Tessile sostenibile: il denim

Ambiente
Chiara Puglisi

Chiara Puglisi

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La sostenibilità e l’economia circolare si stanno facendo sempre più strada anche nella filiera tessile. Ma in Italia esistono già delle realtà che da anni hanno fatto della sostenibilità e dell’innovazione, un modello di business. Vi portiamo a scoprire la filiera tessile italiana

Il settore tessile è oggi il quarto più inquinante d’Europa, oltre a essere tra i tre peggiori nell’abuso di acqua e tra i primi cinque per le emissioni di gas serra. Secondo il Programma delle Nazioni Unite per l'Ambiente (UNEP) è responsabile delle emissioni globali in una percentuale che oscilla tra il 2 e l’8 %, consuma 215 trilioni di acqua e le sue microfibre inquinano gli oceani per il 9%. Vogliamo raccontarvi però ciò che già di virtuoso esiste in Italia, modelli produttivi che possono essere emulati per creare circoli virtuosi e per contenere l’impatto che il tessile prima, e la moda poi, hanno sulla salute del nostro Pianeta. 

Adriano Goldschmied: il padrino del jeans

 

Cominciamo questo racconto da uno dei tessuti più antichi e conosciuti, il denim, e lo facciamo con un’intervista a chi ha scritto la storia del denim nel nostro Paese: Adriano Goldschmied. Classe 1944 è conosciuto come il padrino del denim, stilista e creatore del “denim premium”, fondatore della Diesel e creatore di marchi come Replay, Gap 1969 e la sua AG Adriano Goldschmied. Uno stilista e creativo che dagli anni ’70 si è dedicato alla sperimentazione sul cotone jeans ma che ad un certo punto ha dovuto fare i conti con i disastri ambientali che questi esperimenti hanno comportato. Lo abbiamo raggiunto a Genova durante la manifestazione Genova Jeans.

 

Adriano lei è il padrino del denim, è riuscito a trasformare un capo da lavoro in un capo d’alta moda. Ci racconta quando è successo e come è successo?

 

È staro un processo inconsapevole, all’inizio non avevo in mente un percorso così lungo e così decisamente innovativo. Le cose sono nate una dopo l’altra in maniera logica e consequenziale ma senza un programma preciso. Ho cominciato in giovane età con tutti i pro e contro della giovane età. L’aspetto positivo è stato certamente l’entusiasmo e la voglia di fare, quello negativo è che non sapevamo fare, e quindi abbiamo fatto tantissimi errori. Personalmente sono molto orientato all’innovazione, al progresso, sicuramente non sono un conservatore. Il mio percorso è stato determinato dalla creatività, dal fatto di portare innovazione e, diciamo a metà della mia carriera, a quello di riparare a tutti gli errori commessi nella prima parte. Nella parte iniziale il mio obiettivo, come quello di tanti altri designer, cito fra questi François Girbaud che è uno che ha lasciato un segno molto profondo nel nostro mondo, l’unico obiettivo era di fare delle cose carine che ci piacessero, che fossero nuove, senza pensare assolutamente a come le facevamo. Anche perché non avevamo assolutamente idea di come fossero influenti a livello di produzione globale. Me ne sono reso conto soltanto quando ho cominciato a viaggiare in tutto il mondo e lì mi sono reso conto che le diavolerie che facevamo nei nostri laboratori erano state adottate nelle grandi fabbriche con risultati da un punto di vista ecologico devastanti.

 

A quel punto che cosa ha fatto?

 

Ho cambiato completamente strategia. E da quel momento in poi ho sempre pensato che il buon design dovesse essere sempre associato all’onestà, alla maniera giusta di fare le cose, a dei principi etici di cui all’inizio non tenevamo assolutamente conto. È stato un percorso sicuramente molto difficile, all’inizio ero deriso perché l’industria non teneva conto di fattori come la sostenibilità. Le cose sono cambiate agli inizi degli anni 2000 soprattutto quando i più furbi hanno capito che la strada dell’ecologia portava più soldi. Ricordo di averlo sostenuto durante un convegno proprio all’inizio degli anni 2000 ho detto apertamente “il giorno che si renderanno conto che fanno più soldi in questa maniera, il mondo cambierà”, in effetti è quello che sta succedendo adesso.

 

A che punto siamo nel percorso verso una produzione più attenta al rispetto dell’ambiente e dei suoi ecosistemi?

 

Oggi siamo secondo me a metà percorso. Qual è l’obiettivo? È quello di avere un’industria con impatto zero. Ovviamente è un percorso molto difficile ma abbiamo imboccato questa strada e oggi siamo a metà percorso, anche se tanto cammino c’è ancora da fare.

 

Cosa consiglierebbe ai giovani designer?

 

La prima cosa che consiglio a un giovane che affronta questa carriera è che oggi il design non rappresenta più del 50% del lavoro, oggi deve avere conoscenza delle tecniche e delle cose che è giusto fare e di ciò che non è giusto. Il lavoro del design è diventato molto più complesso, richiede aggiornamenti continui al passo anche con la tecnologia, in più il designer ha una grandissima responsabilità perché determina la natura del prodotto e i suoi metodi produttivi. Le scelte del design hanno implicazioni importantissime a tutti i livelli, dall’agricoltura, alla tessitura ai finissaggi fino ad arrivare alla vendita. Questo lavoro creativo ha delle implicazioni di vastissima portata. Quindi seguire sempre il cuore e la passione per la creatività, che determina l’identità del prodotto, ma dedicare del tempo, anche se può apparire noioso per un creativo, ad elevare il nostro segmento e farlo progredire per migliorare le condizioni del Pianeta e fare del bene all’umanità.

