“Calvi non si è suicidato, ma è stato assassinato”

Cronaca
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Il banchiere trovato impiccato a Londra nel 1982 non si sarebbe tolto la vita ma sarebbe stato ucciso. E’ questa la conclusione a cui sono arrivati i giudici della Corte d’Assise d’appello di Roma: Non sappiamo chi è stato, ma in troppi lo volevano morto

Il banchiere Roberto Calvi il 17 giugno 1982 a Londra non si suicidò, ma fu ucciso. Troppi i moventi alternativi ipotizzabili, troppi i soggetti e le organizzazioni che avrebbero avuto interesse alla sua “eliminazione”.

Sono le due “certezze” dei giudici d'appello nelle motivazioni della sentenza con la quale il 7 maggio scorso confermarono le assoluzioni dell'imprenditore sardo Flavio Carboni, ora in carcere nell'ambito dell'inchiesta sulla presunta P3, di Pippo Calò e Ernesto Diotallevi.

Dalla riapertura dell'istruttoria processuale, per la Corte d'assise d'appello di Roma è arrivata la conferma che "Cosa Nostra impiegava il Banco Ambrosiano e lo Ior come tramite per massicce operazioni di riciclaggio"; questo, però, "conferma la possibilità di individuare un valido movente dell'omicidio" ma "allarga la platea delle persone alle quali è possibile riferire tale movente". Perché per i giudici a volere morto Calvi erano in troppi: la mafia, la camorra, lo Ior, la P2, alcuni politici italiani i servizi segreti italiani e inglesi.

Una lunga parte delle 120 pagine di cui si compone la motivazione della sentenza è dedicata alle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia. Con un “però”: "nessuno ha assistito ai fatti" scrivono i giudici e i collaboratori "hanno portato delle informazioni che hanno riferito di aver appreso".

Poi, i riferimenti specifici alla posizione dei tre imputati assolti. Uno di questi è Flavio Carboni. Nei confronti di Carboni, secondo i giudici, non c'è dubbio gravino indizi consistenti: "E' la persona che, nell'ultimo periodo di vita di Calvi, ha conseguito un rapporto privilegiato con la vittima" ed era presente "la stessa sera del 17 giugno 1982 nel medesimo albergo londinese". Nonostante ciò”, però, "la pluralità di moventi alternativi non pare concentrarne uno più specifico su Carboni" che aveva "interessi in sintonia col mantenimento in vita del banchiere". Fu lo stesso Carboni nel 2005 ad affermare che aveva "maggior interesse a che Calvi rimanesse in vita" e lo fece proprio durante il processo che lo vedeva imputato dell'omicidio. Fu Carboni a dire: "Calvi aveva tutti i motivi di suicidarsi. Comunque suicida o assassinato, rimango indifferente".

Non è sufficiente ora come non fu sufficiente allora né certo, collegare Carboni alla ricettazione della borsa e dei documenti di Calvi per “blindare” la responsabilità del faccendiere nella morte del banchiere dello Ior.

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