Secondo uno studio australiano pubblicato su Nature, i krill ingeriscono le microplastiche, trasformandole in nanoplastiche attraverso la digestione. LO SPECIALE SKY UN MARE DA SALVARE
Il krill potrebbe essere l'arma segreta nella guerra contro l'inquinamento del mare dovuto alla presenza di plastica. A rivelarlo, uno studio australiano pubblicato su Nature Communications che dimostra che questi minuscoli crostacei ingeriscono la microplastica e attraverso il sistema digestivo la scompongono in nanoplastica, molto più piccola. La ricerca avverte tuttavia che il fenomeno potrebbe essere un'arma a doppio taglio: il materiale espulso diventa disponibile a organismi che normalmente non riuscirebbero a ingerire le particelle più grandi.
La capacità dei krill di scomporre plastica
La responsabile dello studio, Amanda Dawson della Griffith University, è arrivata casualmente alla scoperta mentre lavorava all'acquario dell'Australian Antarctic Division a Hobart in Tasmania, in un progetto sulle micro perle, il polietilene plastico spesso usato in prodotti cosmetici come creme per il viso, per studiarne gli effetti tossici di inquinamento. "Abbiamo osservato che il krill effettivamente scompone la palstica. È stato sorprendente", scrive la Dawson. “È difficile sapere esattamente quali siano le implicazioni, ma la teoria indica che poiché la plastica negli oceani è già degradata e più fragile, sarà ancora più facile per il krill scomporla ulteriormente".
I krill ogni giorno filtrano miliardi di tonnellate di acqua marina
Nell'Oceano Antartico vivono fino a 500 milioni di tonnellate di krill. Ognuna di queste creature filtra 86 litri di acqua marina al giorno. "Vi è talmente tanto krill che ogni giorno miliardi di tonnellate di acqua marina antartica vengono efficacemente filtrati” da questi crostacei, scrive la ricercatrice.
Serve altro lavoro di ricerca
La ricerca australiana è la prima che analizza la microplastica digerita dai crostacei. Lo studio indica che i frammenti espulsi con le feci sono in media del 78% più piccoli delle microperle originali e, in alcuni casi, sono ridotti del 94%. La ricerca suggerisce che altre forme di zooplancton con simili sistemi digestivi possano anche essere in grado di scomporre la microplastica. La Dawson avverte però che il fenomeno può essere un'arma a doppio taglio, considerando il potenziale per le tossine di passare attraverso la catena alimentare, man mano che le particelle espulse diventano disponibili a organismi che non riuscirebbero a ingerire le particelle più grandi: "Abbiamo appena grattato la superficie e sarà necessario altro lavoro di ricerca".