La procura di Roma procede per il reato d'omicidio preterintenzionale, al momento a carico di ignoti. Da destra a sinistra, politica e istituzioni chiedono verità. Intanto il ministro Alfano assicura: pieno sostegno alle indagini
Stefano è stato inghiottito da un grande buco nero, ripete ormai da giorni l'avvocato della famiglia Cucchi. Un buco nero di sette giorni, dal 15 al 22 ottobre scorsi. Cioè da quando il giovane 31enne viene fermato dai carabinieri per spaccio e detenzione di di sostanze stupefacenti nel parco dell'Appio Claudio. La famiglia, distrutta dal dolore non si rassegna, vuole sapere perchè Stefano è morto. E' stato pestato? E' stato forse massacrato da qualcuno, nel suo viaggio assurdo tra una caserma dei carabinieri e una cella di Regina Coeli? Perché, da quando fu fermato, la triste storia del geometra romano diventa un groviglio di rapporti investigativi apparentemente rassicuranti, referti medici allarmantissimi e lettere di sos mai arrivate. Ora rimbomba, univoca e trasversale, la richiesta di verità. Si mobilitano anche il mondo politico e le istituzioni in nome della legalità. La vicenda della misteriosa morte del ragazzo compatta gli schieramenti. Il ministro della Giustizia Alfano in una telefonata al procuratore di Roma Giovanni Ferrara assicura "pieno sostegno alle indagini", auspicando "celerità nell'accertamento della verità e dei colpevoli". Ma prima del Guardasigilli a parlare era stato Ignazio La Russa: "Quello che è successo, ha spiegato il ministro, non sono in grado di dirlo in quanto si tratta di una competenza estranea alla Difesa". Quindi nessuno strumento per accertare. Di una cosa però La Russa è certo: "Del comportamento corretto da parte dei carabinieri". Parole alle quali si aggiungono quelle del Guardasigilli Alfano che conferma la fiducia nell'operato della Polizia Penitenziaria. E così quelle del ministro dell'Interno. Maroni. Ma verità e legalità è la richiesta unanime.
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