La Corte d'appello federale californiana ha negato all'unanimità il ripristino del provvedimento contro l'ingresso dei cittadini provenienti da 7 Paesi islamici, respingendo il ricorso dell'amministrazione Usa. Il presidente: "Ci vediamo alla Corte suprema". Telefonata con Pechino: "Esiste una sola Cina"
Nuovo schiaffo della magistratura americana a Donald Trump: la Corte d'Appello federale di San Francisco ha negato all'unanimità il ripristino del bando del presidente Usa contro l'ingresso dei rifugiati e dei cittadini provenienti da sette Paesi islamici, confermando la decisione di un giudice federale di Seattle e respingendo il ricorso dell'amministrazione americana. Mentre continuano le tensioni sul fronte interno, nelle scorse ore Trump ha anche avuto "un lungo" ed "estremamente cordiale" colloquio telefonico con il presidente cinese Xi Jinping si è impegnato "ad onorare" la politica "di una sola Cina", come richiesto da Pechino.
Trump: "Ci vediamo in Corte suprema" - Sulla questione del bando migranti, a questo punto la vicenda finirà davanti alla massima istanza giudiziaria: "Ci vediamo alla corte (Suprema, ndr), è in gioco la sicurezza della nazione", ha twittato Donald Trump anticipando la prossima mossa.
<blockquote class="twitter-tweet" data-lang="it"><p lang="en" dir="ltr">SEE YOU IN COURT, THE SECURITY OF OUR NATION IS AT STAKE!</p>— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) <a href="https://twitter.com/realDonaldTrump/status/829836231802515457">9 febbraio 2017</a></blockquote>
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Corte suprema in stallo - La Corte suprema resta in una situazione di potenziale stallo (4 a 4) in attesa della conferma da parte del Senato di Neil Gorsuch, il nuovo giudice nominato da Trump. In caso di un voto in parità, resterebbe in vigore la decisione odierna e quindi il bando resterebbe sospeso. Secondo i giudici d'appello, l'amministrazione Usa non ha portato alcuna prova che qualcuno proveniente dai sette Paesi in questione ha commesso un attacco terroristico in Usa e non ha spiegato l'urgenza del provvedimento. Stando al collegio, erano in ballo da un lato l'interesse della sicurezza nazionale e la capacitò del presidente di attuare le sue politiche, dall'altro il diritto a viaggiare liberamente, ad evitare la separazione delle famiglie e la discriminazione: sono prevalsi i secondi.
Il ricorso di Trump - La decisione del giudice di Seattle era stata impugnata dal Dipartimento di Giustizia, secondo cui l'ordine esecutivo di Trump rientra a tutti gli effetti nei poteri del presidente senza violare la costituzione ed è giustificato dalla necessità di proteggere il Paese dalla minaccia terroristica. La Corte d'Appello federale di San Francisco, composta da tre giudici (due di nomina democratica, uno di nomina repubblicana) aveva avanzato più di un'obiezione sulla tesi della difesa, sollevando dubbi sui reali poteri del presidente in un ambito così delicato, che va a toccare il principio costituzionale della libertà religiosa. Senza contare il modo in cui il decreto è stato adottato: l'assenza di preavviso, infatti, ha causato disagi a migliaia di persone e famiglie e caos negli aeroporti e nel trasporto aereo. Quelli che l'accusa, rappresentata dai legali degli stati di Washington e Minnesota, ha chiamato "danni irreparabili" di un atto "il cui solo intento è quello di discriminare chi è di religione musulmana".
Gli attacchi di Trump alla magistratura - Trump aveva preso di mira prima il giudice di Seattle, James Robart (nominato da George W. Bush) definendolo uno pseudo-giudice e bollando come 'ridicola' la sua decisione. Poi aveva allargato il tiro, criticando una giustizia eccessivamente "politicizzata" di fronte ad un provvedimento necessario per tutelare la sicurezza nazionale e scritto "in modo perfetto", tanto che "anche un cattivo studente lo capirebbe". "E la legge dà al presidente ampi poteri per controllare chi entra o lascia il nostro Paese", aveva accusato. Ma i giudici non sono di questo parere e persino Gorsuch lo ha "tradito" definendo come "demoralizzanti" e "avvilenti" le sue critiche alla magistratura.