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Facebook e lo scandalo Cambridge Analytica, cosa sappiamo finora

Mondo

Gabriele De Palma

Getty

Le scuse pubbliche di Zuckerberg sono l'ultimo episodio solo momentaneo di una vicenda complessa che attende sviluppi. Una ricostruzione

Le scuse che Mark Zuckerberg ha pronunciato in un'intervista televisiva e scritto in un post sul proprio profilo Facebook non basteranno a chiudere lo scandalo Cambridge Analytica. Non a dissipare i timori degli investitori, né quelli degli utenti che hanno già imbastito una class action contro le due società. E davanti al Congresso, dove si è detto pronto a comparire, e al Parlamento europeo dove lo aspetta il presidente Antonio Tajani, dovrà presentarsi con argomentazioni più consistenti e dettagliate. 

A svelare la gestione molto trascurata dei dati personali da parte di Facebook è stato un ex dipendente della società specializzata in analisi dati e consulenze politiche, Cambridge Analytica. Secondo la sua ricostruzione l'azienda, in cui ricopriva un ruolo chiave, ha ottenuto dati di circa cinquanta milioni di utenti Facebook. I dati sono stati carpiti approfittando della possibilità che Facebook concedeva a solo scopo di ricerca (e che dal 2015 non è più in vigore) di ottenere le informazioni su tutti i contatti degli utenti. Il grimaldello è stata un'app sviluppata e poi diffusa anche tramite compenso economico da un ricercatore universitario che poi ha passato, contravvenendo agli accordi pattuiti con Facebook che escludono la vendita di dati personali a terzi senza consenso degli interessati, l'enorme archivio a Cambridge Analytica. 

L'azienda avrebbe usato le informazioni così ottenute per prevedere gli indirizzi di voto e modificarli attraverso mirate campagne di propaganda sui canali social. Tra i candidati aiutati dai metodi e dagli strumenti di Cambridge Analytica anche Donald Trump nel 2016. 

Se probabilmente a preoccuparsi dal punto di vista penale potrebbero essere chi ha ceduto i dati e chi li ha usati in modo da manipolare l'esito elettorale (tesi tutta da dimostrare), la vicenda svela  in tutta la sua problematicità l'esposizione delle informazioni digitali che lasciamo in giro più o meno consapevolmente. Anche perché Guardian a New York Times accusano il fondatore di Facebook di essere venuto a conoscenza dell'accaduto due anni fa, e non aver fatto nulla per avvisare i profili saccheggiati. Per Zuckerberg destreggiarsi sul confine legale di quel che si poteva o meno fare diventa quasi un problema secondario se tra gli utenti si diffonde la diffidenza e la paura.

 

Cerchiamo di mettere in ordine quel che è accaduto in questa faccenda articolata, seguendo le vicende dei dati e poi dei protagonisti.

 

I fatti 

Quali dati e di chi

I dati trafugati sono i dati che gli utenti hanno lasciato sul loro profilo Facebook: like, post, commenti, immagini, reazioni, preferenze e gruppi, messaggi privati. Non si conosce l'esatta qualità dei dati effettivamente presi, si sa invece il numero di utenti derubati, 50 milioni, e la loro nazionalità, prevalentemente statunitense. I dati sono stati ottenuti tramite meno di 300mila utenti che hanno dato il consenso all'uso dei propri dati e, senza che nessun utente lo sapesse, anche quelli di tutti i loro contatti. Il consenso in alcuni casi è stato pagato da chi ha sviluppato l'app.

Come sono stati presi i dati 

A raccogliere i dati di 50 milioni di utenti è stata un'app per Facebook, thisismydigitallife ('questa è la mia vita digitale'), sviluppata dalla Global Science Research. L'app chiedeva agli utenti che la scaricarono il permesso di sbirciare non solo nel loro account ma anche in quello dei loro contatti. La rete di amici dell'utente non veniva informata della visita dei bot di thisismydigitallife. L'app funzionava come moltissime altre app. La piattaforma di Zuckerberg ha infatti consentito questa funzionalità a chi la sfruttava per motivi di ricerca fino al 2015, anno in cui ha cambiato le regole nella gestione dei dati. I dati così raccolti però non avrebbero dovuto, a norma di regolamento sottoscritto tra Facebook e gli sviluppatori delle app, essere ceduti a terzi senza il consenso esplicito dei diretti interessati. 

