La giornata mondiale dei popoli indigeni

Ambiente
Gli indigeni nel mondo sono 370 milioni, distribuiti in 90 diversi Paesi, pari al 5% della popolazione globale (Getty Images)
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Istituita dall'Onu nel 1994, tutela circa 370 milioni di persone in 90 Paesi diversi, che rappresentano il 5% della popolazione mondiale

Il diritto a vivere secondo le tradizioni e nell’ambiente originario: sono questi i valori fondanti della Giornata mondiale dei popoli indigeni. Istituita dall'Onu nel 1994, questa giornata tutela 370 milioni di indigeni distribuiti in 90 diversi Paesi: sono il 5% della popolazione mondiale, ma il 15% della parte più povera. L'edizione 2018 si focalizza sul tema della migrazione dei popoli indigeni, come risultato della perdita dei propri territori, dovuta principalmente allo sviluppo e ad altre forme di pressioni esterne.  

La migrazione dei popoli indigeni

Ogni anno il 9 agosto si celebra la giornata mondiale dei popoli indigeni istituita dall’Onu. Nel mondo sono circa 370 milioni di persone, parlano settemila lingue diverse e rappresentano cinquemila culture distinte. A causa della perdita delle loro terre e risorse, molte popolazioni indigene migrano verso aree urbane in cerca di migliori prospettive di vita, istruzione e occupazione. Anche persecuzioni, conflitti bellici e cambiamenti climatici alimentano i flussi migratori. Nonostante l'opinione diffusa che le popolazioni indigene vivano principalmente nei territori rurali, sono invece le aree urbane ad ospitarne una percentuale significativa. In America Latina, ad esempio, circa il 40% di tutte le popolazioni indigene vive in aree urbane. Percentuale che sale addirittura all'80% in alcuni paesi della regione. Nella maggior parte dei casi, le popolazioni indigene che migrano trovano migliori opportunità di lavoro e migliorano la loro situazione economica, ma si allontanano dalle terre e dai costumi tradizionali. A ciò si aggiungono altre difficoltà come la mancanza di accesso ai servizi pubblici e varie forme di discriminazione.

I popoli dell'Amazzonia

Tra i luoghi in cui la presenza di popolazioni indigene è più cospicua c’è sicuramente l’Amazzonia. Qui, secondo i dati dell’organizzazione internazionale Survival – movimento che si occupa dei diritti dei popoli indigeni nel mondo – vivono un milione di autoctoni. L’Amazzonia ospita circa 400 tribù, ognuna delle quali ha le sue tradizioni e una propria lingua. La maggior parte di queste popolazioni non ha contatti con il mondo esterno da circa 500 anni. Altre non hanno addirittura mai avuto contatti con le società che le circondano. Il Brasile è il Paese sudamericano che ospita gran parte degli indigeni con circa 240 tribù per un totale di 900 mila persone, lo 0,4% dell’intera popolazione brasiliana. Il governo ha riconosciuto a queste tribù 690 territori, ovvero il 13% del suolo del Paese. I territori protetti si trovano per il 98% in Amazzonia che è abitata dalla metà degli indigeni brasiliani. La comunità attualmente più numerosa del Brasile è quella dei “Guarani” che conta 51mila membri circa, anche se del loro territorio originale è rimasto poco a causa dello spazio concesso per l’allevamento di bestiame, le piantagioni di soia e quelle di canne da zucchero. Il popolo con il territorio più vasto, che occupa un’area di 9,4 milioni di ettari nell’Amazzonia settentrionale è quello dei “Yanomami”, composto da 19 mila membri. Di contro, sono diverse le tribù che contano meno di mille persone. La più piccola è addirittura composta da un solo uomo. Survival sottolinea, inoltre, che oggi "molte comunità vivono ammassate in riserve sovraffollate, mentre altre sono accampate sotto teloni di plastica sui cigli delle superstrade".

I popoli africani

Tra i popoli indigeni più noti ci sono, poi, i Boscimani che contano circa 100mila persone e vivono in Botswana, Namibia, Sudafrica e Angola. A causa della scoperta dei diamanti agli inizi degli anni ’80 nei territori da loro occupati, i governi locali forzarono questa popolazione a lasciare i territori dei giacimenti rinvenuti. A partire dal 1997 ci furono i primi sfratti forzati. Secondo quanto scrive Survival, oggi i Boscimani vivono in campi di reinsediamento. “Per sopravvivere – scrive l’organizzazione internazionale - dipendono in gran parte dalle razioni di cibo distribuite dal governo perché sono praticamente impossibilitati a cacciare e vengono picchiati e arrestati se sorpresi a farlo”. Diversi, poi, sono i popoli che vivono nella Valle dell’Omo in Etiopia. Qui, le piene del fiume omonimo garantiscono biodiversità e sicurezza alimentare. Questi popoli applicano tecniche di coltivazione a rotazione, in particolare sorgo, mais e fagioli e vivono di pastorizia nelle savane o nei pascoli prodotti dalle esondazioni. Alcune tribù si danno anche alla caccia e alla pesca. Negli anni ’60 e ’70, in questi territori sono stati istituiti parchi nazionali che hanno causato la progressiva perdita di controllo e l’esclusione delle popolazioni indigene.


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