” per il presidente Arnoldo Mosca Mondadori, “un sogno che si realizza” per don Colmegna.