Neomamme in difficoltà? Forse presto non sarete più sole

Cronaca

Depressione post-partum: la Società italiana di ginecologia e ostetricia chiede al Ministro della Salute Ferruccio Fazio l'assistenza medica a domicilio 24 ore su 24

di Laura Barsottini

La chiamano sindrome di Medea e indica l’infanticidio, gesto estremo e incomprensibile a cui la cronaca ci richiama troppo spesso. Di frequente, la causa è legata alla depressione post partum, i cui dati lasciano esterefatti: secondo la letteratura scientifica colpisce circa il 10% delle donne, da 50.000 a 75.000 neomamme all'anno nel nostro Paese, con un costo sociale valutato in circa 500 milioni di euro in 12 mesi. “La depressione post partum ha almeno tre forme” spiega il dottor Antonio Picano, presidente dell’Associazione StraDe per il trattamento della depressione e responsabile del progetto Rebecca realizzato con l’ospedale San Camillo di Roma per la prevenzione e il trattamento della depressione in gravidanza e nel puerperio. “Quella più grave è una condizione decisamente patologica ma che, non ci si scandalizzi, ha una componente profondamente biologica. In natura è come quando una cagnetta mette al mondo nove cuccioli e ha solo otto mammelle. Inevitabilmente un piccolo muore. La donna affetta da depressione post partum non può essere trattata come una qualsiasi criminale. L'impulso di eliminare il proprio figlio è purtroppo un sintomo tipico e ben conosciuto. Si tratta di una forza estranea alla volontà della persona contro la quale la donna depressa lotta strenuamente e di cui si vergogna profondamente: non può comunicare a nessuno i suoi pensieri, in particolare al marito, ma anche la mamma o la sorella vengono tenute all'oscuro di questo dramma”.

Ma quali sono i campanelli d'allarme? Per gli specialisti al primo posto si trovano episodi di ansia o depressione durante la gravidanza o una storia personale o familiare di depressione (81%). A seguire, precedenti casi di depressione post partum (78%), isolamento o condizioni socioeconomiche svantaggiate (63%) e problemi con il partner (58%). “Nonostante i dati” continua il professor Giorgio Vittori, presidente della Sigo, Società Italiana di Ginecologia e Ostetricia, “il rischio di sviluppare depressione viene valutato di routine solo dal 30% dai ginecologi durante gli incontri pre parto. Dopo, solo nel 45% delle strutture è previsto un monitoraggio delle mamme ‘a rischio’. E il tempo dedicato all'informazione prima della dimissione è inadeguato per il 72% dei ginecologi”.

“Per prevenire i casi estremi, che potrebbero essere, secondo le stime, circa un migliaio all’anno, proponiamo al Ministro della Salute Ferruccio Fazio di applicare la procedura del TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio) extraospedaliero per le donne affette da depressione post partum a rischio di infanticidio” aggiungono i due medici. “Oggi non esiste una protezione reale per questo grave problema” conclude Picano. “Non basta, infatti, ottenere una corretta diagnosi e una terapia farmacologica per salvare la vita di un bambino e una donna dal dramma e dal carcere. Sono necessarie attenzioni particolari per la neomamma a rischio. Noi chiediamo al Ministro una normativa di interpretazione che permetta l’adozione di una procedura già esistente, il Tso extraospedaliero: in pratica la mamma a rischio rimane a casa propria con il suo bambino e viene seguita da un’infermiera che l’aiuti nella nuova organizzazione e da un'equipe di specialisti 24 ore su 24. Perché, di questo bisogna essere certi, nella maggior parte dei casi si tratta di una situazione passeggera destinata a migliorare”.

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