Dove sono andati a finire

Lo sviluppatore di thisismydigitallife, Aleksander Kogan, ricercatore a Cambridge, nel 2014 entra in contatto con Cambridge Analytica, che gli chiede una consulenza sull'ottimizzazione dell'analisi dei big data, e condivide anche i 50 milioni di profili raccolti da thisismydigitallife. Cambridge Analytica è un'azienda nata da una costola degli Strategic Communication Laboratories, che offre servizi di consulenza elettorale in molti Paesi del mondo. A finanziarne la nascita con 15 milioni di dollari fu l'ultimo giorno del 2013 Robert Mercer, tecno-magnate che ha sostenuto apertamente Nigel Farage nella campagna pro Brexit e Donald Trump alle Presidenziali del 2016. Il vice presidente è Steve Bannon consulente di Trump alle presidenziali e poi suo Consigliere Anziano per i primi otto mesi di mandato.

Come sono stati usati

Secondo le dichiarazioni dell'ex dipendente di Cambridge Analytica, Christopher Wylie, coi dati ottenuti da thisismydigitallife gli analisti di Cambridge Analytica avrebbero costruito modelli per prevedere e modificare l'orientamento elettorale degli utenti tramite campagne condotte con tutti i mezzi più o meno leciti dell'ecosistema social, dai meme alle fake news. Oltre a Brexit e Presidenziali Usa 2016, l'azienda è stata coinvolta anche nelle elezioni presidenziali nigeriane del 2015. Cambridge Analytica ha però ricusato tutte le accuse, dichiarando di non aver utilizzato i dati degli utenti Facebook.

 

Le persone

 

Christopher Wylie. 29 anni, data scientist (esperto di analisi dati) canadese, ha lavorato per Cambridge Analytica dove ha contribuito a perfezionare l'algoritmo in grado di prevedere e influenzare le scelte elettorali delle persone, a partire dalla loro attività su Facebook. Pentito di aver collaborato, ha denunciato al Guardian e al New York Times le pratiche irriguardose della privacy degli utenti:“Abbiamo sfruttato Facebook per raccogliere milioni di profili, e costruito modelli per sfruttare le informazioni in modo da sapere come convincerli”.

Alexandr Kogan. 33 anni, data scientist e psicologo di origine moldava, ricercatore a Cambridge e sviluppatore dell'applicazione thisismydigitallife che, sfruttando le regole lasse di Facebook sulla privacy, ha catturato informazioni dai profili di 50 milioni di utenti su Facebook. In una video intervista Kogan ha ammesso di aver passato i dati a Cambridge Analytica, fidandosi della parola di Wylie che gli garantì che sarebbero stati usati secondo le policy di Facebook. Kogan nega di sapere le finalità reali di Cambridge Analytica e sostiene di aver agito con finalità di ricerca in accordo alle policy di Facebook e in stretto contatto con Menlo Park.

Bob Mercer. 71 anni, informatico e magnate statunitense. Ha lavorato ai primi sistemi di intelligenza artificiale negli anni '70, diventato miliardario si è sempre schierato apertamente e senza badare a spese coi Repubblicani. Negli ultimi undici anni li ha finanziati per un totale di 35 milioni di dollari. Con 15 milioni di dollari ha dato vita a Cambridge Analytica.

Alexander Nix. 42 anni, analista finanziario formatosi a Eton e all'Università di Manchester. Amministratore delegato di Cambridge Analytica fin dalla sua fondazione e già direttore presso Strategic Communication Laboratories. Ha sempre negato, anche in occasione dell'audizione presso una commissione governativa lo scorso febbraio, di aver utilizzato i dati di Facebook per la sua attività di consulenza politica. È stato sospeso dall'incarico all'indomani delle dichiarazioni di Wylie.

Steve Bannon. 64 anni, giornalista statunitense, politico e stratega di Donald Trump alle Presidenziali 2016 e Consigliere Anziano del Presidente degli Stati Uniti fino all'agosto 2017. Dal 2014 al 2016 è stato vice presidente di Cambridge Analytica. È responsabile, secondo il suo ex dipendente Wylie, di aver voluto e portato avanti il programma per la manipolazione dell'elettorato.

Mark Zuckerberg. 33 anni, informatico e imprenditore statunitense, fondatore di Facebook. Dovrà dare spiegazioni a utenti, investitori e istituzioni a tutela della privacy, relativamente alle policy molto poco attente alla privacy degli utenti fino al 2015 e per non aver avvisato gli utenti interessati non appena saputo del loro inconsapevole coinvolgimento. Si è pubblicamente scusato con gli utenti. 

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