Quasi il 70% dei rifiuti solidi viene depositato in siti di smaltimento non autorizzati e il Paese è il 21° più grande inquinatore di oceani del mondo. E’ quanto emerge dai dello studio di #CLIMATEOFCHANGE, la campagna europea guidata dalla ong italiana WeWorld
In Senegal quasi il 70% dei rifiuti solidi viene depositato in siti di smaltimento non autorizzati nonostante la discarica di Mbeubeuss, una delle più grandi del mondo, a 30 Km da Dakar: 120 ettari, 500 camion al giorno, più di 2.000 raccoglitori di rifiuti, oltre a lavasciuga, elicotteri, piccoli autotrasportatori, intermediari e grossisti che si guadagnano da vivere trovando, preparando e trasportando rifiuti per il riciclaggio. Un'enorme economia informale che sostiene migliaia di famiglie.
Lo studio di We World
I dati dell’inquinamento da plastica in Senegal, paese oggetto dello studio condotto dall’Università degli Studi di Bologna e WeWorld nell’ambito della campagna europea #ClimateOfChange cofinanziata dal programma di educazione allo sviluppo e sensibilizzazione dell'Unione Europea (DEAR) sono dati preoccupanti anzi allarmanti.
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La situazione del Senegal
Il Senegal contribuisce in modo sproporzionato alla plastica oceanica e nonostante le sue piccole dimensioni (87° Paese al mondo per estensione), è il 21° più grande inquinatore di oceani del mondo. Una posizione dovuta al fatto di essere diventati punto di raccolta di rifiuti provenienti da tutto il resto del mondo ma anche ad una maggiore richiesta interna di prodotti confezionati e prodotti in serie.
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I dati
Dal punto di vista geografico più del 65% dei senegalesi vive in zone costiere, prevalentemente concentrate intorno alla capitale. I centri urbani come Dakar, sono particolarmente vulnerabili alle inondazioni mentre le aree costiere sono altamente fragili dal punto di vista ambientale. La gestione dei rifiuti è un problema sia comportamentale che strutturale. La maggior parte dei rifiuti sono rifiuti domestici e vi è assenza delle necessarie infrastrutture. Le grandi città come Dakar mancano di siti di smaltimento adeguatamente concepiti e quasi il 70% dei rifiuti solidi viene depositato in siti di smaltimento non autorizzati, malgrado a 30 km dalla capitale da oltre 50 anni vi sia la discarica statale di Mbeubeuss, una delle più grandi del mondo, discarica che il governo vuole chiudere per sfruttare il fiorente mercato di riciclaggio della plastica.
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La discarica statale di Mbeubeuss
Mbeubeuss è costruita sopra montagne di rifiuti. Plastica ma anche vestiti: resti dell'industria del fast fashion e del suo impatto sull'ambiente. Secondo Beyond Plastics, meno del 9% della plastica viene riciclata, la maggior parte finisce nell'ambiente naturale e le nuove proposte di "riciclaggio chimico" o "riciclaggio avanzato" sono in realtà più prossime al semplice incenerimento, ovvero una delle principali fonti sia di emissioni climatiche che di inquinanti atmosferici nocivi.
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La baia di Hann
La baia di Hann è oggi tra le più inquinate dell'Africa occidentale ed è la prima zona industriale dell'Africa occidentale, ospitando circa il 70-80% delle industrie del Senegal. L'inquinamento di Hann Bay è causato dalle acque reflue di molte fonti industriali, tra cui aziende chimiche, un mattatoio e una raffineria di petrolio.
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La lotta ai cambiamenti climatici
“Il ruolo del cambiamento climatico e più in generale del degrado dell’ambiente nel guidare le tendenze migratorie attuali e future richiede una comprensione dettagliata dei fattori di breve e di medio-lungo periodo alla base delle vulnerabilità delle diverse popolazioni - spiega Margherita Romanelli coordinatrice area Advocacy e Programmi UE di WeWorld - Il Senegal è un caso emblematico: la modifica delle correnti oceaniche e della salinizzazione dell’acqua, la perdita di biodiversità e l’erosione delle coste (tutti fenomeni dovuti ai cambiamenti climatici) e il degrado ambientale causato dall’inquinamento e dall’abnorme presenza di rifiuti plastici, lascia a molti pescatori l’emigrazione come unica scelta. Anche nel caso del Senegal incide una responsabilità netta del nord del pianeta: sono del Nord infatti i paesi che inviano i loro rifiuti, legalmente e illegalmente, al Sud del globo che, per mancanza di investimenti, tecnologie e infrastrutture, già non è in grado di gestire i propri. Di fatto, il case-study senegalese e in particolare le testimonianze delle comunità di pescatori costieri intorno a Dakar e a Saint Louis, confermano la riduzione degli stock ittici che rende precaria la sopravvivenza in un paese in cui l’attività prevalente è la pesca. A questo proposito i pescatori locali chiedono che le licenze di pesca non siano date solo a barche straniere che sono quelle che inquinano di più".
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Il trattato internazionale sulla plastica
A Nairobi l’UNEP (il programma delle nazioni unite per l’ambiente) ha deciso di regolamentare in modo vincolante entro il 2024 l’intero ciclo di vita della plastica in modo da ridurre drasticamente la quantità prodotta e smaltita a livello globale.
“Ci auguriamo che il trattato internazionale sulla plastica contenga tutti gli elementi necessari per salvare le generazioni future, a partire da quelle più esposte, dai danni irreversibili dell’inquinamento da plastica, perché dall'estrazione dei combustibili fossili necessari a produrla fino allo smaltimento, la plastica crea impatti notevoli per le persone e per il pianeta”, conclude Margherita Romanelli :“È tempo di scelte coraggiose, di vietare e sanzionare pratiche non sostenibili dal punto di vista ambientale e sociale. L’accordo di Nairobi va in questa direzione, come la recente proposta di Direttiva europea sulla Due Diligence delle imprese alla sostenibilità. Tuttavia molto deve essere ancora fatto”