Nonostante il telegramma della Fiat che li invitava a restare a casa, i tre licenziati dall'azienda e reintegrati dal giudice del lavoro si presenteranno ai cancelli dello stabilimento: "Non siamo parassiti"
Si presenteranno lunedì ai cancelli del San Nicola di Melfi alle 13.30. In tempo per cominciare il turno pomeridiano delle 14.00.
Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, licenziati nel luglio scorso dalla Fiat e reintegrati dal giudice del lavoro circa due settimane fa non ci pensano neppure a restare a casa: "Noi non siamo parassiti, noi vogliamo il nostro posto di lavoro", fanno sapere.
Nonostante il telegramma inviato sabato dal Lingotto in cui si dice che "non intende avvalersi delle loro prestazioni", pur garantendo la retribuzione, almeno sino al 6 ottobre quando sarà discusso il ricorso presentato da Torino al Tribunale di Melfi.
Un nuovo braccio di ferro, dunque, tra azienda e lavoratori che non manca di creare tensioni.
E lunedì, ai cancelli della fabbrica ad attendere l'arrivo dei tre lavoratori, licenziati a metà luglio e poi reintegrati dal giudice del lavoro circa due settimane fa, ci sarà anche un presidio organizzato dalla Fiom, a cui i tre sono iscritti.
Pronto, in caso di blocco, l'intervento delle forze dell'ordine ed, eventualmente, l'azione penale, secondo la linea studiata dai legali della Fiom. "Il telegramma inviato dalla Fiat è un atto autoritario affrettato, sbagliato e in evidente contrasto con le leggi del nostro Paese", attacca il segretario generale delle tute blu della Cgil, Maurizio Landini.
Al telegramma, la Fiom ha replicato con una lettera di diffida inviata all'azienda in cui si richiama la condotta antisindacale e la responsabilità penale in caso di inosservanza di un provvedimento legale. Ma "ci auguriamo un atto di saggezza e di responsabilità da parte della Fiat che consenta ai tre lavoratori di rientrare in fabbrica", aggiunge Landini.
Di certo, "domani ci presenteremo al nostro posto di lavoro", assicura Barozzino parlando anche a nome degli altri due lavoratori, Lamorte e Pignatelli. "Lo ha ordinato il giudice con un decreto. Se per l'azienda il decreto e' carta straccia, se ne assume le responsabilita"', aggiunge l'operaio. Ma a respingere la scelta del Lingotto non è solo la Fiom, anche le altre organizzazioni sindacali - Fim, Uilm e Ugl - si schierano contro la mossa del Lingotto.
Il decreto "va rispettato", dicono all'unisono. Anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, si rivolge alla Fiat: "Si attenga al verdetto dei giudici; diversamente rischia di essere l'altra faccia della Fiom, di rincorrere le sue provocazioni", a scapito del progetto Fabbrica Italia. "L'azienda sbaglia a non garantirne il rientro", sostiene il numero uno della Fim, Giuseppe Farina. E rende il clima delle relazioni industriali sempre più "pesante", avverte il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, dicendo no ad "atti di imperio".
Giovanni Barozzino, Antonio Lamorte e Marco Pignatelli, licenziati nel luglio scorso dalla Fiat e reintegrati dal giudice del lavoro circa due settimane fa non ci pensano neppure a restare a casa: "Noi non siamo parassiti, noi vogliamo il nostro posto di lavoro", fanno sapere.
Nonostante il telegramma inviato sabato dal Lingotto in cui si dice che "non intende avvalersi delle loro prestazioni", pur garantendo la retribuzione, almeno sino al 6 ottobre quando sarà discusso il ricorso presentato da Torino al Tribunale di Melfi.
Un nuovo braccio di ferro, dunque, tra azienda e lavoratori che non manca di creare tensioni.
E lunedì, ai cancelli della fabbrica ad attendere l'arrivo dei tre lavoratori, licenziati a metà luglio e poi reintegrati dal giudice del lavoro circa due settimane fa, ci sarà anche un presidio organizzato dalla Fiom, a cui i tre sono iscritti.
Pronto, in caso di blocco, l'intervento delle forze dell'ordine ed, eventualmente, l'azione penale, secondo la linea studiata dai legali della Fiom. "Il telegramma inviato dalla Fiat è un atto autoritario affrettato, sbagliato e in evidente contrasto con le leggi del nostro Paese", attacca il segretario generale delle tute blu della Cgil, Maurizio Landini.
Al telegramma, la Fiom ha replicato con una lettera di diffida inviata all'azienda in cui si richiama la condotta antisindacale e la responsabilità penale in caso di inosservanza di un provvedimento legale. Ma "ci auguriamo un atto di saggezza e di responsabilità da parte della Fiat che consenta ai tre lavoratori di rientrare in fabbrica", aggiunge Landini.
Di certo, "domani ci presenteremo al nostro posto di lavoro", assicura Barozzino parlando anche a nome degli altri due lavoratori, Lamorte e Pignatelli. "Lo ha ordinato il giudice con un decreto. Se per l'azienda il decreto e' carta straccia, se ne assume le responsabilita"', aggiunge l'operaio. Ma a respingere la scelta del Lingotto non è solo la Fiom, anche le altre organizzazioni sindacali - Fim, Uilm e Ugl - si schierano contro la mossa del Lingotto.
Il decreto "va rispettato", dicono all'unisono. Anche il leader della Cisl, Raffaele Bonanni, si rivolge alla Fiat: "Si attenga al verdetto dei giudici; diversamente rischia di essere l'altra faccia della Fiom, di rincorrere le sue provocazioni", a scapito del progetto Fabbrica Italia. "L'azienda sbaglia a non garantirne il rientro", sostiene il numero uno della Fim, Giuseppe Farina. E rende il clima delle relazioni industriali sempre più "pesante", avverte il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, dicendo no ad "atti di imperio".