Cosa dobbiamo aspettarci dalla Cop30 di Belem

A vedere il bicchiere mezzo pieno si potrebbe ricorrere a Mark Twain e dire che “la notizia della scomparsa del Clima dal dibattito pubblico è fortemente esagerata”. Perché è vero che l’argomento sembra svanito dall’agenda politica: c’entrano i conflitti in corso, c’entra soprattutto Donald Trump che nega l’esistenza del problema nonostante le evidenze scientifiche. Eppure, proprio il passo indietro degli Stati Uniti apre un vuoto politico. Per scoprire chi lo riempirà gli occhi sono puntati sulla città di Belem, in Brasile, dove si apre la Cop30, la conferenza sul Clima delle Nazioni Unite. Dieci anni dopo l’Accordo di Parigi Trentesima edizione del vertice, probabilmente la più “politica” dopo quella che dieci anni fa ha portato all’Accordo di Parigi, il pilastro della lotta alla crisi climatica. L’obiettivo di non andare oltre il grado e mezzo è dato per perso da tutti. Anche se, numeri alla mano, le proiezioni di aumento delle temperature hanno subito una drastica diminuzione da quando il pilastro è stato eretto. Insomma, l’Accordo è stato utile e forse continuerà ad esserlo. Belem, dicevamo. Dieci anni dopo Parigi, il presidente del Brasile Lula ci tiene a rendere questo appuntamento storico e ha scelto di organizzarlo alle porte della foresta amazzonica. Decisione potente dal punto di vista simbolico ma un disastro per la logistica. Nonostante gli investimenti degli ultimi anni la città non è in grado di ospite le circa 50 mila persone attese. E nei mesi scorsi i prezzi degli alloggi sono schizzati tagliando fuori dal processo molti partecipanti, soprattutto dai Paesi più poveri. Quelli che più subiscono la crisi climatica sono gli stessi che avranno più difficoltà a raggiungere la destinazione per fare sentire la propria voce in un processo in cui tutte le decisioni vengono prese per consenso. I primi giorni con i leader L’appuntamento si apre con il summit dei leader e dei capi di Stato del 6 e 7 novembre. Attireranno le attenzioni le assenze, da Trump a Xi . Ci sarà il primo ministro britannico Kier Starmer e sentiremo parlare molto del discorso che terrà il principe William, inviato dal Re Carlo che da sempre è uno dei leader più attenti ai temi ambientali. Il 10 novembre, poi, iniziano i negoziati. Archiviati un anno fa i tavoli più tecnici, quest’anno si parlerà molto di mitigazione – quindi di riduzione delle emissioni – e di adattamento. Chi riempirà il vuoto lasciato dagli Usa Quello a cui dovremo guardare però saranno le alleanze e le mosse politiche. Ad esempio quelle della Cina che negli ultimi anni è diventata la leader mondiale della transizione energetica. “Nello spazio delle Cop – spiega Luca Bergamaschi del think tank ECCO – Pechino tende sempre a nascondersi. Rappresenta ancora il gruppo dei Paesi emergenti, nonostante non lo sia più”. Un dialogo, quello con la Cina, che è ovviamente complesso e comprende anche altri dossier extra climatici. E l’Europa? “Dovrà chiedersi – prosegue Bergamaschi – come lavorare con le altre potenze emergenti come India, Turchia, Sudafrica e Brasile che si stanno affacciando adesso sullo scacchiere internazionale con una forza rinnovata”. Anche la cooperazione con i Paesi più vulnerabili sarà centrale: “Anche qui l'Europa sarà chiamata a essere il baricentro delle varie delle varie forze”. Il dossier finanziario Anche quest’anno, come l’anno scorso, la conferenza si occuperà molto di soldi. “Le delegazioni – spiega Jacopo Bencini, presidente di Italian Climate Network – saranno chiamate a esprimersi con decisioni corali e formali su una serie di report di natura finanziaria, in particolare sul Green Climate Fund, sulla Global Environmental Facility e, per la prima volta, sul Fondo Perdite e Danni. I tre tavoli interagiranno in ogni caso con la più ampia e parallela discussione sulla mobilitazione finanziaria rispetto al nuovo obiettivo adottato a Baku”. Secondo Bencini, poi, assisteremo – fuori dai tavoli negoziali – a diversi annunci. Questi gli “assi” tematici di azione presentati dalla presidenza brasiliana: energia, industria e trasporti; foreste, oceani e biodiversità; agricoltura e sistemi alimentari; città, infrastrutture e acqua; sviluppo umano e sociale. La decisione politica Ma quindi a cosa dovremo guardare alla fine di queste due settimane? “A Belém – dice ancora Bencini – servirà una votazione su una dichiarazione politica unica e congiunta, per dimostrare che nonostante missili e fratture relazionali si è ancora capaci di discutere collettivamente di alcuni obiettivi politici minimi. Ed è un bene, in questo scenario internazionale, che a impugnare il martelletto sia un Paese non occidentale”. In che senso? Se avremo una decisione di questo tipo sarà su un testo “ideato, scritto e presentato da cancellerie non occidentali, più probabilmente sotto egida BRICS, cui al massimo l’Europa e gli alleati occidentali potranno proporre emendamenti da negoziare. È la nuova realtà, semplicemente, nonché l’unica strada per raggiungere il consenso in sala, visto il contesto e numeri alla mano. Dovremo abituarci”.

Cosa vedere:

Come vederlo:

Online con Sky:

Cosa dobbiamo aspettarci dalla Cop30 di Belem

Alberto Giuffrè