Stato-mafia, Napolitano: "Insinuati sospetti su di me"

Politica

Il Presidente difende la decisione di sollevare il conflitto di attribuzione. Poi, rende noto uno scambio di lettere con D'Ambrosio. "Colpiscono lei per colpire me" scriveva all’ex consigliere. Che rassicurava: "Mai fatto pressioni per aiutare Mancino"

"Si è tentato di mescolare" la mia richiesta di conflitto di attribuzione con "il travagliato percorso delle indagini giudiziarie, insinuando nel modo più gratuito il sospetto di interferenze da parte della Presidenza della Repubblica".  Il Capo dello Stato Giorgio Napolitano, intervenendo alla cerimonia di apertura della Scuola superiore di magistratura a Scandicci, torna sulla decisione assunta a luglio nel pieno delle polemiche sulla trattativa Stato-mafia.
Napolitano, che proprio oggi, lunedì 15 ottobre, ha reso pubblico il carteggio tra lui e il suo ex consigliere Loris D'Ambrosio, assicura di aver agito sempre con "trasparenza e coerenza" e che a questi due principi è stata ispirata anche la decisione di ricorrere alla Corte Costituzionale. Il conflitto di attribuzione presso la Consulta è stata "una decisione obbligata per chi abbia giurato davanti al Parlamento di osservare lealmente la Costituzione" ha ribadito.

"Basta ostilità tra politica e giustizia" - "La politica e la giustizia, i protagonisti ed ancor più le istituzioni rappresentative, dell'una e dell'altra, non possono percepirsi ed esprimersi come mondi ostili, guidati dal sospetto reciproco, anziché uniti in una comune responsabilità istituzionale - ha continuato il Presidente -  Il conflitto con la Procura del capoluogo siciliano, volto a sciogliere una delicata questione di rilievo costituzionale, non offusca in alcun modo il massimo apprezzamento e sostegno sempre espresso dalla presidenza della Repubblica per tutti gli uffici ed i magistrati antimafia che, a partire da Palermo, hanno portato avanti con fermezza la lotta contro la mafia".

Napolitano a D'Ambrosio: "Vogliono colpire lei per colpire me" - "Caro dottor d'Ambrosio, l'affetto e la stima che le ho dimostrato in questi anni, sempre accresciutisi sulla base dell'esperienza del rapporto con lei, restano intangibili, neppure sfiorati dai tentativi di colpire lei per colpire me. Ce ne saranno ancora, è probabile: li fronteggeremo insieme come abbiamo fatto negli ultimi giorni. E la sua vicinanza e collaborazione resterà per me preziosa fino alla conclusione del mio mandato. Preziosa per sapienza, lealtà e generosità". Così scriveva il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano al consigliere giuridico Loris D'Ambrosio, il 19 giugno scorso in una lettera pubblicata ora per la prima volta nel volume "Sulla Giustizia", che raccoglie gli interventi del Capo dello Stato e presidente del Consiglio superiore della magistratura tra il 2006 e il 2012. 
Il 26 luglio scorso D'Ambrosio, a cui Napolitano ha voluto dedicare questa pubblicazione, fu colto da morte improvvisa, per arresto cardiaco. Fu lo stesso Capo dello Stato a darne l'annuncio. Il 18 giugno, dopo che diversi giornali avevano pubblicato, dedicandogli grande spazio e rilievo i testi di conversazioni telefoniche con il senatore Nicola Mancino, intercettato nell'ambito di un'indagine della Procura di Palermo sulla trattativa Stato-mafia, D'Ambrosio, fortemente colpito dalla presentazione e dall'interpretazione datane con clamore da vari organi di stampa, aveva indirizzato a Napolitano una lettera che ora viene pubblicata insieme alla risposta.

D'Ambrosio, "condotta ineccepibile in questi sei anni" - “Ciò non significa che io non comprenda il suo stato d'animo e la sua indignazione (dire amarezza è poco). Le sue condotte, così come le ha ricostruite nella sua lettera - scriveva tra l'altro il Presidente della Repubblica- sono state, e non solo in questi 6 anni, ineccepibili; e assolutamente obiettiva e puntuale è la sua denuncia dei comportamenti perversi e calunniosi - funzionali a un esercizio distorto del proprio ruolo - di quanti, magistrati, giornalisti e politici, non esitano a prendere per bersaglio anche lei e me". “Non posso, però, che invitarla - scriveva ancora il presidente della Repubblica a D'Ambrosio - a uno sforzo di rasserenamento e di ferma, distaccata predisposizione a reagire agli sviluppi della situazione. Traendo conforto anche dall'apprezzamento e dal rispetto che nutrono per lei tutti i galantuomini che operano nel mondo della giustizia o hanno comunque avuto modo di conoscerla e seguirla. Lo sforzo a cui la invito - concludeva Napolitano- non è facile; e lo so perché non solo a esemplari servitori dello Stato, ma anche a politici impegnati in attività di partito e nelle istituzioni, possono toccare amarezze e trattamenti tali da ferire nel profondo. Lo potrà rilevare leggendo qua e là la mia autobiografia politica, che le invio - pur avendone lei forse già copia- come segno di amicizia e fiducia".

D'Ambrosio a Napolitano: "Nessuna pressione per aiutare Mancino" - In una lettera inviata al presidente della Repubblica, datata il 18 giugno, il consigliere giuridico del Colle assicurava di non aver “mai esercitato pressioni o ingerenze che, anche minimamente potessero tendere a favorire il senatore Mancino o qualsiasi altro rappresentante dello Stato comunque implicato nei processi di Palermo, Caltanissetta e Firenze". Con quelle autorità giudiziarie, sottolineava D’Ambrosio, "mi sono comportato con lo stesso rispetto che, sia in questi anni sia dall'inizio della mia attività professionale, ha ispirato i miei comportamenti con chi è chiamato a esercitare in autonomia e indipendenza le funzioni di magistrato. Qualunque mio collega può esserne testimone".

Politica: I più letti

[an error occurred while processing this directive]