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La sostenibilità come modello e visione di business: Candiani Denim

 

In Italia esistono già delle realtà industriali che hanno fatto della sostenibilità un modello di business è il caso di Candiani Denim. Una storia che parte da lontano, dalla fondazione nel 1938 di Tessitura di Robecchetto Candiani fino ad arrivare alla quarta generazione del Denim a conduzione familiare completamente focalizzato a fondere la tradizione con le migliori innovazioni sostenibili del settore. Candiani Denim ha operato un cambiamento rendendo la sostenibilità uno standard di settore nel mondo del denim. E lo ha fatto non soltanto nella sede di Robecchetto che si trova all’interno della Riserva Naturale del parco del Ticino, 20.500 ettari di area protetta che ospita un ecosistema ricco di biodiversità e che ha imposto regole e processi produttivi, con conseguenti investimenti, che si adeguano all’ambiente e non viceversa. La transizione ecologica di Candiani Denim, di fatto, è cominciata nel 1974 anno in cui viene istituita la riserva naturale. Ma la visione è andata oltre la produzione industriale. Candiani ha creato in pieno centro a Milano una micro-factory urbana, dove il cliente può realizzare il proprio jeans su misura, producendolo direttamente in negozio, e scegliendo ogni singolo dettaglio dal modello al lavaggio, dal filo ai bottoni, tutto, dai materiali ai macchinari, sapientemente adeguati agli spazi ridotti di un negozio su strada, sono concepiti per essere riciclabili e per avere un impatto positivo fine vita sull’ambiente. Tutto è prodotto entro 238 km dal negozio, il bottone è quello più lontano nella supply chain, prodotto a Padova. Questo significa che Candiani Denim è riuscito a realizzare la filiera più corta al mondo per la produzione di jeans, senza sovrapproduzione, con il carbon footprint e l’impatto sul cambiamento climatico più bassi al mondo. Un modello che esiste solo in Italia.

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Sostenibilità, innovazione e ricerca: PureDenim

Sostenibilità, innovazione e ricerca sono tre pilasti che rendono una produzione virtuosa. E la filiera tessile in Italia si muove tra tradizione e innovazione soprattutto nella lavorazione del cotone indaco, il jeans, che deve essere sempre interpretato dagli stilisti ma che per questo ha bisogno di molti trattamenti, e la difficoltà più grande sta nel mantenere la ricchezza del prodotto, quindi preservarne il colore blu e la fattura del tessuto, senza l’utilizzo di agenti chimici aggressivi o pericolosi. Questa è la sfida che si propongono in PureDenim, la prima azienda al mondo a produrre internamente il colorante, l’indaco liquido. Smart Indigo è il nome di questo innovativo processo ecologico. Nato da un’idea brevettata in Svizzera da David Crettenand e commercializzato da Sedo Engineering SA, è stato trasformato per la prima volta in un procedimento industriale operativo proprio grazie a PureDenim. L’indaco è insolubile in acqua: i coloranti utilizzati tradizionalmente si basano sulla riduzione attraverso idrosolfiti, spesso estremamente inquinanti e rischiosi per la salute. Smart Indigo utilizza solo pigmento di indaco, soda caustica, acqua ed elettricità: è un processo elettrochimico, pertanto non utilizza idrosolfiti. Nei coloranti tradizionali la polvere di indaco raggiunge una concentrazione dell’8%, mentre con la tecnologia Smart Indigo arriva a una concentrazione del 30%. Grazie al maggiore potere colorante è possibile utilizzare meno prodotto anche per produrre tonalità molto scure. Utilizzando meno prodotto si ottiene un notevole risparmio di acqua, impiegata in grandi quantità nel processo di tintura. Il riciclo delle acque reflue risulta più facile grazie alla mancanza di sali e quindi anche il costo del trattamento risulta inferiore. L’indaco viene creato, verificato, misurato in linea e direttamente inviato nei bagni di tintura, la produzione in loco permette di ridurre di sei volte le emissioni di CO2. Un altro grande problema nella produzione del denim è grande consumo di acqua. PureDenim ha superato anche questo ostacolo grazie alla tecnologia EcoSonic in grado di sfruttare la potenza degli ultrasuoni per nobilitare i tessuti, utilizzando solamente 0,53L di acqua per ogni metro di tessuto e il 40% in meno di energia rispetto ai processi tradizionali. Il risultato finale è un tessuto denim con una maggiore resistenza ed un aspetto più definito e lussuoso. EcoSonic utilizza un processo fisico chiamato cavitazione ultrasonica che riduce l’uso di energia e determina l’indipendenza chimica nella produzione tessile. Attraverso due generatori vengono prodotte onde ad alta frequenza che facendo muovere l’acqua ad alta velocità creano minuscole bolle d’aria che esplodono a contatto con il tessuto, rilasciando energia, liberano il tessuto dalle impurità risparmiando, così, litri e litri di acqua.  

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