Poche aziende hanno grandi responsabilità sulle recenti ondate di calore

Le emissioni di gas serra di 180 aziende petrolifere e del cemento sarebbero direttamente responsabili di circa un quarto delle ondate di calore avvenute nel mondo negli ultimi 23 anni. È la conclusione a cui è giunto uno studio del Politecnico di Zurigo, pubblicato in copertina dalla prestigiosa rivista scientifica Nature. Per la prima volta in questo tipo di studi di attribuzione i ricercatori non collegano le azioni delle aziende al riscaldamento climatico in generale, ma a specifici eventi estremi – le ondate di calore – rendendo il loro impatto e la loro responsabilità più visibili e concrete. Le impronte delle aziende sulle ondate di calore Secondo i ricercatori, 213 ondate di calore avvenute tra il 2000 e il 2023 sono state rese più probabili e più intense dalla presenza del riscaldamento globale causato dalle emissioni di gas serra delle attività umane. Non solo: ciò che più colpisce della ricerca è il calcolo secondo cui un quarto di queste 213 ondate sarebbe stato del tutto impossibile senza le emissioni delle 180 aziende di idrocarburi più grandi al mondo. Di fatto, la sola esistenza di ognuna di queste grandi emettitrici di gas serra avrebbe causato fino a 50 ondate di calore che altrimenti non sarebbero mai avvenute. Tra le aziende citate ci sono le americane Chevron e ExxonMobil, l’inglese BP e Shell, la russa Gazprom, Saudi Aramco e la brasiliana Petrobras. Ma anche l’italiana ENI. A quest’ultima, ad esempio, secondo lo studio, sono attribuibili 50 eventi di calore estremo, compresi quelli avvenuti in Italia ad agosto 2011, agosto 2018, giugno 2019 e quella dell’estate 2003, tra le più letali. Diversi studi hanno calcolato tra i 40mila e i 70mila decessi in Europa durante quell’estate. Le ondate di calore uccidono Tra tutte le conseguenze del riscaldamento globale, le ondate di calore sono gli eventi estremi più letali e più “silenziosi” di tutti, perché più difficili da individuare come causa diretta dei decessi. Le stime citate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità parlano di quasi 500mila persone morte per il caldo ogni anno tra il 2000 e il 2019. Oltre all’estate del 2003, per l’Europa anche l’estate del 2022 è stata drammatica: un report pubblicato su Nature parla di oltre 60mila morti. Ma, proprio a causa dell’enorme impatto dei combustibili fossili sull’aumento della probabilità e dell’intensità del caldo, nessuna estate è più immune. Compresa quella appena trascorsa che, secondo studi rapidi di attribuzione dell’Imperial College di Londra, avrebbe causato oltre 16mila decessi in 854 città europee. Per non parlare dei danni economici: secondo una ricerca uscita su Lancet, il caldo ha causato perdite per 512 miliardi di ore lavorate globalmente nel 2023. La scienza dell'attribuzione fa un passo avanti Riuscire a stabilire un nesso tra eventi meteorologici e cambiamenti climatici, e tra cambiamenti climatici e singoli emettitori è un passo in avanti della scienza dell’attribuzione. Un passo possibile grazie all’esistenza dei tanti dati sul cambiamento climatico e ai protocolli che sono stati stabiliti negli anni. “Sappiamo che la CO2 una volta emessa resta lì, in atmosfera. Più ne aggiungiamo, più la temperatura aumenta in modo proporzionale”, spiega Davide Faranda, direttore di ricerca al CNRS di Parigi e fondatore di ClimaMeter, intervistato a Progress su Sky Tg24. E per quanto riguarda le ondate di calore, si tratta di una conseguenza lineare: sono l’effetto ultimo ed estremo dell’aumento delle temperature, causato anche dalle scelte delle singole aziende che continuano a emettere idrocarburi. “Come si fa in medicina per diagnosticare una malattia: si applicano i protocolli e si ottengono dei risultati statistici, che poi vanno interpretati con quanto sappiamo dei cambiamenti climatici e della fisica dell’atmosfera”, aggiunge Faranda, tra i massimi esperti italiani di questo tipo di studi. Starà poi all’IPCC, l’Intergovernmental Panel on Climate Change, mettere l’ultima parola sugli studi e le conoscenze legate al cambiamento climatico. Faranda farà parte proprio del gruppo che nei prossimi anni comporrà l’IPCC. In futuro, l’obiettivo per la scienza dell’attribuzione sarà riuscire ad attribuire le responsabilità specifiche anche per altri eventi, più circoscritti o meno lineari. Le implicazioni per le cause climatiche Lo studio di Zurigo che individua le responsabilità delle singole aziende inquinanti potrebbe avere conseguenze rilevanti soprattutto nel campo delle cosiddette “climate litigations”, cioè le cause legali intentate contro Stati o aziende per le loro responsabilità nella crisi climatica. “Si potrebbero aprire nuove cause, a livello nazionale o internazionale, contro singole compagnie petrolifere o del cemento”, spiega Faranda. “Ovviamente poi starà ai giudici riconoscere le responsabilità e stabilire i risarcimenti per chi avrà fatto causa. Risarcimenti che potranno essere economici o a livello di azioni che le aziende dovranno intraprendere per evitare che le ondate di caldo continuino ad arrivare con questa intensità”. Lo studio pubblicato su Nature potrebbe quindi essere un precedente, così come un precedente fondamentale è il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia dell’Onu che lo scorso luglio ha riconosciuto che il cambiamento climatico costituisce “un problema esistenziale di dimensioni planetarie” e che esistono obblighi giuridici concreti in capo agli Stati, sia per quanto riguarda la mitigazione che l’adattamento. Di conseguenza, i Paesi - e le aziende - potrebbero essere ritenuti responsabili degli impatti dei cambiamenti climatici e le persone e le comunità colpite hanno diritto a un risarcimento. Quello che sottolinea Faranda è l’importanza di fare pressioni, anche legali, per ridurre le emissioni di gas serra: “Ci guadagniamo tutti, in termini di salute pubblica, di indipendenza dalle fonti di petrolio e gas all’estero e in termini economici. Le soluzioni ci sono e convengono, non metterle in pratica significa fare gli interessi di poche aziende che pensano solamente al proprio profitto”. Basti pensare, aggiunge Faranda, che “2,8 miliardi di euro ogni anno solo in Italia vengono spesi dai cittadini per contrastare gli effetti delle alluvioni e degli altri eventi estremi. Se questi soldi fossero investiti per la transizione ecologica, i risultati sarebbero subito evidenti”.

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Ambra Orengo