Qual è il vero impatto ambientale del ponte sullo Stretto

Il piano per il ponte sullo Stretto di Messina ha avuto il via libera dal Cipess, l’organo del governo che delibera sulla pubblica utilità delle opere per cui serve un investimento a carattere nazionale. Mai, da cinquant’anni a questa parte, un progetto era andato tanto avanti nell’iter legislativo e burocratico. Ma, quindi, il Ponte si farà davvero entro il 2032 come dice il ministro dei Trasporti Matteo Salvini? Non è detto. Intanto perché manca il placet della Corte dei Conti al progetto esecutivo, ancora da presentare. Poi, perché restano da superare i numerosi ricorsi presentati dai comitati No-Ponte. Su tutti, quelli a carattere ambientale. Greenpeace, Legambiente, Lipu e Wwf avevano già presentato un reclamo all’Unione europea lo scorso 27 marzo. E lo hanno integrato il 4 agosto, in seguito alla ratifica del Cipess. L’oggetto del contendere è la Valutazione d’incidenza: Bruxelles aveva rilasciato un parere positivo alla compatibilità ambientale del progetto del ponte, documento necessario al via libera alla costruzione, ma lo aveva condizionato a 62 prescrizioni. Che, secondo gli ambientalisti che ricorrono, sono “ancora da ottemperare”. In particolare, a fare le spese dell’opera – per come si presenta adesso – sarebbero gli uccelli migratori, la biodiversità marina e “a cascata anche le attività umane sullo Stretto”, spiega Antonio Di Natale, segretario della fondazione Acquario di Genova ed esperto Onu sulla valutazione dello stato dell’oceano. Cosa rischiano le specie marine Cetacei, tonni, piccoli crostacei, pescispada, stelle di mare e molluschi di ogni genere. In un brevissimo specchio d’acqua, largo dai 3 ai 16 chilometri, lo Stretto di Messina ospita centinaia di specie animali diverse. “L’estuario di Messina – chiosa Di Natale – è una delle aree con la maggiore biodiversità dei fondali. Ma è anche una zona di migrazione di specie marine. Per loro, il ponte rischia di essere un grande problema”. Parliamo di cetacei e pesci pelagici come l’alalunga, il tonno rosso e le costardelle. Ogni anno questi animali cominciano il loro viaggio dai mari settentrionali d’Europa per entrare nel Mediterraneo e transitare, o sostare, nella sottile striscia tra Calabria e Sicilia. “Sono rotte che compiono seguendo una memoria collettiva – spiega l’esperto Onu – Non sono specie abituate a muoversi con un’ombra fissa sopra le loro teste, come quella che proietterebbe in acqua il ponte. È una cosa che li terrorizza e li blocca. Da millenni sono abituati all’ombra mobile delle navi, ma non a quelle fisse”. Il risultato, di fronte alla nuova infrastruttura, sarebbe l’interruzione delle rotte. “Lo sappiamo perché abbiamo visto cosa è successo ai cetacei tra Svezia e Danimarca – osserva Di Natale – Sono serviti tre anni di addestramento con incentivi positivi, quindi con cibo che li attirasse dall’altra parte di quel ponte, per convincere i delfini a oltrepassare di nuovo l’arco. Lo stesso accadrebbe in Italia”. Biodiversità a rischio e pesca in crisi Inevitabilmente, disorientati dalle ombre del ponte, molti animali migratori invertirebbero la propria rotta. Con conseguenze per tutto il Mediterraneo: “Facciamo un esempio – argomenta l’esperto Onu – Se tutti i cetacei non passassero più dallo Stretto, faticherebbero ad arrivare nell’Egeo e nel Mediterraneo meridionale e orientale. Avremmo, dunque, una concentrazione nel Mediterraneo occidentale. La conseguenza è che vivrebbero tutti in uno spazio minore e avrebbero a disposizione anche meno cibo”. A farne le spese, sarebbe la biodiversità dell’intero bacino. “Dovremmo considerare che diritto abbiamo di minare i diritti delle altre specie”, sostiene Di Natale. Ma, secondo il biologo marino, anche le attività umane – pesca in primis – risentirebbero della diminuzione di specie migratorie: “Questa economia di pesca ha tradizioni storiche, che tengono conto anche delle rotte – conclude – e, per chi ne fa ancora un lavoro, i danni sarebbero tanti. A nulla servirebbe l’idea di illuminare artificialmente l’area sotto il Ponte: i costi sarebbero altissimi e i led rischierebbero di attirare troppi pesci, sconvolgendo gli equilibri”. Cosa rischiano gli uccelli Anna Giordano, ornitologa del Wwf, non ha mezze misure sulla costruzione del ponte: “Sarebbe una catastrofe. Quella dello Stretto di Messina è una delle rotte migratorie più vulnerabili in mezzo pianeta e la più importante al mondo per alcune specie di uccelli minacciate dall’estinzione. L’impatto, diretto e indiretto, sarebbe troppo alto”. Gli ornitologi, negli scorsi anni, hanno censito 327 specie di uccelli che attraversano il tratto di mare tra Calabria e Sicilia. In particolare, per quattro specie di rapaci si tratta della rotta migratoria più importante al mondo: “E due di queste – precisa l’ornitologa – si trovano ora al massimo livello di vulnerabilità sulla scala globale: l’albanella pallida e il grillaio”. Per la loro sopravvivenza, cioè, il ponte potrebbe essere fatale. “Morirebbero moltissimi uccelli per tanti motivi – spiega Giordano – Alcuni cambierebbero rotta al mutare del gioco delle correnti e dei venti, con dinamiche atmosferiche dirette. Ma molti lo colpirebbero in pieno: non potrebbero evitarlo perché percorrono rotte trasversali e hanno alle spalle anche 800 chilometri di migrazione percorsi nel deserto. Studi di settore dicono che un quarto dei falconiformi andrebbe a sbattere sull’opera”. Anche per gli uccelli, perciò, a farne le spese sarebbe la biodiversità. “Certamente questo avrebbe un impatto anche sulle attività umane – conclude l’ornitologa del Wwf – Basti pensare alla morte delle specie insettivore: senza quegli uccelli, in agricoltura molti sarebbero costretti ad aumentare l’uso di sostanze chimiche e tossiche nei campi”.

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Andrea Ceredani