L'ex boss mafioso esecutore della strage di Capaci (adesso pentito) è indagato per riciclaggio, intestazione fittizia di beni ed estorsione. Continuerebbe a gestire dal carcere un patrimonio accumulato illecitamente. Pisanu (antimafia): deve chiarire
I carabinieri del gruppo Monreale, in provincia di Palermo, hanno trovato una grossa somma di denaro - circa 200 mila euro in contanti - a casa della moglie di Giovanni Brusca, esecutore e organizzatore della strage di Capaci - ora pentito - indagato per riciclaggio, tentata estorsione aggravata e intestazione fittizia di beni.
La casa della donna, che vive col figlio in una località segreta ed è sottoposta al programma di protezione, è stata perquisita dai militari che sospettano che l'ex capomafia abbia accumulato un vero e proprio tesoro, sottraendolo agli inquirenti con intestazioni fittizie a prestanomi. Perquisite anche la cella di Brusca e le abitazioni dei cognati e di conoscenti, in tutto una decina di persone, dove sarebbe stati trovati documenti che gli investigatori giudicano "importanti".
Brusca sarà interrogato nel pomeriggio dai pm della direzione distrettuale antimafia di Palermo. Oltre all'intestazione dei beni a prestanomi, che risalirebbe a prima dell'arresto, e al reato di riciclaggio, gli inquirenti gli contestano un tentativo di estorsione. In una lettera scritta dal carcere di Rebibbia in cui è detenuto, il pentito avrebbe chiesto un "favore" a un conoscente minacciandolo di rappresaglie, se non avesse obbedito: "ti rompo la testa" avrebbe scritto.
Sarà la commissione pentiti del Viminale, valutati gli esiti dell'inchiesta, a decidere, ora, le sorti dell'ex capomafia di San Giuseppe Jato. Qualora venissero confermati i sospetti degli investigatori e fossero provati i reati contestati e le violazioni al programma di protezione Brusca potrebbe anche esserne estromesso.
I sospetti sul tesoro dell'ex boss sarebbero emersi dalle indagini nei confronti di Domenico Raccuglia, considerato il numero 2 di Cosa Nostra. Raccuglia era stato arrestato dalla polizia il 15 novembre del 2009 a Calatafimi (Trapani) dopo 13 anni di latitanza .
Sul caso è intervenuto anche Beppe Pisanu, presidente della Commissione antimafia: "E' evidente che Brusca deve dare chiarimenti molto convincenti, perché a questo punto rischia seriamente di essere espulso dal programma di protezione".
Non è la prima volta che un collaboratore di giustizia finisce nuovamente sotto indagine dopo essere stato sottoposto a programma di protezione. In passato era accaduto anche al boss Totuccio Contorno, uno dei primi a pentirsi subito dopo Tommaso Buscetta, arrestato nell'estate del 1988 per il suo "ritorno in armi" a Palermo con l'obiettivo di vendicarsi nei confronti dei clan rivali che gli avevano sterminato la famiglia. Anche Balduccio Di Maggio, un altro pentito "storico" che aveva parlato del presunto "bacio" tra Totò Riina e Andreotti, fu sorpreso dopo essere rientrato a San Giuseppe Jato proprio per regolare i conti con il clan di Giovanni Brusca.
Ascolta le parole di Beppe Pisanu, presidente della Commissione Antimafia