L'energia verde conviene, nei Paesi del G20 costerà meno

Ambiente
La Germania è uno dei Paesi leader per quanto riguarda i finanziamenti per lo sviluppo delle energie rinnovabili (Getty Images)
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Uno studio di Greenpeace Germania spiega perché puntare sulle fonti rinnovabili sia già un investimento vantaggioso per le superpotenze. "Non possono esserci più scuse", sostengono gli ambientalisti

Investire nelle rinnovabili per salvare il Pianeta e risparmiare. È il monito dell'ultimo rapporto di Greenpeace Germania che rivela come nei paesi del G20 gli investimenti su fonti di energia pulita, come il solare e l'eolico, saranno molto presto più convenienti rispetto a quelli su petrolio e carbone.

Lo studio di Greenpeace

L'organizzazione ambientalista ha pubblicato la ricerca, condotta dall'università finlandese di Lappeenranta alla vigilia del G20 di Amburgo dove il tema del clima occuperà la parte centrale del meeting. Secondo lo studio, già dal 2015 in una decina di Stati del G20, le energie rinnovabili sono più economiche o hanno lo stesso costo delle fonti inquinanti, come il carbone, o rischiose, come il nucleare. Inoltre, entro il 2030 ricorrere alle energie pulite sarà una politica vantaggiosa e conveniente per tutti i Paesi seduti al vertice tedesco. "La protezione del clima diventa sempre più economica. Non possono esserci più scuse", ha affermato Tobias Austrup, consulente politico sulle energie e i trasporti di Greenpeace. "Ogni Paese del G20 che investe ancora in centrali nucleari e a carbone – ha precisato Austrup - spreca i propri soldi su una tecnologia che non sarà competitiva nei prossimi anni".

Gli investimenti sulle fonti inquinanti

Un altro studio diffuso da alcune ong ambientaliste tra le quali Oil change, Wwf e Legambiente, mette in risalto come, nonostante gli impegni ambientalisti presi dai vari Stati nel quadro degli accordi di Parigi, gli investimenti sulle fonti fossili continuino a essere quelli più ingenti a livello globale. La ricerca, dal titolo "Talk is Cheap: How G20 Governments are Financing Climate Disaster", evidenzia che nelle nazioni del G20 i sussidi erogati negli ultimi anni a favore di petrolio e carbone sarebbero addirittura il quadruplo rispetto a quelli concessi per le rinnovabili. Si parla di una cifra pari a 71,8 miliardi di dollari all'anno spesi tra il 2013 e il 2015 per le fonti fossili, contro 18,7 miliardi di dollari dedicati alle energie verdi nello stesso periodo.

I paesi più legati al vecchio schema

A guidare la classifica dei Paesi più legati all'impiego delle vecchie fonti ci sono Giappone, Cina. Sud Corea e Stati Uniti. Il primo è quello che più di tutti gli altri riserva finanziamenti pubblici allo sviluppo di combustibili fossili: tra il 2013 e il 2015, sono stati finanziati con 16,5 miliardi di dollari all'anno contro i 2,7 miliardi destinati all'energia pulita. Dietro il Giappone c'è la Cina che, nello stesso periodo di riferimento, ha speso 13,5 miliardi di dollari per le fonti tradizionali e 85 milioni per le fonti rinnovabili. Al terzo posto la Corea del Sud con investimenti di 8,9 miliardi di dollari per petrolio e carbone e appena 92 milioni per le energie verdi. Subito dietro si piazzano gli Stati Uniti, in cui gli investimenti su combustibili fossili e energia rinnovabile sono stati rispettivamente di 6 miliardi e 1,3 miliardi di dollari all'anno tra il 2013 e il 2015. In Europa non va meglio e l'Italia, nonostante le ingenti risorse naturali, è uno degli Stati che fanno maggiormente ricorso alle vecchie fonti. Nel nostro Paese i finanziamenti alle energie da combustibili fossili sono ammontati a 2,1 miliardi di dollari all'anno contro i 123 milioni riservati alle energie verdi. Ben poca cosa rispetto ad esempio alla Germania, in cui il rapporto è di 3,5 miliardi contro 2,4 miliardi, o Regno Unito con 972 milioni contro 172 milioni.

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