Letizia Leviti, conduttrice di SKY TG24 Sera, analizza le tante questioni sollevate dalla riforma dell ministro dell'Istruzione e il perchè delle proteste degli studenti
di Letizia Leviti
Maestro unico, 5 in condotta, grembiulino, voti in numeri, libri di testo che durano, tagli, turnover bloccato. Bufera sulla scuola. Dai maestri, ai licei fino alle università infuria la protesta. Non c’è mai stata una riforma della scuola senza proteste. Non si è mai capito se è perché manifestare crea socialità e genera forza o perché ci crediamo davvero, ma la scuola riesce a muovere le masse. La scuola e i Mondiali di calcio. Da nord a sud, ora, contro la riforma Gelmini gli studenti fanno assemblee, organizzano lezioni a cielo aperto, innalzano striscioni, fanno nottata a discutere, vogliono cambiare tutto: quello che hanno e quello che vogliono dar loro.
La scuola che c’è non funziona, quella che il ministro ha pensato nemmeno: qual è la migliore delle scuole possibili? Quella che dà un futuro e, secondo chi protesta, questo sistema il futuro lo immagina soltanto, ma la riforma Gelmini invita a dimenticarlo. La polemica e la preoccupazione è forte sul turnover previsto: se ogni 5 docenti che vanno in pensione, viene assunto un solo ricercatore, cosa faranno tutti quelli che ci hanno provato e che ci vogliono provare, quelli che fanno ricerca, quelli che sono poi i protagonisti della giornalisticamente detta “fuga di cervelli”, in bilico tra l’essere considerati geni o perditempo? Il problema c’è.
La riforma Gelmini – giusta o sbagliata - nasce dalla lettura di una realtà che parla chiaro: negli ultimi 10 anni gli alunni sono diminuiti e la spesa pubblica per l’istruzione è cresciuta invece di oltre 10 miliardi. Il 97% di questa spesa è assorbito dagli stipendi. La nostra spesa per studente è la più alta d’Europa, mentre il rapporto studenti-docenti è il più basso d’Europa. Ci sono atenei che hanno un debito da far paura, di cui nessuno spesso è chiamato a rispondere. Ci sono insegnanti sottopagati. Ricercatori che devono andarsene o accontentarsi di uno stipendio da fame. Ci sono baroni che stipendi ne hanno tre o quattro. Ci sono vecchi preziosi insegnanti e insegnanti vecchi, ancorati al potere che solo la cattedra dà. Ci sono vecchi splendidi edifici ed edifici vecchi. Strutture desuete in cui non c’è l’ombra di un computer: in fatto di tecnologie didattiche siamo gli ultimi in Europa. Ci sono scuole create per ricevere contributi e altre che formano generazioni e che sono presidio sociale di aree difficili. Da qui nasce la protesta contro la chiusura delle scuole o – a un altro livello – dei corsi che non funzionano. Lingua, scienza e matematica sono le materie in cui andiamo peggio. Asini. Più che troppo, spendiamo male. Più che poco, studiamo male. C’è chi non studia proprio: neanche il 50% degli iscritti si laurea. L’emergenza è anche etica: i figli di oggi non possono essere rimproverati, ma solo accarezzati e promossi. Come forse è accaduto a molti dei loro
Maestro unico, 5 in condotta, grembiulino, voti in numeri, libri di testo che durano, tagli, turnover bloccato. Bufera sulla scuola. Dai maestri, ai licei fino alle università infuria la protesta. Non c’è mai stata una riforma della scuola senza proteste. Non si è mai capito se è perché manifestare crea socialità e genera forza o perché ci crediamo davvero, ma la scuola riesce a muovere le masse. La scuola e i Mondiali di calcio. Da nord a sud, ora, contro la riforma Gelmini gli studenti fanno assemblee, organizzano lezioni a cielo aperto, innalzano striscioni, fanno nottata a discutere, vogliono cambiare tutto: quello che hanno e quello che vogliono dar loro.
La scuola che c’è non funziona, quella che il ministro ha pensato nemmeno: qual è la migliore delle scuole possibili? Quella che dà un futuro e, secondo chi protesta, questo sistema il futuro lo immagina soltanto, ma la riforma Gelmini invita a dimenticarlo. La polemica e la preoccupazione è forte sul turnover previsto: se ogni 5 docenti che vanno in pensione, viene assunto un solo ricercatore, cosa faranno tutti quelli che ci hanno provato e che ci vogliono provare, quelli che fanno ricerca, quelli che sono poi i protagonisti della giornalisticamente detta “fuga di cervelli”, in bilico tra l’essere considerati geni o perditempo? Il problema c’è.
La riforma Gelmini – giusta o sbagliata - nasce dalla lettura di una realtà che parla chiaro: negli ultimi 10 anni gli alunni sono diminuiti e la spesa pubblica per l’istruzione è cresciuta invece di oltre 10 miliardi. Il 97% di questa spesa è assorbito dagli stipendi. La nostra spesa per studente è la più alta d’Europa, mentre il rapporto studenti-docenti è il più basso d’Europa. Ci sono atenei che hanno un debito da far paura, di cui nessuno spesso è chiamato a rispondere. Ci sono insegnanti sottopagati. Ricercatori che devono andarsene o accontentarsi di uno stipendio da fame. Ci sono baroni che stipendi ne hanno tre o quattro. Ci sono vecchi preziosi insegnanti e insegnanti vecchi, ancorati al potere che solo la cattedra dà. Ci sono vecchi splendidi edifici ed edifici vecchi. Strutture desuete in cui non c’è l’ombra di un computer: in fatto di tecnologie didattiche siamo gli ultimi in Europa. Ci sono scuole create per ricevere contributi e altre che formano generazioni e che sono presidio sociale di aree difficili. Da qui nasce la protesta contro la chiusura delle scuole o – a un altro livello – dei corsi che non funzionano. Lingua, scienza e matematica sono le materie in cui andiamo peggio. Asini. Più che troppo, spendiamo male. Più che poco, studiamo male. C’è chi non studia proprio: neanche il 50% degli iscritti si laurea. L’emergenza è anche etica: i figli di oggi non possono essere rimproverati, ma solo accarezzati e promossi. Come forse è accaduto a molti dei loro