Caporalato: lavoro fino 16 ore al giorno, tre arrestati nel Brindisino
CronacaL'inchiesta della Procura ha portato a smascherare un sistema in cui gli operai venivano sottoposti a condizioni lavorative inumane e obbligati al silenzio con la minaccia di perdere il loro impiego
Braccianti italiani e stranieri sfruttati per oltre dieci ore al giorno e obbligati al silenzio dai loro caporali con la minaccia di perdere il lavoro. È quanto denunciato da tre lavoratori ai carabinieri della compagnia di San Vito dei Normanni e del Comando provinciale di Brindisi. Tre testimonianze che hanno consentito di arrestare, nella mattina del 21 giugno, tre persone nell'ambito dell'inchiesta coordinata dalla Procura della Repubblica di Brindisi.
Lo sfruttamento dei braccianti
Secondo quanto rivelato dagli inquirenti, il sistema di sfruttamento dei braccianti sarebbe stato gestito da due donne, madre e figlia, di 72 e 49 anni, finite rispettivamente agli arresti domiciliari e in carcere, e da un uomo di 48 anni, anch'egli sottoposto ai domiciliari. I tre, secondo quelle che sono le accuse, avrebbero assunto circa 28 persone con un contratto di lavoro di sei ore e mezza giornaliere, orario che in realtà veniva ripetutamente violato. I braccianti venivano infatti impiegati per almeno 10 ore al giorno. In alcuni casi, secondo le testimonianze, i turni di lavoro duravano anche fino a 15-19 ore se si considerano il viaggio di andata e ritorno, 12-16 ore, escluso il viaggio.
Il racconto dei lavoratori
Sono stati tutti ascoltati al termine delle indagini i 28 braccianti impiegati dai tre arrestati. Si tratta di cittadini italiani e stranieri, rumeni e marocchini, in stato d'indigenza, questi ultimi bisognosi di un contratto di lavoro per poter mantenere il diritto al permesso di soggiorno. Il loro racconto ha permesso agli inquirenti di ipotizzare che i caporali pagassero loro una minima parte dello straordinario eseguito, e che questo veniva calcolato dopo 10 ore e 30 minuti invece che, come da contratto, dopo 6 ore e 30 minuti pari a una regolare giornata di lavoro che, per molti, stando alle testimonianze, arrivava fino alle 20 ore al giorno. I lavoratori erano fatti salire a bordo di furgoni che li avrebbero trasportati nelle campagne del barese o nel magazzino di una società a responsabilità limitata, per il commercio all'ingrosso di frutta e ortaggi freschi o conservati con sede a Polignano a Mare, sempre in provincia di Bari.
Le condizioni inumane
Nell'azienda di Polignano a Mare i lavoratori entravano sotto la “giurisdizione” di una caporale che era già stata operaia agricola, e che agiva grazie a un complice che risultava assunto come autista. A decidere gli orari e i carichi di lavoro erano sia gli intermediari che l'impresa. I braccianti erano costretti a lavorare senza soste per lo spuntino, il pranzo e, a volte, gli era proibito anche di espletare i propri bisogni fisiologici. Più di una volta, è stato riferito, diversi lavoratori sono stati obbligati con minacce a rinunciare al riposo settimanale per recarasi al campo. Inoltre la caporale obbligava i suoi colleghi a corrisponderle 10 euro per ogni giornata lavorata. Denaro, questo, che la stessa incassava subito dopo aver consegnato a ciascun lavoratore l'assegno dello stipendio. I 28 braccianti venivano infine obbligati a mentire in caso di controllo delle forze dell'ordine alle quali avrebbero dovuto dichiarare di lavorare per 6 ore e 40 minuti ogni giorno e che l'autista che li portava al campo cambiava sempre e dipendeva direttamente dal datore di lavoro.
La denuncia e le indagini
È stato grazie a una denuncia presentata da tre lavoratori che la Procura ha potuto aprire un fascicolo sul caso e dare disposizioni affinché fossero avviate le indagini sul campo. In una prima fase gli inquirenti hanno sfruttato servizi di appostamento e l'acquisizione di informazioni da alcuni braccianti che, in modo sospetto, entravano nell'abitazione a San Vito dei Normanni e ne uscivano con assegni che attestavano il lavoro svolto per l'azienda di Polignano. In una seconda fase l'inchiesta è proseguita grazie all'uso di intercettazioni telefoniche e ambientali, localizzazione mediante sistemi gps, servizi di osservazione e pedinamento, controlli sul rispetto della normativa in materia di circolazione stradale, un'ispezione amministrativa nella impresa agro-alimentare con l'ausilio dei carabinieri del Nucleo Ispettorato Lavoro di Bari, l'acquisizione di tabulati telefonici e prospetti Inps.
L'azienda fatturava oltre 12 milioni di euro
Dopo l'acquisizione degli elementi di prova e il riscontro dei fatti con la testimonianza dei 28 lavoratori, è stato possibile formulare le ipotesi di reato per i tre caporali. Ad A.I e G.B. il gip ha aggiunto ai due reati d'intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro, anche quelli di truffa aggravata per il conseguimento di erogazioni pubbliche commessi ai danni dell'Inps, insieme con l'amministratrice unica e rappresentante legale della società di Polignano. I controlli fiscali sull'impresa ha portato a riscontrare un fatturato dichiarato di oltre 12 milioni di eruo. La caporale di Polignano a Mare non è stata sottoposta a misura cautelare soltanto perché il giudice ha ritenuto sufficiente, per evitare che continuasse a delinquere, il sequestro preventivo di quasi 3.600 euro, costituenti il profitto del reato di truffa consumato. Il secondo delitto di truffa non si è configurato poiché gli inquirenti hanno bloccato l'attività criminosa, consistente nel denunciare all'Inps giornate lavorative fittizie, nell'interesse di alcune operaie.